È partita nel secondo weekend di Luglio, come tradizionalmente accade da più di quarant’anni, la nuova edizione di Umbria Jazz e lo ha fatto, come sempre, con i suoi numeri da capogiro; più di 250 concerti con eventi correlati nei consueti 6 stage in oltre 10 giorni di programmazione (anteprima inclusa).
Un festival, quello Perugino, che trasforma letteralmente la città inondandola di suoni dei più disparati; pop, soul, funk, blues e jazz naturalmente…….una rassegna che in tempi di globalizzazione ha saputo trasformarsi edizione dopo edizione rendendo la parola contaminazione il giusto sottotitolo (col dispiacere dei puristi) di quella cultura per la quale è nata nel 1973. E’ pur vero che non c’è jazz senza blues… e se in molti riconoscono questo genere come tale, altri lo intendono più come filosofia o modo d’approccio a qualunque sia la musica proposta. Se parliamo di genere tangibile e immediato, forse di blues quest’anno se ne è sentito poco rispetto alle passate edizioni, ma per chi ha una sensibilità più profonda…il “blues” è stato presente in dose massiccia anche nell’odierno 2015. Partiamo con i protagonisti dichiaratamente portatori della cultura afroamericana più classica ad iniziare da Frank Bay and Anthony Paule. La band (strepitosa), è stata tra le più apprezzate e seguite nella parte del festival denominata ”Free Out Door Concerts”; quei concerti gratuiti che si sono susseguiti nel centro storico (Giardini Carducci) dall’una del pomeriggio fino dopo la mezzanotte.
La loro proposta si alterna tra ritmi soul e blues più classici attraverso brani originali provenienti dai loro tre album, dove la bella voce di Frank ha sempre un ruolo di primordine. Formazione composta di nove elementi, tutti eccellenti, piace sottolineare la grinta di Nancy Wright al sax, l’efficacia di Mike Rinta al trombone e la potenza di Loralee Christensen ai cori….ovviamente sotto la direzione dell’elegante e magistrale chitarra di Anthony la cui ultima presenza ad UJ risaliva al 2003 quando militava nella Johnny Nocturne Band. Di tutta altra matrice la proposta fatta da Patrick Williams insieme ai Blues Express; l’armonicista di New Orleans propende per un suono più orientato verso il rock blues, rielaborando classici (a volte in modo pasticciato) di Stevie Ray Vaughan, Jimi Hendrix e Don Nix sempre comunque ricchi di energia; è però negli slow quelli più tradizionali che lui e la sua band fanno capire di che pasta sono fatti. Se Patrick si presentava come novità per i palchi perugini di UJ, le performance di Larry Monroe e Donna McElroy Nonet sono ormai una costante sempre apprezzata dal pubblico del centro storico attraverso un rhythm blues che vira sul versante jazz più orchestrato e un funk più ritmato e classicheggiante. Parlando di funk più ostentato non possiamo non menzionare i concerti seguitissimi della giovane Alissia Benveniste, talentuosissima bassista proveniente dalla Berklee School of Boston che insieme ai suoi Funketeers hanno fatto ballare le migliaia di giovani accorsi in Piazza Quattro Novembre ogni sera per tutta la durata del festival. La critica americana la indica come una delle più futuribili stars del black funk… all’altezza di James Brown del quale è grande estimatore… vedremo. Terminando il resoconto sulla parte gratuita del festival ci piace indicare i nostrani Sugarpie and The Candymen come una delle più belle sorprese che quest’anno, la loro rilettura in un’originale e brillante chiave swing dei classici di sempre tra cui anche quelli di Louis Armstrong e Muddy Waters ci hanno veramente entusiasmato grazie ad uno stile impeccabile, la bella presenza e voce di Georgia Ciavatta e il fluido chitarrismo di Renato Podestà e Jacopo Delfini. Passando al Main Stage dell’Arena Santa Giuliana, quello dove si svolgono gli eventi più popolari e di richiamo, va innanzi tutto ricordata la grande affluenza di quest’anno (oltre 35.000 biglietti venduti) cosa che non accadeva da un po’ di tempo e senza ripetere di alcuni eventi fin troppo mediatici, ci piace invece soffermarci sul concerto dell’affascinante Cassandra Wilson, una delle voci più straordinarie del jazz dei nostri tempi.
Già in passato aveva offerto progetti strettamente legati al blues ed in parte lo fa anche nella pubblicazione del nuovo “Coming Forth By Day” lo stesso presentato all’arena, omaggio all’immensa Billie Holiday nel centenario della sua nascita. Gli oltre settanta minuti di set si sono trasformati in una dimostrazione di stile, eleganza e passionalità attraverso una naturale sensualità vocale; Cassandra alterna momenti di struggente melodia ad attimi di potente intensità… la versione di “Strange Fruit” non ha eguali. Supportata da un sestetto di altissima qualità, diventano decisivi, per il “colore” blues delle esecuzioni, gli interventi della chitarra di Kevin Breit, creatore di suoni asciutti e definiti. Ora passiamo a quegli appuntamenti che apparentemente (ma solo apparentemente) dovevano essere meno legati al blues ma che in realtà hanno offerto emozioni costanti dovute ad un approccio a volte più “sentito” di chi questa musica ne fa il proprio marchio. Va sottolineato inoltre che il pubblico presente, in maniera involontaria, ha fatto partire gli applausi (per il 90 percento dei casi in gran parte dei concerti) durante l’esecuzione delle “blue notes” ….riflessi incondizionati ma ricchi di significato!!!! Molti di questi eventi si sono svolti al Teatro Morlacchi, palco prediletto dai jazzofili più ostinati.
Qui però anche loro si sono dovuti arrendere alle atmosfere bluesy offerte da Jakob Bro, giovane compositore e chitarrista danese che in alcuni momenti ha suonato riff quasi eterei attraverso una slide spiccatamente allacciata al blues…nascosto soltanto da un’ondata di effetti e riverberi estenuanti. Certamente non parliamo di proposte in dodici battute, ma il messaggio del suo esecutore e l’amore per le origini è sembrato evidente. Tutto ci si aspettava da una leggenda del jazz come Bill Frisell, che si è esibito sempre in un Morlacchi esaurito, una proposta come quella alla quale abbiamo assistito. L’esecuzione di brani come “Messin’ With The Kid” o “ Pipeline” ha fatto emergere il bluesman che è in lui dimostrando che il messaggio contenuto nel suo recente progetto “Guitar in the Space Age” è palese; solo la ricerca di certe origini potrà farci immergere in un futuro sempre più tecnologico….e ascoltare il suo “spaziale” country-blues ci ha letteralmente scosso ma anche rassicurato al tempo stesso…gli interventi della lap steel guitar di Greg Leisz hanno poi fatto il resto. Tanti, tantissimi i concerti di UJ, sempre all’insegna dell’alta qualità dei suoi esecutori e dei set proposti, questa è da sempre una costante imprescindibile che in questa edizione ha raggiunto livelli inattesi e il pubblico ha risposto in maniera concreta con numeri da brividi (oltre 450.000 presenze in tutta la durata della kermesse). Certamente molti momenti ce li siamo già dimenticati (ci perdoneranno i musicisti che non abbiamo menzionato), altri li porteremo sempre con noi ma il risultato è chiaro a tutti…dopo le tante critiche ricevute in questi ultimi anni, il festival ha preso le sue giuste rivincite!! Al prossimo anno.
Simone Bargelli
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