Aspettavamo i barbuti del Texas da qualche anno, dopo averli apprezzati sempre in terra svizzera nel 2013, e più precisamente ad Ascona, in un viaggio in moto quasi da film con l’amico Matteo Gaccioli, dopo essere passati prima a Pistoia per Charlie Musselwhite e Ben Harper.
Ora tocca al Sierre Blues Festival, che Silvio Caldelari e la sua troupe di volontari ha trasformato in pochi anni in uno degli appuntamento più importanti d’oltralpe. L’attacco , nel delirio generale, è affidato a “Got Me Under Pressure”, seguita a ruota da “Waiting For The Bus” che scivola come su “Tres Hombres” senza soluzione di continuità in “Jesus Just Left Chicago”, mentre “My Head’s In Mississippi” diventa con un pizzico di ruffianeria “My Head’s in Sierre Blues Festival”! E Billy Gibbons e soci sanno benissimo come ingraziarsi il pubblico, ed ecco che a metà concerto invitano sul palco il loro amico Silvio, non il nostro ex presidente del Consiglio ovviamente, chiedendogli di tradurre il loro ringraziamento alla città di Sierre per averli invitati a suonare!
Immancabile “Legs” con tanto di chitarra e basso bianche e ricoperte di pelo, mentre inaspettato giunge un pezzo da loro definito “for real redneck” con un chitarrista, molto probabilmente un membro della troupe, alla lap steel. Immancabile e quasi in trance, tanto da suonare ad occhi chiusi, Frank Beard, ormai noto quasi più per essere l’unico senza barba del famoso trio che per suonare la batteria. Si susseguono i classici “Cheap Sunglasses” e “Sharp dressed Man”, mentre un lentone del calibro di “Catfish Blues” viene affidato all’ugola di Dusty Hill. Non passa inosservata “Gotsta Get Paid”, divenuta famosa per lo spot girato a mo di Candid Camera a favore di una bibita americana, mentre come preannuncia Billy si fa un salto molto indietro nel tempo e rispunta Jimi Hendrix con “Foxy Lady”,
mentre ci stupisce, piacevolmente, la versione di “Sixteen Tons” dei Platters, cantata dallo stesso Gibbons. La pausa riprende con “La Grange”, forse la più nota forma di plagio del blues, con lo spirito di John Lee Hooker che aleggia sulla folla, seguita da “Tush” mentre il vero bis con Van Wilks, che non ci aveva particolarmente entusiasmato, con “Jailhouse rock”. Uno spettacolo garantito ed una festa, questo sono e saranno sempre gli ZZ Top, ogni mossa, sorriso o gesto studiato per divertire e divertisti, sufficientemente tamarri come deve essere chi viene dal Texas, e anche per questo per sempre idoli!
Davide Grandi
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