INTRODUZIONE

Pensavamo che la passata edizione fosse stata l’apice di un percorso iniziato nel 1973 e invece errore più grave non potevamo commettere perché Umbria Jazz 2024 diventa ancora più maestoso impegnando ben 18 location in tutta Perugia e decretando probabilmente un record per il festival. I numeri non mentono; circa 250 eventi distribuiti per tutta la città che annualmente si trasforma; 87 band impegnate per un totale di 600 musicisti. 42000 sono stati i biglietti venduti per un incasso di 2 milioni e 400 mila euro senza dimenticare l’indotto per il turismo e commercio locale. Al di là della parte più speculativa e materiale della macchina Umbria Jazz, non va dimenticato il suo lato emozionale e culturale che in periodi come questi diventa una vera medicina sociale. E poi i tanti eventi nell’evento che hanno coinvolto ogni frangia di età e interesse; uno su tutti il rinnovato appuntamento dei laboratori di UJ4Kids. Il festival è talmente imponente che dimentichiamo senza dubbio molto di quello che lo compone. Cercando però di dare un’idea su quello che musicalmente sono stati i dieci giorni di kermesse, iniziamo il nostro racconto.

IL REPORTAGE

L’intimità e l’intensità di un maestro che ha reinventato uno strumento; la fisarmonica. Parte così l’edizione 2024 di Umbria Jazz con Richard Galliano e il suo progetto in trio “New York Tango” nato proprio a Perugia qualche anno fa su consiglio di un vecchio amico, il compianto Mario Guidi. Tecnica che non trova confini e che lega quell’atmosfera malinconica ad un suono deciso e rigoroso. La brillantezza di un eccezionale acusticità risuona delicatamente sull’originale “Spleen” mentre la magia di un antico linguaggio d’oltralpe, cattura il pubblico dell’Arena. Tra brani di Astor Piazzolla e composizioni proprie non si può che restare affascinati da un set di così rara bellezza. Superbo il contributo di Adrien Moignard alla chitarra. Era molto atteso l’omaggio che Vinicio Capossela ha voluto dedicare all’amico Sergio Piazzoli, noto promoter perugino e figura musicale mai dimenticata a dieci anni dalla scomparsa. Il cantautore, visibilmente emozionato, rilegge uno dei suoi album più famosi, quel “Camera A Sud” che nel lontano 1994 lo faceva notare a livello nazionale. Figura sensibile e poetica racconta le sue storie attraverso immagini concrete che, seppur non sempre impeccabili da un lato strettamente esecutivo, esplicitano i motivi dei tanti premi vinti ma soprattutto del grande affetto ricevuto dal suo pubblico (oltre 4000 a Perugia). Regala momenti penetranti quando canta “Estate” di Bruno Martino e conferma anche la sua innata ironia mentre, tornando sul palco per il doveroso bis, sfoggia la maglietta del festival sarcasticamente modificata nel marchio; da Umbria Jazz a UmbriaChezz. Personaggio d’altri tempi per un concerto senza tempo. Evento nell’evento in questa edizione numero 51 è stato senza dubbio la presenza di Lenny Kravitz.

