Pronti via! Dieci giorni di emozioni, musica e colori, anche quest’anno dal 13 luglio, per un totale di 250 concerti, tra jazz e non solo! La 45esima edizione di Umbria Jazz si apre con quello che da molti è considerato il grande evento di questa estate perugina. Un evento nell’evento che ha festeggiato gli 85 anni di una delle personalità più influenti del music business, il re Quincy Jones sale sul palco dell’ Arena Santa Giuliana contornato da un gruppo di star che in passato hanno collaborato con il polistrumentista/produttore; Noa, Dee Dee Bridgewater, Patti Austin, Take 6, tanto per citarne alcuni. È la serata delle grandi occasioni in un’arena colma di pubblico per festeggiare il maestro e riascoltare parte dei suoi successi eseguiti dalla Umbria Jazz Orchestra diretta da John Clayton dove si evidenzia la presenza del basso di Nathan East.
La serata condotta da Nick the Nightfly, si alterna tra la partecipazione degli ospiti, le riletture dell’orchestra, i racconti riguardanti la carriera di Q, l’intervista e l’ascolto dello stesso Jones che, seduto sul palco, si gode e ammira le impeccabili performance. Più passano i minuti più ci si rende conto quello che questo uomo è stato per la musica moderna. Le composizioni di Jones più legate al blues vengono cantate da una strepitosa Dee Dee Bridgewater; brani che sono stati portati al successo da Sara Vaughan e Ray Charles, mentre la conclusiva “Let The Good Times Roll” ci fa subito ripensare ai consigli dati dal maestro di Chicago a tutti i musicisti, in particolare quelli più giovani; “Rimanete legati alle vostre radici” . Fra pop, jazz, funk, blues e bossa nova Umbria Jazz parte con il botto…ed è solo la prima!!!! Una piccola premessa va fatta prima di continuare il nostro racconto. In questi ultimi decenni il festival ha aperto le porte a tanti generi musicali ma ha sempre mantenuto una forte coesione con il blues fin dalle sue prime edizioni (basta ricordare la partecipazione di Buddy Guy e Junior Wells nel lontano ’78). Cercheremo di trattare gli eventi più connessi ad esso, ma ad Umbria Jazz il blues non assume solo un valore di note, bensì di sentimenti, di quello che è un approccio alla musica vero e autentico, perché in fin dei conti che cos’è il blues se non il linguaggio di esprimere quanto più di sincero ognuno ha nella propria anima.
Suonerà strano ma, con questa visione, va dato atto che uno degli artisti più “blues” di UJ è stato Paolo Fresu che con un sold out nel pomeriggio al teatro Morlacchi di sabato 14, è salito sul palco insieme al suo Devil Quartet. Premiato prima del set dalla fondazione Cassa di Risparmio di Perugia come testimone e divulgatore del jazz italiano nel mondo, Paolo stupisce ancora per la sua incredibile eleganza e sensibilità musicale seppur non è certo una novità per il festival. Accompagnato da Bebo Ferra, Paolino Dalla Porta e Stefano Bagnoli, il concerto è la trasposizione live del recente “Carpe Diem”, progetto totalmente acustico pubblicato nel febbraio scorso. Dopo la presenza all’ Arena in occasione della celebrazione di Quincy Jones, Fresu e compagni concedono uno show di rara qualità e intensità. Il jazz italiano non è mai stato così bene e ascoltare la tromba di Paolo soprattutto nelle composizioni più slow, ci fa subito immaginare che forse un po’ di blues nei suoi ascolti passati ci sia stato. Da li a qualche ora il Morlacchi è di nuovo protagonista con il concerto di mezzanotte. Tutto ciò che è possibile fare con la voce, loro lo fanno. Performance strepitosa quella dei pluripremiati Take 6 che con i loro arrangiamenti fuori dal comune, omaggiano l’icona Al Jarrau, attraverso melodie che saltano tra gospel, rhythm & blues e soul. Oltre al livello musicale assoluto aggiungono anche un’ironia elegante e mai scontata. Più passano i minuti e più ti chiedi, come possa essere possibile fare quello fanno…una naturalezza e dinamicità pazzesca. Ti fanno ricordare quanto sia incredibile quello strumento con il quale abbiamo a che fare tutti i giorni; la voce! Sembrerà a molti strano ma le note più blues di questo festival sono state emesse da Roy Hargrove.
