trudy lynn

Trudy Lynn – Houston Blues & Soul Lady

di Matteo Bossi

Ci sono cantanti dalla carriera lineare, altre invece pur avendo cantato da sempre hanno dovuto attendere più a lungo per avere la propria occasione. È il caso di Lee Audrey Nels, meglio nota come Trudy Lynn, nata e cresciuta nel quartiere Fifth Ward di Houston, Texas, ha cantato praticamente dall’adolescenza, tuttavia, ha potuto incidere il primo album a suo nome solo nel 1989, quando ha firmato per la Ichiban pubblicando “Trudy Sings The Blues”. La incontriamo per l’intervista nella lobby del suo hotel di Lucerna, la sera successiva si esibirà al festival come parte della revue dell’etichetta Nola Blue, casa del suo lavoro più recente, “Golden Girl”. Seduto di fianco c’è un musicista che invece è ancora adolescente, Harrell “Young ‘Rell” Davenport, che per l’occasione è il chitarrista dell’ensemble. A Trudy non importa nascondere l’età, “I’m 77 and still kicking!” esclama ad un certo punto della nostra conversazione, scoppiando subito a ridere. “Sono nata a Houston, Texas, mi sono diplomata nel 1965 e non ho smesso di cantare da allora, in pratica…mi ricordo che mio padre parlava di Bobby Bland o Johnny Guitar Watson, per strada vedevo passare Willie Mae Big Mama Thornton, registrava per Don Robey della Duke/Peacock,  Lightnin’ Hopkins era un parente, era nato vicino a Crockett, Texas. Eravamo una famiglia numerosa, sei fratelli, tre maschie e tre femmine. Sul portico di casa organizzavamo dei talent show e ho fatto di tutto, cantato doo-wop, soul, gospel, rhythm and blues, ma il blues mi piaceva più di tutto. E poi ho cresciuto i miei figli da sola, ma ce l’ho fatta ed eccomi ancora qui…il primo figlio l’ho avuto nel 1967, ne ho avuti tre, ma il più giovane è scomparso. Non ho mai smesso di cantare”.

La musica, insomma, era una costante nella sua famiglia e certamente Houston negli anni Cinquanta /Sessanta era, in tal senso, un ambiente favorevole. “Ripenso a mio padre, amava Nat King Cole, aveva 78 e 45 giri, ballava anche un po’ di tip tap a casa…mia madre era parrucchiera, il suo salone nel Fifth Ward era vicino alla zona dove potevano soggiornare gli artisti neri. Perché non potevano andare dappertutto. E la mia scuola era proprio di fronte al Club Matinée. Andando a scuola potevi fare una deviazione e passare a vedere il club…mia mamma mi diceva di andare dritta a scuola, io le dicevo di sì e poi andavo a dare un’occhiata, se c’era qualcosa da vedere. E al tempo ho visto James Brown, incontrato Joe Hinton, Little Junior Parker, Bobby Bland…lì vicino c’era un ristorante dove i miei genitori erano soliti andare. Era tutto lì, circoscritto”.

Trudy Lynn

Trudy Lynn 1998 foto Philippe Pretet

Hai iniziato a cantare con musicisti differenti in quel periodo, come I.J. Gosey o Clarence Green.

Oh sì e Clarence Green è stato quello che mi ha davvero formata quando ho iniziato…all’epoca c’erano Clarence Green e Calvin Owens. E un altro musicista con cui ho lavorato è stato Leo Baxter, con lui andavamo a suonare nelle basi dell’esercito in Texas. È stato un bene per me anche se Clarence era piuttosto duro sui comportamenti e il modo di vestire e tutto quanto…ma riguardando indietro ora lo apprezzo. Allora ero giovane e lui mi ha formata, diceva non fare questo o quello, per la presenza sul palco…ricordo ancora una volta in un club a Houston, stavo parlando e mi stavo incipriando, lui mi ha visto e ha detto, “non farlo più, vai al bagno delle signore per questo”. Lavoravamo a Houston e un po’ in giro. Eravamo una band al top perché ai nostri concerti potevamo suonare qualunque cosa passasse per radio. Così la gente tornava ogni volta a sentirci. Ricordo che un anno andammo a suonare in un teatro, un posto grande, il mio nome era in cartellone, ma la gente pensava fosse Loretta Lynn…veniva detto a tutti che quello non era un concerto country e non ci sarebbe stata Loretta Lynn, ma hanno davvero apprezzato la musica.

 E all’epoca c’era anche Barbara Lynn.

Oh, conosco bene Barbara, viveva a Beaumont e anche mia nonna ci abitava. La conosco e sta ancora bene, suona ancora anche se non così spesso come una volta, ma sta bene.

Hai cantato anche con Albert Collins negli anni Sessanta?