Foto di Simone Bargelli

Il sessantenne di New York è in gran forma anche perché supportato da una band ormai rodata. In due ore di concerto all’insegna di una constante energia sono i suoi brani più rock quelli che convincono maggiormente. “Are You Gonna Go My Way”, “Paralyzed” e “American Woman” gli esempi più lampanti. Celebra la vita e invita a ringraziare ogni giorno regalato, senza dare nulla per scontato. Gioca, si diverte lancia sguardi e instaura dialoghi con i fan e un’arena ricolma è tutta ai suoi piedi. Rocker elegante, nel set anche l’immagine ha il suo ruolo importante e mentre melodie funk s’intrecciano a risvolti pop e psichedelici, Lenny dimostra tutta la sua sicurezza restando sempre il centro di un’ovvia attenzione. Profumo di perfetto concerto rock (12000 presenze), a volte fin troppo patinato; nulla è lasciato al caso. Ne sono passati di anni da quando giovanissimo si faceva conoscere al mondo jazz anche attraverso i palchi di UJ. Oggi Kurt Rosenwinkel è uno dei più innovativi chitarristi dei nostri tempi. È tornato domenica 14 nel pomeriggio del Morlacchi con una super band (Mark Turner – sax, Ben Street – contrabbasso, Jeff Ballard – batteria) ma soprattutto con quel suo stile a cavallo tra il jazz più classico e la fusion. Un suono morbido, elegante mai invadente alla constante ricerca della nota e armonia perfetta. Tra Swing, shuffle, bossa e atmosfere eteree offrono un set dal suono delicato, romantico e garbato, dove il lato malinconico puntualmente ritorna. Suona brani dai suoi primi album risalenti a più di venti anni fa, in particolare “The Next Step”, opera che dà il nome anche a questo quartetto. Sold out al Morlacchi per un pubblico attento e ammaliato. Nella stessa serata un’ondata di funk, rock, soul ha invaso l’Arena Santa Giuliana. Il suono è quello dei Cha-Wa che trascinati dalla cultura della loro New Orleans tracciano un indissolubile marchio di polietnia. Una tradizione che s’irradia anche attraverso il coloratissimo costume dei Mardi Gras Indians; ritmi incessanti e tanta black music per un set all’insegna di sudore e passione. In verità la loro performance non è stata sempre accurata, a volte prediligono il lato scenico a discapito della performance per un’immagine che resta coloratissima nella mente dello spettatore. Cambio di marcia qualche minuto dopo per l’esordio assoluto a Umbria Jazz di Rachel Agatha Keen, in arte Raye, cantautrice ventiseienne della scena britannica tra le più premiate artiste dei recenti anni.

Foto di Simone Bargelli

Racchiusa in un palco per gran parte tinto di bianco, il suo stile è difficile da collocare. La sua bellissima voce e l’affascinante presenza si alternano in brani che raccolgono elementi rhythm and blues, jazz, pop e nu-soul. Inevitabili reminiscenze con Amy Winehouse anche se Raye ha un’aurea molto più levigata e raggiante. Il set risulta godibilissimo grazie a melodie dinamiche e mai ripetitive. I suoi testi raccontano storie importanti, spesso difficili e sono le sue interpretazioni così sentite e penetranti i momenti più belli della serata. La ragazza ha carisma da vendere e risulta essere brava entertainer per la sua innata simpatia. Canta gran parte del suo recente “My 21st Century Blues” e piace in una personale versione di ”It’s a Man’s Man’s Man’s World” di James Brown per poi terminare il concerto con il suo repertorio più dance. Il fatto che sia autrice per molte music-star mondiali spiega tutto il suo talento. Bella sorpresa dal main stage di Umbria Jazz. Lunedì 15 il palco dell’arena accoglie per la prima volta in questa edizione il jazz più puro con due set di accattivante richiamo per gli amanti. Si parte con un super quartetto composto da quattro stelle del genere: Chris Potter, Brad Mehldau, John Patitucci e Johnathan Blake. Vecchie conoscenze di Umbria Jazz che attraverso il nuovo progetto “Eagle’s Point” tornano a navigare tra mille note e linguaggi speculari. Un’occasione unica per vederli tutti assieme e godere di una performance d’indiscusso livello. Geni a confronto che sanno coesistere perfettamente, l’ascolto del brano “Aria for Anna” racchiude ogni più effimera osservazione. Unica nota stonata, una durata eccessivamente lunga di una performance di difficile ascolto per i neofiti. La serata è proseguita nel ricordo di Gil Evans, maestro legatissimo alla storia del festival donando concerti indimenticabili. Il tastierista Pete Levin già con Evans nei primi anni settanta, fratello maggiore del famoso bassista Tony, ha riassemblato parte dei membri della mitica Orchestra, presentando il progetto Gil Evans Remembered in una serata che ha il profumo di tempi passati. Musicisti dove la passionalità assume un ruolo vitale ed è sempre gradevole ascoltare le armonie familiari a Gil. Diventa, ahimè, inevitabile circondarsi da quell’aura di nostalgia per periodi relegati a epoche lontane… location come San Francesco Al Prato dove il mito del festival si è creato. E quando le musiche di Hendrix vengono risuonate ancora, da un album di 50 anni fa, i ricordi diventano ancora più tangibili. Se la serata in questione era particolarmente dedicata ai cultori del genere il martedì pomeriggio al Morlacchi si è ancora parlato di jazz, ma in uno stile appetibile anche a coloro che non sono così confidenziali con questi mondi. Il settetto dei Something Else, capitanato dal sassofonista e compositore Vincent Herring, ha intrattenuto la platea attraverso un suono intriso di soul tra linee melodiche all’unisono e solismi di grande impatto. Musicisti straordinari che intrecciano le loro “chiacchierate” con tecnica, gusto e dinamiche decise. Un set godibilissimo che esplode in stravolte riletture di “’Round Midnight” di Monk e “Naima” di Coltrane. Concludono il set con brani al limite del rock ed i blues di Ray Charles lasciando spazio anche agli uditi più contaminati per un teatro ancora una volta colmo di pubblico. Si torna al main stage per assistere ad uno dei migliori set di questa edizione. La presenza è quella di una strepitosa Lizz Wright.