Il trombettista texano è ormai un habitué di UJ e dopo un set, la cui prima parte è perennemente legata ai toni più virtuosi del jazz, decide di dedicare circa 20 minuti al sound di New Orleans. Che Roy sia un personaggio stravagante e imprevedibile si sa ormai da tempo e i suoi fan lo sanno bene, ma veramente inaspettato è stato questo momento. La sua tromba risuona di melodie antiche, quando il blues si affacciava ai primi del ‘900, e quando la città della Louisiana, da li a poco, sarebbe stata fonte per quel suono polietnico di cui oggi è ricca. Un momento ce ricorderemo a lungo soprattutto per l’autenticità di quel sound che sembrava proprio arrivare da un album dell’epoca. Dopo l’ondata di pubblico e gli eventi più pop di questo UJ #45, si è tornati ad ascoltare fraseggi più consoni al dna del festival, anche se non propriamente jazz. Il 18 luglio all’Arena è la volta di due nuove voci internazionali che hanno fatto molto parlare di sé con i recenti progetti. Nel primo set protagonista è Somi, giovane artista statunitense di origini ugandesi/ruwandesi il cui stile, definito afro-jazz è estremamente connesso ai suoni di mamma Africa e alle strutture più legate alla classicità jazz delle grandi voci.
È la grande sorpresa di questo festival, grazie ad un innato carisma, una schietta eleganza e quel riuscito connubio armonico che compone una personalità musicale rara; una performance in continuo equilibrio tra sensibilità e intensità attraverso una voce magnifica; splendida la versione di “Englishman in NY” re intitolata “Alien”; il concerto di Somi non è solo musica ma racchiude anche tanti messaggi; invito alla convivenza, attenzione verso le genti più povere e quei popoli sfruttati e dimenticati. I suoi assetti riconducono spesso a quelle origini del blues che arrivano dai ritmi africani anche se la personalità della giovane artista è sempre ben presente…qualità altissima. Benjamin Clementine è invece una delle più recenti scommesse della scena inglese. Autore di due album e un successo immediato, si fa ammirare per la sua unicità e complessità vocale. Personaggio atipico e stravagante, riesce a comunicare la sua emotività attraverso uno show scarno ma ricco di contenuti. Una musica, la sua, che a volte assume dei lati oscuri, anche schizofrenici, difficile da collocare ma comunque interessante per chi non si accontenta della “normalità”; una forte matrice black è senza dubbio immancabile nel suo genio creativo. La serata più bella all’Arena; un’occasione mancata per chi era assente, un momento indelebile per il pubblico presente, non così numeroso come lo show avrebbe meritato. Umbria Jazz è da molti ricordato per i suoi free outdoor concerts, quei set gratuiti che si svolgono nel centro storico di Perugia dalle 13 del giorno fino a notte inoltrata per tutta la durata del festival. E’ questa la parte dove poter ascoltare i suoni maggiormente legati alla cultura afro-americana più popolare.
Il un contesto di divieti e permessi criticabili per le nuove norme vigenti (da rivedere forse) va dato atto che il pubblico è stato tanto e sempre collaborativo. Una delle novità è stata la partecipazione di Bob Malone; cantante, tastierista e songwriter tra i più attivi in America con una media di cento concerti l’anno. Attualmente fa parte del gruppo di John Fogerty, eroe del rock a stelle e strisce per essere stato il leader dei Creedence Clearwater Revival. Nel suo background ha suonato anche con Al Green, The Neville Brothers, Dr. John dal quale ha preso tanto. Lo stile è quello più legato al rock blues di matrice seventies, dove il forte impatto sonoro si lega perfettamente ad un’ottima presenza scenica. Abile attraverso il suo piano, Bob è un vero e proprio animale da palcoscenico. The New Orleans Mystics, sono invece un gruppo vocale che viaggia tra un repertorio soul, rhythm and blues e motown. Già attivi negli anni settanta, mostrano tutta la loro esperienza on stage, riproponendo soprattutto brani dei Temptations come “Papa Was A Rolling Stones”. Senza dubbio il connubio ben studiato e affiatato li ha resi tra i protagonisti d’intrattenimento più seguiti di questi set gratuiti. Anche Rockin’ Dopsie & The Zydeco Twisers va annoverato per il forte richiamo riscontrato, ma, a differenza dei suoi colleghi, il suo set appare spesso ostentato e a volte approssimativo. Assente da cinque anni sui palchi di UJ, propone uno show come sempre legato al blues, funk e zydeco ma quello che poco convince è la volontà di presentarlo più come momento per far festa che non un concerto musicale. Chi invece riesce a rendere bene questo connubio sono gli Huntertones da Brooklyn, che tornano dopo l’esordio dello scorso anno sempre con la loro vivace miscela di funk, soul, hip hop attraverso la vitalità di un’ottima sessione di ottoni. Altra novità sono stati i Con Brio, giovane gruppo proveniente dalla bay area di San Francisco, pieni di energia e ritmo attraverso un funk-soul costruito per muoversi. Non sempre impeccabile la tonalità di Ziek McCarter, frontman e voce, ma a sua discolpa va riconosciuto che la performance è una vera e propria attività ginnica in costante movimento. Non è mancata nemmeno la psichedelia, sul palco di Piazza 4 novembre con lo storico gruppo brasiliano degli OS Mutantes, in un unico set svoltosi venerdì 20 luglio. Sono addirittura tre i set proposti nell’ultimo sabato all’Arena Santa Giuliana, ad iniziare dagli Hypnotic Brass Essemble da Chicago. Fra soul, funk, ritmi caraibici e hip hop la performance dei nove, di cui sette fratelli, è stata elettrizzante e ricca di brio. Un connubio di fiati che richiama anche allo stile delle brass band più genuine, in una evoluzione musicale dalle forti alchimie e sound belli potenti.
