Felicità, felicità, felicità!!
Inevitabile ma obbligatorio rimarcare la contentezza di riavere, nella sua rituale forma, uno dei più rilevanti festival europei.
I suoi numeri parlano chiaro; 11 location, 500 artisti impegnati in 260 eventi per 10 giorni di musica non stop inglobati in una città, Perugia, che si trasforma magicamente attraverso un’atmosfera unica, difficile da spiegare ma doverosamente respirare almeno una volta nella vita.
Il nostro racconto si dividerà in tre parti evidenziando la tipica struttura di Umbria Jazz. Sviluppatasi nel corso di quasi 50 anni, offre un programma altisonante contestualizzabile come contenitore di tanti festival nel festival.
ARENA SANTA GIULIANA – il main stage
Più volte, nelle edizioni passate, è stata affidata a loro la chiusura del festival con apparizioni fuori programma nello stage dell’arena.
Quest’anno i “figli adottivi” di Umbria Jazz, i Funk Off, hanno invece l’onere di aprire la dieci giorni del main stage e lo fanno attraverso un connubio riuscitissimo, quello con Mark Lettieri, chitarrista dei Snarky Puppy, super gruppo di Brooklyn, anch’esso legato al festival visto le frequenti presenze degli ultimi anni.
La collaborazione, esclusiva per UJ, racchiude la carica ritmica della brass band toscana e lo stile ineguagliabile della chitarra di Mark.
Le marcate blue notes s’intrecciano ad eleganti riff, mentre una tecnica invidiabile, inglobata in un raro gusto musicale, regalano 60 minuti di energia contagiosa tra originali e riletture… a tutto funk!
Il debutto di Joss Stone ad Umbria Jazz coincide con un set di raffinata eleganza; un’artista che nonostante l’improvviso successo di circa 20 anni fa, ha saputo mantenere l’attenzione sullo sviluppo della propria musica e non inseguendo facili traguardi commerciali.
Un soul brillante e contaminato che esprime tutta la verve passionale della sua creatrice.
Presenta il suo recentissimo album in un set caratterizzato da un mood mai invadente; forse l’unico limite di una performance che si mantiene costantemente su una linea melodica rilassata; è comunque questo lo stile della britannica Joscelyn che si fa apprezzare, oltre che per la bellissima voce, anche per la naturale simpatia… e per la sua dolce attesa.
La seconda serata del festival è dedicata al Brasile e al suo ritmo più classico con due esponenti amatissimi e seguitissimi, testimoniato dal calore dei tanti presenti al Santa Giuliana.
Marisa Monte prima e il grande Gilberto Gil insieme alla sua famiglia a seguire.
È stata l’occasione di rivedere due vere personalità che inevitabilmente hanno regalato momenti di intense emozioni attraverso suoni ricchi di malinconia e folclore.
Pubblico numeroso e letteralmente in delirio.
Ancora i ritmi latini protagonisti, domenica 10 luglio, questa volta quelli legati alla cultura cubana.
Una serata di rara intensità attraverso un magistrale Gonzalo Rubalcaba al pianoforte e una suadente Aymée Nuviola alla voce; tra tecnica e liricità emozionano con armonie suadenti ed esecuzioni raffinate di classici senza tempo come “El Manisero”.
Di tutt’altra natura il set di Cimafunk, qui i ritmi ostentati tornano protagonisti con un personaggio la cui bravura è stata quella di saper legare la tradizione cubana al soul, funk e l’hip hop.
Il mix, veramente originale, lo sta trasformando come nuovo fenomeno latino; l’energia diventa immancabilmente protagonista e il carisma del frontman esplode in tutta la sua forza.
Un set dove respirare sembra impossibile, l’accelerazione è costante e il trasporto quasi obbligato.
Accompagnato da una band bravissima, un artista coinvolgente già battezzato come il James Brown cubano; unico neo della serata, la scarsa presenza di pubblico.
Jamie Cullum torna sul palco dell’arena a distanza di 5 anni ricalcando la performance regalata nel 2017.
La sua è una raffinata proposta dove un pop mai banale s’intreccia al jazz, allo swing, al rhythm and blues e al rock.