Foto di Simone Bargelli

La voce straordinaria di quest’artista nata in Georgia con una carriera ventennale, è il perfetto connubio che lega il blues al jazz. Una chiave di lettura che, seppur vecchia come il mondo, appare incredibilmente attuale tramite un talento cristallino che incanta i pochi, ahimè, fortunati presenti. Delicata, diretta, tagliente quando necessario, è accompagnata da un quartetto bravissimo per essenzialità di suoni e melodie. Quei “silenzi” che nessuno suona più, si trasformano in marchio di fabbrica follemente intenso. Presenta “Shadow” album pubblicato qualche mese fa. Nei suoi intermezzi incoraggia alla semplicità delle cose; un messaggio che riporta in musica. Un insegnamento che trasposto nel suo linguaggio diventa perfezione assoluta, sublimi emozioni che non provavamo da tempo. Gospel, blues, jazz and more per una voce fuori dal comune… Lizz Wright forever! Si prosegue all’insegna del girl power con il ritorno di Hiromi Uehara, più volte ammirata nei palcoscenici di Umbria Jazz. Talento immenso con la sua tecnica pianistica di un altro mondo, è insieme al suo Sonicwonder project, basso, tromba e batteria per novanta minuti dove questo nuovo viaggio che fonde jazz, rock, funk e sperimentazione ripercorre suoi set passati. La minuta presenza si scontra con il suo sound, potente, virtuoso e inaspettato, guardando anche a sistemi di una fusion di periodi addietro. Salta, si siede, si rialza, la sua è una performance fisica; una partecipazione anche corporea con il trasporto delle complesse armonie. La quarantacinquenne giapponese è ormai un’eroina di Perugia. C’è chi li ha definiti la miglior rock band al mondo, tra l’altro uno dei loro più grandi estimatori era il compianto Eddie Van Halen, uno che di rock ne masticava. In un’arena ancora una volta completa, i Toto di Steve Lukather, hanno proposto quel rock pop inimitabile che li ha consacrati nel corso di cinque decenni. Nella prima di quattro date italiane, interpretano subito “Hold the Line” come a dire: “Sappiamo che siete qui per questa; ve la suoniamo subito così ce la togliamo di torno, perché abbiamo voglia di divertirci e farvi ascoltare brani nuovi e meno noti”. Nuova line up, come sempre fatta da musicisti clamorosi, tra cui Greg Phillinganes (Eric Clapton, Stevie Wonder) e John Pierce (Huey Lewis, Tom Petty, Mick Jagger) insieme a un rilassato Steve che sfodera soli unici e inarrivabili. Solo più avanti annuncerà di avere 38 di febbre, ma la sua parte “aliena”, come suggerito dai suoi compagni, gli permette di superare qualsiasi ostacolo, musicale e non. Anche se passano gli anni la voce di Joseph Williams si fa ancora apprezzare nel suo bel timbro; non possono mancare alcuni dei loro famosi successi come “Stop Loving You” “Rosanna” e “Africa” ma è certamente l’esecuzione personale di Lukather in “Little Wing” a marchiare il momento più esaltante di un concerto di alto livello. Dopo cento minuti di musica, nessun bis previsto. Li perdoniamo! La febbre del leader in un’estate torrida come questa non deve essere una passeggiata! La settima serata dell’arena è stata all’insegna della madre Africa con due voci regine della scena attuale.