La HBE sono un’altra bella sorpresa di questo eccellente UJ #45. Ritmi ancora più sostenuti ed eccentrici nello show seguente, con il talento di Nik West, giovane bassista in forte ascesa. La carismatica e bella Nik non passa certo inosservata con il suo look vistoso e colorato, ma attenzione, lei è soprattutto una brava musicista e lo fa capire con brani di matrice molto black dove i forsennati ritmi funk inglobano le fondamenta di uno stile personale. C’è tanto rock nel suo proporsi e le reminiscenze con alcune atmosfere di Prince (del quale ripropone “Let’s Work” e “Kiss”) sono inevitabili. Forse unica nota stonata (si fa per dire) è un groove troppo legato a un beat che non cambia per tutto il concerto. Appuntamento dedicato alla vocalità quello che chiude ufficialmente il programma dell’ Arena. Quarta partecipazione per Melody Gardot, la raffinata cantautrice del New Jersey, che ha “scoperto” la musica in seguito ad un incidente in bici. Come sempre il suo spettacolo è legato alla conturbante e suadente personalità capace di creare atmosfere accattivanti e patinate. Jazz, ritmi latini e ballate che risuonano di pop e un pizzico di blues, per 80 minuti di pura eleganza. Note malinconiche che passeggiano su melodie ricche di passione e sentimento; la musica della Gardot tocca il lato più sensibile di chi l’ascolta. Bellissima la performance di “Our Love Is Easy”, ma è con il morbido blues di “Who Will Confort Me” che incanta, in uno dei concerti più intensi di questo UJ 2018. Ancora un set all’insegna del romanticismo quello di Gregory Porter, il gigante buono potremmo chiamarlo, che immerso nella Umbria Jazz Orchestra omaggia il mai dimenticato Nat King Cole.
Momento ancorato ai ricordi e agli arrangiamenti finemente lavorati parte dei quali si possono ritrovare nel recente Tributo discografico. Concludendo questo lungo racconto permetteteci di ricordare le tante orchestre ascoltate e a rappresentanza di questa importante parte del festival, citare quella del pomeriggio di chiusura al Morlacchi; la New Talents Jazz Orchestra. L’essemble tutta italiana è composta da giovani musicisti di casa nostra provenienti da varie regioni. Il progetto nato qualche anno fa e portato avanti grazie alla Fondazione Musica per Roma è diretto da Mario Corvini, noto personaggio della scena romana. Il set perugino ha previsto l’ospitata di Roberto Gatto (batteria) e Daniele Tittatelli (sax), che insieme a un’orchestra di talenti puri hanno presentato “Extempora”, l’album inciso per Il Parco della Musica records. Tra dimensioni classiche per il suono orchestrato e interpretazioni più sperimentali, il set, di raffinata esecuzione, diventa testimonianza di quanto sia viva la scena jazz italiana e di come la bravura dei suoi musicisti possa raggiungere i più alti livelli internazionali senza andare sempre alla ricerca di chissà cosa, in contesti stranieri. Umbria Jazz 2018 è stata l’edizione dei record con 1 milione e 450 mila euro di incasso da biglietti e merchandising e circa 35.000 paganti. Un grande risultato e al contempo una conferma per una kermesse che è stata recentemente oggetto di una legge che la definisce manifestazione di interesse nazionale. Sono queste le cifre di un festival che ha coinvolto oltre 500 artisti per 10 giorni di grande musica, da mezzogiorno a tarda notte. Altro dato importante ha sancito UJ come il terzo festival al mondo, di questo genere, sui social con numeri da capogiro; tre milioni di utenti raggiunti su FB e Instagram; ma oltre a queste cifre quello che piace sottolineare è soprattutto la qualità proposta, non solo nella scelta degli artisti ma quella della macchina organizzativa e soprattutto dei tecnici e fonici che riescono a rendere gli show acusticamente perfetti senza penalizzare mai nessun artista. L’appuntamento è per il 12 luglio 2019 quando partirà la nuova edizione, prima però si passerà per Orvieto per la versione Winter, il 28 dicembre e Terni per quella Spring, nei primi mesi del 2019.
Simone Bargelli
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