I significati di un evento come Umbria Jazz sono molteplici. In quarantotto anni ha cambiato le prospettive di una città come Perugia, ha arricchito la cultura della sua gente, ha inglobato diversi modi di essere e pensare, ha arricchito anche economicamente un centro che puntualmente si prepara e trasforma la sua veste per accogliere i dieci giorni di luglio. La pandemia ha interrotto questa magia cancellando UJ 2020; per questo l’edizione 21 assume un concetto di ripresa, che va oltre i significati elencati, diventando una sorta di medicinale; speranza per i mesi futuri. Certo; è un’edizione incompleta, senza il cuore pulsante dei Free Outdoor Concerts del centro storico, ma comunque una kermesse che mantiene altissima quella qualità che l’ha resa nota in tutto il mondo. Ed esserci è una bella boccata d’ossigeno per chiunque, anche per quelli che la musica la ascoltano in lontananza o con distrazione. Nel nostro consueto racconto partiamo dalla giornata del 9 luglio, seppur il festival abbia avuto la sua anteprima, cosa che ormai accade da qualche anno, nei due giorni precedenti. Apertura affidata al trio di Emmeth Coen, volto tra i più apprezzati dell’attuale scena statunitense. Un genio musicale che tralascia quel tecnicismo asettico del quale è assoluto padrone, impegnandolo in un set di rara passione ed emozione; caratteristica dei grandi. Ottanta minuti d’intensa bellezza, ricchi di swing, cuore e un po’ di blues, all’insegna della scuola jazz più classica; Armonie di velluto che inglobano magistralmente il talento vocale di una giovane ed emozionata Samara Joy McLendon, che proprio nella data perugina festeggia l’uscita del suo album solista. Emmeth sarà presente nel corso del festival nei concerti mattutini e pomeridiani.

È una serata all’insegna della tradizione quella del 9 luglio, proseguita con un gradito ritorno; Wynton Marsalis & Jazz at Lincoln Center Orchestra. Considerata tra le più prestigiose espressioni orchestrali mondiali, il concerto, esclusiva italiana per UJ, offre uno spaccato di storia americana attraverso brillanti arrangiamenti di composizioni passate lavorate finemente da Wynton; una vera e propria istituzione culturale composta di musicisti d’incredibile spessore, dove blues, jazz e storia s’incontrano prontamente. C’è poco da dire, bisogna solo ascoltare. Brividi durante l’esecuzione di “Good Morning Blues” di Leadbelly. Per il popolo di Umbria Jazz parlare di Stefano Bollani è ormai abitudine; torna all’Arena insieme al suo immancabile piano dopo che in questi anni i suoi numerosissimi progetti lo hanno decretato tra i beniamini del festival. Diventato anche volto televisivo, Stefano offre come sempre un concerto dai risvolti tecnici che rasentano la perfezione, emozionando ancora. Il suo concerto, tributo a Chick Corea, parte con le immagini di una serata del 2009 quando i due, insieme sul palco, marchiavano una pagina diventata storia del festival. Continua con le composizioni più e meno note del maestro scomparso. Il gusto, la naturalezza e consapevolezza legati a quel suo lato ironico, lo rendono musicista unico, che incanta come sempre. La serata del 10 luglio è proseguita con il quartetto di Billy Hart, batterista legato in parte al rhythm and blues dato i suoi inizi nelle band di Otis Redding e Sam and Dave.

Nei suoi percorsi musicali Hart, oggi ottantenne, ha incrociato i più grandi del jazz mondiale; il suo concerto perugino è caratterizzato da un approccio intimista, attraverso movimenti riflessivi, intercalati da melodie più standard. È uno show caratterizzato da un forte lirismo; un linguaggio non sempre semplice che necessita comunque di un orecchio attento. Musicisti eccezionali con una forte intesa. Tra i membri del quartetto anche il bravo Ethan Iverson al piano, già presente ad UJ con i suoi progetti solisti nelle passate edizioni. Spazio alle giovani generazioni del jazz, lunedì 12 luglio, con la formula piano e voce salgono sul palco dell’arena Cecile Mclorin Salvant e Sullivan Fortner. Già collaboratori nel bel cd intitolato “The Window” regalano un set di grande intensità ed espressività. Cécile, non è nuova al pubblico di UJ, l’avevamo già ammirata nelle precedenti apparizioni per una vocalità fuori dal comune, saltellando fra tradizione e innovazione. Oggi stupisce ancora di più; artista straordinaria che colpisce per una maturità prorompente, seppur ancora giovanissima. Sullivan è il giusto compagno di viaggio; completa con gusto e concretezza il genio vocale della Salvant. Armonia, fraseggio e melodie, tre elementi che racchiudono il segreto di una serata magica. Poco pubblico all’arena per un concerto di altissimo livello artistico tra riletture di Sting e Burt Bacharach. Magistrale la versione di “Spoonful” di Willie Dixon. La pluriculturalità e tutte le sue sfaccettature nel concerto seguente quello del progetto chiamato Bokanté.