Sì, proprio quando ho iniziato, avevo circa sedici anni, ero ancora al liceo ed era la domenica di Pasqua. Mia madre portò  me e le mie cugine ad un matinée, all’epoca solitamente ce ne erano  la domenica. Lei lo conosceva, come parrucchiera faceva i capelli a molti artisti…l’ho incontrato e mi hai chiesto se sapessi cantare. Sì, gli ho detto. E ho cantato due canzoni, “A Change Is Gonna Come” e “Money”, ed è finita lì. E mi sono detta, io devo fare questo, perché adoro cantare. Non so se conoscete Archie Bell & The Drells. Beh io sono stata una delle prime Drells. Eravamo al liceo insieme. Lui si è trasferito nel mio liceo da un altro, era l’anno del diploma e lui ha rilevato il gruppo. Poi ha incontrato Skipper Lee Frazier, un DJ a Houston che ha dato una mano a lanciarlo. All’inizio eravamo, io Frances Johnson, Charles Robinson, che poi è diventato un noto attore…frequentavamo la stessa scuola e cantavamo doo-wop. Archie Bell è malato ora, credo lo abbiamo messo in una casa di riposo, era ancora in giro quando ha avuto un ictus…

Allora non registrasti nulla, fino ad un singolo del 1973, “Long Live The Blues/What A Waste”?

Corretto! Ed era per la Sinett. Sul lato B c’era una canzone intitolata “Whata A Waste” ed era il pezzo più corto del mondo! In quel periodo dovevi avere una brano di tre minuti perché fosse passato per radio. Poi non ho inciso nulla fino alla Ichiban.

Non incidesti qualcosa anche per Huey Meaux, the crazy cajun? Uscì un brano su un Lp del 1978, “Big City Nights”?

Oh si! Era un crazy cajun effettivamente, ma era a posto…ero in studio e ho inciso una canzone dei Bee Gees, no dei Monkees, “I’m A Believer”. Poi in studio arrivò Freddy Fender e ci mandò tutti fuori. La porta si chiuse. Era un tipo particolare, registrò il suo primo disco con Meaux, non ricordo di preciso l’anno, ma eravamo negli anni Settanta.

Poi negli anni Ottanta hai firmato per la Ichiban di John Abbey, come sono andate le cose?

È stato per via di Gary B.B. Coleman. Era in cerca di una band, è passato da Houston e ha  preso la mia band con sé…e loro gli hanno parlato di me. Gli parlai al telefono e mi chiese se avessi una cassetta con la mia musica. L’avevo. Mi disse, “prendi quella cassetta e mettila in una scatola da scarpe, vai alla stazione degli autobus, non all’ufficio postale e mettilo sul bus”. Lui era a Paris, Texas. Gliele ho mandate e un paio di giorni dopo è venuto a bussare alla mia porta, saranno state le sette del mattino. Non sapevo chi fosse! “Entra”, gli dissi. Gli preparai la colazione e rimase fino alle otto di sera, cercando di portarmi alla Ichiban. Non ci eravamo mai incontrati prima, avevamo solo parlato al telefono e non avevo mai sentito parlare della Ichiban. Ma cosa voleva dire? Poi ho scoperto che significava numero uno. È cominciata così. E grazie a John Abbey ho iniziato a venire in Europa, credo che il primo festival europeo in cui ho suonato sia stato proprio in Italia.

Trudy Lynn

Trudy Lynn foto Gianfranco Skala

“Trudy Sings The Blues” è stato il tuo esordio su Ichiban, nel 1989.

Si e ci  ha suonato anche Gary B.B. Coleman…avevo scritto un paio di brani e B.B. me ne ha dati altri. È morto giovane, teneva molti concerti ma aveva paura di volare, non lo faceva mai…e poi quando gli venne un infarto lo hanno dovuto trasportare in elicottero. La Ichiban mi ha davvero aperto le porte, ho iniziato a venire regolarmente in Europa. Poi quando la casa discografica è fallita molti degli artisti sono andati per conto loro. Abbey aveva messo sotto contratto diversi artisti, poi ha divorziato ed è stata la fine…Ma vive ancora ad Atlanta, Georgia, ci sono andata due anni fa per fare qualcosa e sono andata a trovarlo a casa sua. Si era risposato, aveva sposato una ragazza giapponese…credo che lavori ancora con quel gruppo femminile, th Three Degrees, per quanto riguarda il booking.

Dopo la Ichiban, hai lavorato con altre etichette, soprattutto la Connor Ray Music.

Sì, ho fatto un paio di dischi per altre label e poi tre CD per Steve Krase. Ci siamo conosciuti tramite musicisti di Houston. Avevo un concerto al Rockefeller’s ed è stato in quell’occasione che ci siamo incontrati, c’era una partita di football importante quella sera…ricordo che salì sul palco con una scopa, dicendo che avrei spazzato via tutti da lì! Abbiamo iniziato così. Una sera venne a casa e mi chiese se avessi qualche idea su cosa fare. Gli dissi che avrei voluto fare un album di canzoni di vecchie cantanti blues tradizionali…ascoltavo molte di loro, come Memphis Minnie, che adoro, anche se non so assolutamente suonare una chitarra! Ma quando le canto sono me stessa. Se anche canto pezzi di qualcun altro alla fine suonano come Trudy. Il primo disco che abbiamo fatto insieme sono andata in studio con i musicisti e in una sola session abbiamo inciso dieci canzoni. Mi piace sentire il feeling di una canzone. Mi dicevano, “ma non abbiamo la musica” e io, “non vi serve nessuna musica”. Ho iniziato a contare e gli ho detto “datemi un po’ di blues” e mi sono venuti dietro. Non erano abituati a questo. Sono ritornata solo per fare i cori, li ho fatti tutti io usando vocalità diverse, volevo fossero perfetti per via del mio fraseggio.