Oltre che le sue ottime qualità vocali emerge quella capacità di saper tenere il palco in modo impeccabile, praticamente funambolico, sfoderando una personalità di artista consumato; la sua eleganza non è mai effimera.
Un vero e proprio crooner dei giorni nostri dove il talento d’autore si fonde alla delicatezza di un linguaggio sonoro mai ostentato ma dinamicamente impeccabile; un altro set di pura iperattività, ma di classe; uno dei migliori di questa edizione.
È tempo di blues sul main stage dell’arena.
Debutto italiano per Christone “Kingfish” Ingram, definito oltreoceano come il futuro di questo suono.
La sua frequenza dei palcoscenici statunitensi è impressionante, basti consultare le date dei suoi tour nazionali.
Questo lo ha reso particolarmente familiare con la dimensione live e il suo set si trasforma in un’esibizione asciutta, priva di facili scorciatoie.
Il ragazzone di Clarksdale suona… suona senza soste! I suoi brani, i suoi soli creano la performance, null’altro; il centro dello spettacolo torna ad essere la musica senza nessuna “scenografia” o distrazione.
Aspetto che evidenzia già una grande maturità.
Una facilità di esecuzione che lo ha reso ormai noto al pubblico del blues e un approccio che si lega spesso al rock e funk implodendo in una dimensione di potente elettricità!
Propone gran parte del fortunato e pluripremiato “662” registrato per la storica Alligator di Chicago.
Kingfish è un artista instancabile che non passa certo inosservato, così come il suo sound.
Gladys Night, Rufus Thomas, Bobby Blue Bland, Al Green e altri, in breve la storia del soul di Memphis, raccontato ma soprattutto cantato da una incantevole Dee Dee Bridgewater, artista che nonostante il tempo passi sorprende per la sua carica e le sue performance vocalmente impeccabili.
Dee Dee è una delle artiste che più di altre è stata ospitata dal festival, presente già nella sua lontana prima edizione.
Da allora è diventata una delle cantanti afro americane più premiate e osannate; le motivazioni si ritrovano anche assistendo ad un suo live; musicalmente inappuntabile è padrona del palco ed entertainment ironica e divertente.
Blues, soul, rhythm and blues e la maestria di una band che abbraccia idealmente la sua leader in 90′ di passione e ottima musica.
Nemmeno una breve interruzione per un problema tecnico, rovina l’atmosfera di una serata di suadente energia. La regina è tornata.
Altra conoscenza del pubblico di UJ quella degli Incognito, band inglese formata nel 1979 per volere di Jean-Paul “Bluey” Maunick unico membro originario rimasto nell’attuale line up.
Creatori del genere acid jazz, il loro è una performance che scorre via senza sbavature, tra funk, soul, jazz e quei groove che li hanno resi celebri.
Non regalano comunque nulla di originale rispetto alle presenze passate se non un sound ben esibito ma legato troppo ad un periodo ormai lontano.
Forse sarà stata la loro proposta musicale poco adatta al pubblico di Umbria Jazz, ma i The Comet Is Coming non convincono particolarmente.
Il trio, sax batteria e sintetizzatori è noto per essere uno dei progetti più originali della scena londinese, ma il loro mix di rock-jazz tra psichedelia e soprattutto elettronica, assume un valore di già sentito, in un sound duro dove la melodia non ha certo una priorità… in pratica assistiamo ad un rave party!
Filosofia completamente diversa quella di Cory Wong che sale sul palco nel set successivo per 90′ di ritmo e armonie dalla forte liricità.
Fusion, funk, soul e groove martellanti, dove i cantati della chitarra di Cory non assumono risvolti virtuosi, anche se ne sarebbe capace, ma interventi per la costruzione di un sound rotondo e melodioso.
È il brano che diventa il vero protagonista e non il singolo elemento.
È una musica “divertente” quella di Wong che esprime positività e atmosfere gioiose in ogni composizioni persino in quelle con cadenze meno forsennate e più malinconiche.
Il pubblico apprezza anche perché lui sul palco offre uno spettacolo nello spettacolo non riuscendo a rimanere fermo per più di un paio di accordi.