Nella lingua creola Bokanté significa scambio. Linguaggi che s’incrociano, che si scontrano, per poi inglobarsi in nuovi suoni ed esperienze mai provate. Questo è il risultato di una costola dei Snarky Puppy, tra african beat, jazz, pop, soul e folk. Un mix di suoni, un connubio riuscitissimo tra nove musicisti che potrebbe definire il percorso di un nuovo mondo musicale, tra world music e psichedelia. Set, per gran parte composto di originali, in una serata affascinante quanto magica e inusuale per la platea perugina. Ottanta minuti e oltre fatti di ritmi e linee melodiche che catturano l’inconscio e arricchiscono l’anima. Due pilastri del jazz hanno animato l’arena nella serata del 14. Brad Mehldau, pianista particolarmente amato dal pubblico perugino, fin dai suoi esordi risalenti ai primi anni 90; apre insieme al suo trio, il miglior modo per godere del suo talento. Brad è artista capace di ribaltare il tecnicismo del linguaggio jazz favorendo la ricerca delle emozioni. Artista dotato di una sensibilità straordinaria, offre ancora una volta un set da incorniciare attraverso melodie estrapolate da album passati come la composizione intitolata “Twiggy” ma rileggendo anche brani per natura”distanti” fra loro, dal repertorio di Charlie Parker fino a quello dei Beach Boys. Quello di Branford Marsalis era tra gli appuntamenti più attesi di questa edizione.

Discograficamente è reduce dalla creazione della soundtrack del film “Ma Rainey’s Black Bottom”, a ricordare le sue innumerevoli variazioni produttive durante la lunga carriera. Jazz, blues, rock e tanto altro è stato masticato da uno dei geni di casa Marsalis. Un set di gran classe, dove emerge tutta la possanza di un artista che con gusto e semplicità rende qualsiasi nota così naturale e toccante. Coadiuvato da un quartetto sensazionale in un susseguirsi incessante e dinamico di emozioni, da quelle colorate di malinconia a situazioni più frenetiche, ricche di energia. Non possono mancare intermezzi “blues” dai toni marcatamente più tradizionali, dove l’autenticità e il suo linguaggio genuino esaltano tutte le qualità dei singoli. Il concerto di Branford è un gran concerto, tra i migliori di questa particolare edizione. È certamente un festival diverso, quello di quest’anno, con tante incertezze, eventi cancellati e ritiri dell’ultimo minuto, come quello di Imany, artista che eravamo curiosi di vedere live. Purtroppo il covid ha colpito il suo staff; questo ha costretto l’organizzazione ad annullare l’evento. Così come la data che avrebbe dovuto scaldare l’anima funk di UJ con Cimafunk, anche qui purtroppo il virus è diventato responsabile del suo mancato svolgimento. Inoltre, le previste partecipazioni di Edmar Castaneda con Grégoire Maret e Gino Paoli sono state cancellate per cause non dipese dalla volontà dell’organizzazione. La serata del 15 ha comunque visto come protagonista un amico di UJ, Paolo Fresu con il suo omaggio a David Bowie.

Carrellata di successi firmati Duca Bianco, puntualmente riarrangiati e cantati da un’ispirata Petra Magoni. L’impronta rock è marcatamente costruita sul lavoro ritmico di Christian Meyer, mentre la tromba di Paolo è la ciliegina sulla torta, che crediamo, sarebbe piaciuta molto anche allo stesso Bowie. L’esecuzione è di qualità, ma è la rilettura così brillante e fresca dei brani che colpisce, distanti dalle versioni che ben conosciamo ma sempre strettamente connessi all’originale. Ottime le nuove vesti di “This Is Not America”, “Space Oddity” e  “Life on March” sul tappeto armonico della chitarra di Francesco Diodati. La pioggia non ferma una vera forza della natura. Angélique Kidjo sale sul palco dell’arena venerdì 16 luglio con una carica di energia invidiabile.

