Eravamo curiosi di vedere all’opera l’artista originaria del Tennessee, rivelata lo scorso anno dall’album “Pushing Against A Stone”, un mix stratificato di varie tradizioni musicale americane. L’occasione del suo debutto italiano, si è presentata il 15 luglio scorso, quando Valerie era designata per aprire il concerto del John Butler Trio al Carroponte di Sesto San Giovanni.
Quando alle 20,45 sale sul palco, in verità molta parte del pubblico è ancora intento a cenare e dimostra un interesse relativo per il poco noto “gruppo d’apertura”. Lei tuttavia non sembra farci caso e si prodiga in un set divertente, accompagnata da Pete Ibbetson, batteria e Jonathan Harvey al basso, e alterna con semplicità chitarra acustica, banjo e chitarra elettrica; parte da una versione di “Rollin’ And Tumblin” con la sua voce sottile, come sarebbe forse piaciuta a Jessie Mae Hemphill.
Poi pesca dal disco, “Somebody To Love”, sola al banjo, “You Can’t Be Told” (all’elettrica) con i suoi rimandi alle atmosfere care al coautore del brano, Dan Auerbach. Nel finale spazio al suo inno femminista “Working Woman Blues” cantata con grande convinzione, per concludere con un ritorno verso il blues, estraendo dal repertorio di Robert Johnson “If I Had Possession Over Judgment Day”, che del resto cantava già con Luther Dickinson sul progetto di qualche anno fa intitolato The Wandering. Il concerto termina dopo nemmeno tre quarti d’ora, per lasciare spazio a Butler, molto atteso dal pubblico. In ogni caso Valerie June ci impressionato favorevolmente quanto a personalità, presenza e sintesi trasversale di roots music. Ci auguriamo dunque di rivederla per un concerto tutto suo in un prossimo futuro.
Matteo Bossi
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