E con una band così solida e un ospite come Dave Koz al sax… il gioco è presto fatto.
Cosa si può dire di Herbie Hancock che non sia già stato detto.
All’arena è tornato giovedì 14 con la sua solita verve, la sua ironia, la sua immensa bravura, la sua spettacolare idea di musica.
Un punto di riferimento per intere generazioni e una delle menti musicali più formidabili dei nostri tempi… una vera icona.
Ancora una volta quello che piace è la sua semplicità nel porsi; si presenta in quintetto con una line up strepitosa tra cui Terence Blanchard alla tromba e Lionel Loueke alla chitarra; come sempre lo accompagna un mix straordinario di culture, suoni ed emozioni… forse se vogliamo confrontarla con passate performance quella di quest’anno rimarca l’anima più “suadente” del compositore. E a 82 anni.. Herbie colpisce e sorprende ancora!
Venerdì 15 è la serata di Diana Krall, che torna nella città che la scoprì più di 30 anni fa.
Nel tempo è stata ospitata più volte, la precedente nel 2016 e le sensazioni che emergono sono un po’ le stesse di allora.
Si presenta attraverso un quartetto impeccabile tra cui il fidato Anthony Wilson alla chitarra, offrendo una carrellata di classicità raffinata e sensuale.
Il suo set è musicalmente impeccabile, il suo swing magistrale e inarrivabile, ma quello che non amiamo è il suo atteggiamento di diva che la rende distante e irraggiungibile.
A volte servirebbe solo “perdere il controllo” per la durata di un attimo.
Ha mantenuto la parola data e dopo la cancellazione causa pandemia, finalmente sale sul palco di UJ Sir Tom Jones, sabato 16.
Non in formissima per colpa di una sciatica che lo costringe seduto per tutto il concerto, sa comunque farsi apprezzare per la naturale simpatia e la sua esperienza di frontman.
Ripercorre parte della pluridecennale carriera attraverso i tanti successi ravvivati da nuovi e sapienti arrangiamenti.
Nonostante l’età, la sua voce resta inconfondibile e potente anche se non sempre precisissima; c’è un pizzico di malinconia nelle sue interpretazioni.
Un bel concerto pop supportato dall’ottima capacità della band di garantire sempre una base solida e affidabile. Infine da evidenziare anche la produzione scenica e visiva che arricchisce notevolmente il set di Tom.
Chi ha amato i suoi dischi e la sua passata avventura musicale non è rimasto deluso da un buon spettacolo; particolarmente divertente una spumeggiante versione di “Sex Bomb” a tutto blues!
Attesissimo il concerto conclusivo di questa edizione 2022; sul palco di un’arena stracolma arriva Jeff Beck.
Stile ineguagliabile il suo, che alterna momenti fusion a letture più rock, un linguaggio che lo ha reso un’icona per intere generazioni.
Musicista di poche parole, lascia parlare la sua Stratocaster e i suoi discorsi sono sempre molto affascinanti; in una lunga carrellata di composizioni ormai storiche come “Brush With the Blues” o “Stratus” di Billy Cobham alterna rock, blues e intensità.
Per noi il concerto si ferma qui.
Ricevuto da urla festanti delle sue fan dopo circa 40 minuti, sale on stage Johnny Depp.
Se la presenza dell’attore esalta il pubblico, la qualità musicale perde un po’ di tono, la performance entra in una dimensione discutibile dove la voce e la chitarra di Deep lasciano molti dubbi.
Parte dei brani proposti sono contenuti nell’appena pubblicato “18” come “Isolation” ballata scritta da John Lennon.
La qualità torna ad essere importante solo su ogni intervento solistico di Jeff ma sinceramente non basta; lo spettacolo si trasforma in occasione mancata… o macchina di marketing?
Nemmeno una buona versione di “Little Wing” ci fa cambiare idea.
TEATRO MORLACCHI
Tradizionalmente il palco dove il jazz trova la sua dimensione più classica ospitando protagonisti dell’attuale scena mondiale il cui linguaggio li rende tra i più importanti divulgatori di genere.