Foto di Simone Bargelli

La prima a salire sul palco è stata Somi, già vista la passata edizione sul medesimo stage. Suadente e raffinata come sempre; ripete il set dello scorso anno all’insegna di omaggi a Miriam Makeba e Nina Simone. Semplicemente sublime. Fatoumata Diawara è una cantautrice e attrice proveniente dal Mali, un territorio particolarmente legato al blues attraverso una scena resa celebra negli ultimi anni.

Foto di Simone Bargelli

È proprio il blues la sua radice nascosta dalla quale disgregare il complesso linguaggio intrecciato, fatto di jazz, electro-pop, funk e afro beat. Una figura che non passa certo inosservata anche per merito dei suoi folgoranti costumi e colori che irradiano tutte quelle ancestrali emozioni che la sua musica contiene. Presentando il suo “London KO” dello scorso 2023, consegna una sensualità ritmica di forte presenza. Un concerto unico quanto interessante e inusuale. Per molti sono stati la rivelazione di questa edizione; per noi che li conosciamo da tempo l’inevitabile conferma della loro maturità artistica e del talento sempre più evidente. I Lovesick sono una delle realtà musicali più belle del nostro stivale.

Foto di Simone Bargelli

Lo possiamo gridare con un ironico doppio senso perché qui anche gli stivali veri e propri c’entrano, contorno di un linguaggio che arriva dagli states; quel country di Nashville e dintorni che si colora di blues e rock & roll. Quello che sorprende non è solo la loro singola bravura allo strumento ma la coesione che sono riusciti a creare e soprattutto l’autenticità di quella tradizione che tanto amano. Suonano parte del loro nuovo album “Remember My Name” registrato proprio in America; opera eccellente… un vero piccolo gioiello. Diciassette concerti in dieci giorni; Francesca Alinovi, Paolo Pianezza, Alessandro Cosentino… tre nomi, una garanzia. Uno dei palchi più intimi del festival è senza dubbio quello della sala Podiani all’interno della Galleria Nazionale dell’Umbria, stage strettamente legato al jazz. Tra i tantissimi set del primo pomeriggio abbiamo assistito a quello di Eleonora Strino Trio, chitarrista campana indicata come una delle stelle nascenti del panorama europeo.

Foto di Simone Bargelli

Eleonora è una musicista preparatissima dove una tecnica precisa gli permette di giocare tra i ritmi più classici devoti al jazz. Rarità per l’Italia avere una chitarrista del settore; diventa ancora più preziosa averla di questo spessore. Molte le originali proposte anche se la personale rilettura del tema de “Il Postino”, film di Troisi, ha letteralmente incantato una sala ricolma. Ritmo, ritmo, ritmo. Dopo la serata dedicata ai suoni africani, è il momento dei movimenti latini, in particolare cubani. Due grandi interpreti si alternano sul palco dell’Arena venerdì 19. Chuco Valdez apre le danze con un set dove la sua sensibilità e tecnica permettono ad armonie tipiche della tradizione cubana di coesistere con il jazz e persino con la classica. D’altra parte Chuco ci ha abituato da tempo a queste sue peculiarità. A 83 anni, un maestro di classe e carisma fuori da ogni tempo e genere. Approccio più moderno quello di Roberto Fonseca, produttore e pianista che con il progetto portato a Perugia “La Grand Deversion” rievoca la tradizione dei balli caraibici, dal mambo alla rumba. Una serata imperdibile per gli amanti del genere.