Presenta il suo nuovo album “Mother Nature” in un mix di funk, etno, salsa e suoni tipici della sua terra Africa. Presentatasi in quartetto, il set è un concentrato di ritmi musicali e messaggi riflessivi, su come ognuno di noi è responsabile per la vita dell’ambiente che ci ospita. Esplode in un insieme di colori, note, groove e passione proponendo anche diversi pezzi salsa presi dal repertorio di Celia Cruz. Ingloba nella sua figura quella grande dignità e potenza di un personaggio iconico. Emoziona nei momenti più melodici, fa ballare in quelli più ritmici. Un’altra serata da ricordare. Un’onda struggente di melodia, passione, tecnica e malinconia ha caratterizzato la serata di domenica 18 con la musica di Astor Piazzolla e l’omaggio del Quinteto Astor Piazzolla nella ricorrenza del centenario dalla sua nascita. Concerto essenziale dove colpisce la tecnica dei 5 musicisti tra cui quella del violino di Serdar Geldymuradov. A seguire il concerto del maestro Danilo Rea; doveva esibirsi insieme a Gino Paoli, ma la sua inattesa assenza ha costretto il pianista vicentino ad un set totalmente improvvisato; il risultato è stato d’eccellenza.

I Funk Off, ormai immancabili da circa venti anni, concludono la giornata con la consueta energia, diventando una specie di punto di contatto per l’edizione che verrà e un arrivederci per tutti coloro che torneranno ad UJ. Ogni giorno presso il ristorante dell’arena la brava pianista romana Francesca Tandoi ha saputo intrattenere con buongusto e stile il pubblico presente; ne sentiremo parlare. Se come ogni anno il main stage ha ospitato gli eventi di maggior richiamo, sono comunque altri i palcoscenici più inclini al vero dna del festival. Il teatro Morlacchi è da sempre il suo cuore pulsante. Il suo programma diventa spesso un festival nel festival con una scelta più purista e di settore. In questa edizione il palco è stato occupato da un interessante rassegna di orchestre italiane. Concerti che hanno dato valore a musicisti nostrani e che hanno evidenziato, ancora una volta, l’ottima salute che vanta la scena jazz tricolore. Tra i tanti set ne abbiamo scelti tre. Quello della New Talents Jazz Orchestra insieme al clarinettista umbro Gabriele Mirabassi, dedicando il live alle musiche di Fellini e le composizioni del maestro Rota; pomeriggio di ricordi associando inevitabilmente melodie e immagini. Concerto all’insegna dello swing più tradizionale quello di Nick the Nightfly con la rilettura dei successi di Sting. Nick, non sempre vocalmente impeccabile, riesce a conquistare il pubblico con la sua esperienza e simpatia. Grande energia, ottimi arrangiamenti, bravissimi musicisti, per uno dei pochi sold-out di quest’anno. Un set di sostanza ed eleganza musicale quello che si è tenuto sempre al Morlacchi nella giornata conclusiva. La ERJ Orchestra (Emilia Romagna Jazz) protagonista; ensemble dove la coesione racchiude il segreto per un risultato di livello. Composta da bravissimi musicisti di casa nostra, la ERJ rilegge con sensibilità e coerenza brani più e meno noti della storia del jazz.

Intensa la rilettura di “Con Alma” di Dizzie Gillespie così come “Ojos de Rojos” brano di Cedar Walton; tra i migliori momenti del concerto il blues originale intitolato “Fair-play”. Il programma di Umbria Jazz 2021 è stato completato dalle performance di: Mauro Ottolini and Sousaphonix, Enrico Rave e Fred Hersch, Julian Lage Trio, Dino Piana con il progetto “Al gir dal bughi”, Gianluca Petrella con il progetto “Correspondence”, Gonzalo Rubalcaba e Aimée Nuviola Band, più le numerose orchestre presenti al Morlacchi e tanti altri musicisti che sicuramente abbiamo dimenticato (non ce ne vogliano!). UJ chiude questa difficile edizione con un risultato artistico come sempre impeccabile. I numeri non possono essere paragonati a quelli di una normale edizione, ma comunque c’è la piena soddisfazione dell’organizzazione. Un festival che è diventato in questi recenti anni sempre più social. Per chi volesse rivivere alcune emozioni, vi consigliamo, attraverso la pagina Facebook di Umbria Jazz, la visione di bellissimi filmati dei concerti e interessanti interviste dei protagonisti; ricordando soprattutto che l’evento è costruito da persone invisibili che lavorano costantemente per la sua riuscita e qualità. Difficile, per non dire impossibile, assistere ad un brutto concerto ad UJ e gran parte del merito è soprattutto di questo popolo “silenzioso”. A loro inviamo il nostro grazie, ai nostri lettori l’invito di non perdere la prossima edizione del festival, perché in fondo… c’è sempre un blues ad Umbria Jazz.

 

Simone Bargelli

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