Sabato 9 luglio l’immancabile appuntamento con la storia del jazz italiano, Enrico Rava, torna con un sestetto straordinario tra cui Giovanni Guidi, Francesco Diodati, Francesco Bearzatti, Gabriele Evangelista e Enrico Morello.
Seppur la tromba di Rava è presente fin dalle prime edizioni di UJ ogni suo concerto è un’esperienza unica che offre emozioni diverse, intense e a volte contrastanti.
Quello di questa edizione è forse uno dei set più riusciti del leone triestino nelle sue più recenti apparizioni al festival, grazie ad una formazione di spessore e un’intesa che lascia poco al caso.
Ormai Enrico non ha bisogno di elogi ma solo di arrivederci alla prossima avventura.
Un salto di qualche giorno per assistere al concerto di tre tra le stelle più splendenti del mondo jazz attuale; Vijay Iyer, Linda May Han Oh, Tyshawn Sorrey.
Tre diverse e importanti carriere soliste che s’incontrano in un progetto che ha dato alla luce l’album “Uneasy” per ECM e che vedrà in autunno l’uscita del secondo episodio.
Un linguaggio complesso, il loro, attraverso un intreccio continuo di scambi, risposte e reazioni.
Certamente un pomeriggio, non per tutti, quello di martedì 12, ma che ha saputo offrire qualità altissima e dinamiche intense.
Tecniche che fanno scaturire domande; come sia possibile raggiungere determinati traguardi. Lo sviluppo di melodie “difficili” comunque non è mai estraneo al lirismo delle composizioni ed è questo il grande pregio dell’esibizione.
Eccezionali le parti legate alla melodia più pura e semplice, principalmente quella del pianoforte di Iyer.
Concerto bellissimo, di grande impatto, quello che ha riportato sul palco del Morlacchi il cantante Kurt Elling, from Chicago.
Una voce e un controllo che entusiasmano e un artista “diverso” rispetto a come ce lo ricordavamo in passate esibizioni…rinvigorito da una scelta artistica e un progetto intitolato “Superblue” che varia tra jazz, funk, blues e un pizzico di soul.
Il sestetto che lo accompagna è eccellente e contribuisce molto all’esaltazione della bravura di Kurt; alla chitarra c’è il brillante Charlie Hunter che con un approccio decisamente bluesy rende il sound ancora più roboante; ai fiati parte degli Huntertones protagonisti dei free outdoor concert nel centro storico perugino.
C’è una magica atmosfera sul palco; Kurt si diverte e fa divertire in uno dei migliori pomeriggi musicali di questo Umbria Jazz.
Sold out giovedi 14 al Morlacchi per il concerto pomeridiano del pilastro Charles Lloyd in una delle giornate più riuscite del festival.
Il maestro 84enne non delude in poco meno di 80 minuti di personalità, storia e carisma.
Il suo è un linguaggio unico che incredibilmente matura e si rinnova ogni anno seppur non è più certo un ragazzino.
Assistere alla performance di Charles non lascia certo indifferenti, se poi alla chitarra c’è la presenza di Bill Frisell ecco che l’occasione diventa evento da non perdere; il loro è un connubio riuscitissimo e un interscambio di linguaggio costruttore di energie suadenti e melodie insuperabili.
Dolcezza, delicatezza, malinconia; c’è quel non so che di romantico nel suono del sax di Lloyd che difficilmente si può descrivere; unica cosa da fare è partecipare ad una sua performance. Impareggiabile.
Ancora il sax protagonista nell’ultimo appuntamento al Morlacchi.
È una gradevolissima sorpresa quella di Immanuel Wilkins, giovane artista in forte ascesa che debutta ad UJ con il suo progetto solista in quartetto.
In realtà il palco del teatro già lo aveva ospitato qualche anno fa, ma in veste di tournista.
Un musicista di grande sensibilità che riesce a colpire per il delicato feeling del suo approccio.
Il pathos dei suoi brani arieggia di “blues”, le sue armonie sono affascinanti e riescono ad ammaliare per quel lato malinconico ma deciso.
Questo nella prima parte di concerto che poi vira bruscamente.