Foto di Simone Bargelli

Si presenta vestita da circense, come tutta la sua band e metaforicamente il suo show è stato una sorta di trapezio musicale. Personaggio molto scenografico che non si è certo risparmiato in una vera e propria prestazione fisica e canora. Veronica Swift salta, corre si dimena; con efficacia passa dal rock più duro e aggressivo al blues più elettrico e psichedelico al rhythm & blues più contaminato. Sonorità istintive e sensuali, una chitarra predominante (quella del bravo Gary Joseph Potter Jr), tra sudore e sex appeal con momenti che ricordano quelli dei musical più operistici. Uno show nello show il suo; artisticamente intenso e particolare per una figura carismatica con una voce graffiante. Una Veronica che sbalordisce per come ce la ricordavamo così legata al jazz… ma anche per questo ci è piaciuta. Molto meno disorientante il ritorno, dopo circa venti anni, di Nile Roger e i suoi Chic.

Foto di Simone Bargelli

L’iconico produttore e musicista, infiamma l”Arena con il suo funk e gli innumerevoli successi che hanno indirizzato le carriere delle più famose pop star. Ennesimo sold out in questo indimenticabile 2024. C’è sempre un po’ di saudade alla conclusione di ogni viaggio e termine più appropriato non possiamo avere per la serata finale di Umbria Jazz 2024 con i concerti di Djavan e Pacific Mambo Orchestra. Djavan, figura emblematica della trasformazione del suono brasiliano fra mescolanze funk e pop offre il suo suono solare e rassicurante. Non sempre preciso vocalmente, il compositore di Maceio ha presentato nuovi brani come “Iluminado” e “Num Mundo de Paz”, per poi offrire i classici della sua carriera come “Se”, “Flor de Lis” e “Soul Food to Go”. Pubblico entusiasta! La Pacific Mambo Orchestra seppur formatasi da poco più di un decennio è considerata una delle migliori big band latine del continente americano. Vincitrice d’importanti premi di settore ha creato un’atmosfera ricca di energia in uno spettacolo all’insegna del ritmo… e di una platea ovviamente danzante! La festa è servita. Infine come non possiamo non porre l’accento sull’importanza dei Free Outdoor Concerts che con i loro linguaggi più vari sono sempre la linfa vitale del centro storico. L’immancabile swing di Ray Gelato and the Giants, il boogie di Mitch Woods and His Rocket 88s, il blues di Thornetta Davis, il jazz di Nico Gori, il groove di Sammy Miller and the Congregation, il piano di Lorenzo Hengeller, le chitarre di Accordi e Disaccordi e le rievocazioni dei fantastici Sticky Bones . Al teatro Morlacchi il meglio del jazz italiano e internazionale tra cui i ritorni di Enrico Rava, Fabrizio Bosso, Dado Moroni, Danilo Rea, Paolo Fresu ma anche leggende come Kenny Barron e Charles Lloyd.

CONCLUSIONI

Umbria Jazz si annovera tra i festival più importanti del globo e anche se spesso criticato per le sue scelte artistiche dai così detti ”rosiconi” (parole del fondatore Carlo Pagnotta), riesce ogni anno, non solo a mantenere un’elevatissima qualità artistica ma addirittura a innovarsi continuamente. Offre sempre il meglio del meglio dei vari linguaggi sonori e cosa da rilevare fortemente è la perfetta qualità audio dei suoi eventi. Il lavoro di fonici e tecnici è sempre eccezionale così come quello dei suoi organizzatori e ufficio stampa. Se partecipi ad Umbria Jazz l’unica preoccupazione che dovrai avere è quella di ascoltare… grande musica! Alla prossima edizione quindi dall’11 al 20 luglio 2025.

Simone Bargelli

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