Tecnica eccelsa che si rende necessaria nel finale del set, qui il concerto viaggia verso ascolti complessi e impegnativi.
Immanuel sembra essere musicista già maturo e visto la sua giovane età, non immaginiamo cosa potrà regalare in futuro.
Bel set ma non per tutti dato l’improvviso cambio stilistico presentato nel corso della performance.
Per dovere di cronaca al Teatro si sono svolti anche i set di Dado Moroni, Christian McBride, Doctor 3, Paolo Fresu, Rita Marcotulli e altri ancora…concerti ai quali non abbiamo potuto partecipare.
Dato l’incredibile corposità, seguire il festival nella sua totalità diventa un impegno di tempistica difficile da completare.
FREE OUTDOOR CONCERT – il centro storico
Sono il cuore pulsante del festival, quelli fatalmente mancati in questo periodo di pandemia.
Con i loro incontri, fatti ed emozioni potrebbero facilmente essere i protagonisti di un romanzo in musica.
Il jazz, il blues, il soul e qualsiasi altro groove della cultura afro americana risuonano negli spettacoli gratuiti che per tutta la giornata trasformano il centro storico perugino; quest’anno con una novità: il palco allestito in piazza Mazzini dove lo swing si è reso principale attrattiva.
Innumerevoli le band che si sono alternate regalando suoni ininterrottamente dalle 13 alle 24 di ogni giorno per tutta la durata del festival.
Livello sempre molto alto e tanti sono stati i ritorni ad iniziare da Sugarpie and The Candymen, con la bellissima voce di Lara Ferrari, gli Huntertones che con la loro incredibile energia hanno contribuito alla riuscita di tanti set, non solo sui palchi gratuiti.
C’è stata anche la grande tradizione di New Orleans attraverso le performance sempre affidabili di Tuba Skinny, del piano di Mathis Picard e della band tutta al femminile delle Shake ‘Em Up Jazz Band.
Il rock n roll e swing dei folli King Pleasure & The Biscuit Boys; le immancabili esibizioni delle orchestre universitarie; gli amatissimi Funk Off in corso Vannucci e tanti altri musicisti che hanno passionalmente costruito le giornate più seguite di UJ22.
Tra i numerosissimi gruppi piace sottolineare la performance dei Sticky Bones, che attraverso un suono brillante e conforme alla tradizione più arcaica del jazz hanno sorpreso per un linguaggio fedele e inattaccabile.
Ottimo anche il set della giovanissima Samara Joy, stella nascente del canto jazz più classico, quello legato alla storia delle voci femminili, ad accompagnarla il trio del fenomenale chitarrista Pasquale Grasso, mentre il grande suono soul è stato rimarcato dalle performance della Anthony Paule Orchestra, ormai una presenza costante, dove una straripante voce di Terrie Odabi ha incantato la piazza IV Novembre ogni sera poco prima della mezzanotte.
CONCLUSIONI
Consuetudine terminare il nostro racconto con i numeri finali del festival che testimoniano il successo dell’edizione 22; 27mila biglietti venduti e un incasso di un milione di euro. Ottimo il successo riscosso da Uj4kids, il programma di eventi per bambini e scuole di musica del territorio, evento nell’evento.
Così come i concerti dedicati al jazz italiano presso la Sala Podiani.
Non dimentichiamo poi l’indotto che il movimento porta e il numero difficile da stimare di presenze nel centro storico durante gli eventi gratuiti.
Una kermesse che continua a puntare e ad incrementare con numeri importanti anche il suo lato social.
C’è però un profilo che piace evidenziare, conseguenza del lavoro di uno staff, di quelle maestranze e tecnici che in modo silenzioso si attivano prima, durante e dopo l’evento; ed è la qualità altissima offerta.
Se l’evento è riconosciuto essere uno dei migliori a livello globale molto lo si deve alla loro affidabilità e capacità.
C’è già chi è al lavoro per l’edizione 2023 quando il festival compirà 50 anni…si prevedono meraviglie.
Umbria Jazz ha un solo difetto… ci abitua sempre troppo bene.
Simone Bargelli
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