 Hai anche inciso un album dal vivo in Francia, con Carl Weathersby alla chitarra, scomparso purtroppo qualche mese fa.

Sì, abbiamo registrato un disco Live a Parigi…Carl, non sapevo fosse così malato. Viveva ad Austin, Texas. Mi è piaciuto lavorare con lui. Ho avuto modo di vederlo un paio d’anni fa e l’ultima volta che sono stata in Europa ho rivisto anche Jean-Marie, dell’etichetta per cui abbiamo inciso quel disco. Non lo vedevo da anni, mi ha detto che si trasferito da Parigi a qualche altra città della Francia…

L’ultimo disco, “Golden Girl”, lo hai inciso per la Nola Blue di Sallie Begtson.

Sì, ho scritto alcune canzoni per questo disco e ne abbiamo almeno sei dalle stesse session che non abbiamo utilizzato per il disco. Devo tornare e inciderne altri. E la figlia di Koko Taylor, Cookie, vuole che incida un brano dedicato a sua madre, cosa che intendo fare. Come ho conosciuto Sallie? Oh è stato Steve a presentarmi Sallie, lui ha anche un altro lavoro, come geologo, ed è spesso in giro. Conosceva Sallie e poi ci siamo incontrati ad un festival che lei ha organizzato a Grapeland, Texas. Quando sono scesa dal palco  mi ha detto che voleva lavorare con me…ed eccoci qua. Abbiamo cominciato da qualche concerto e poi il disco.

Conoscevi già il tuo collega di etichetta Benny Turner?

No, conoscevo Freddy, ma non Benny. Anzi, penso che la prima volta che ci siamo incontrati sia stato al festival di Porretta, in Italia, quando lui suonava con Marva Wright, quella ragazza di New Orleans, purtroppo è scomparsa…lui era il band leader. Ecco quando ci siamo conosciuti. Mi disse che era il fratello minore di Freddy King. E Freddy l’ho visto dal vivo una volta da giovane, al tempo aveva un grosso hit, “Hideaway”. Vidi anche Dinah Washington, fu bellissimo vederla, perché i miei adoravano davvero Dinah Washington.  C’era un club a Houston, The Cinder Club, di un tizio di nome Ray Barnett, che ne aveva sette o otto in tutta la città…faceva venire tutti a suonare e quando era il momento il palco veniva su dal pavimento per un metro e venti, così tutti potevano vedere i musicisti. Poi quando è arrivata la disco ha cambiato molte cose. Hanno iniziato a mettere specchi e luci sul soffitto e cose del genere…prima se un club non aveva due o tre band nessuno ci veniva. Poi sono arrivati i DJ ed è finita così. Le ho viste davvero tutte.

Trudy Lynn

Trudy Lynn Lucerna 2014 foto Philippe Pretet

Come lavori sullo scrivere canzoni tue?

Oh sai quando ho iniziato a cantare in un coro femminile, scrivevo un sacco di poesie, mi piaceva…E cerco di scrivere ogni giorno e di scegliere le cose semplici, quelle che dicono tutti. Una sera ero in un posto ed ho ascoltato una conversazione tra tue tizi al bar, mentre bevevano, stavano discutendo e uno ha detto all’altro, “non mi serve nulla da te, dovresti semplicemente lasciarmi in pace”…ed ho pensato, questa è una canzone. E me lo sono scritto su un pezzo di carta. Ho diverse note e cerco di mettere insieme una storia, per me si tratta di ascoltare la gente, parlare di quel che accade, vuoi restare fedele a quello.

Pensi che gli artisti più giovani ti vedano come un riferimento?

Quando artisti giovani vengono da me mi parlano lo vedo come un complimento…li ringrazio, dico loro “andate avanti e siate voi stessi nonostante tutto”. Penso che alcuni di loro possano davvero diventare buoni musicisti. Quando sei in circolazione da molto tempo riesci a capire chi potrà farcela e chi no. E poi nel blues sembra semplice ma se non lo senti la cosa non funziona e questo fa una grande differenza. Devi sentire la canzone e prestare attenzione alle parole che stai cantando…

 Vivi ancora a Houston?

Recentemente, tre mesi fa, mi sono trasferita a Clevleand, Texas, è  nei sobborghi di Houston, in campagna e mi piace. Ho passato tutta la vita in città ma mi sto gustando la campagna. Vado a pescare, beh diciamo che dirigo le operazioni…non so pescare ma so cucinare! E ascolto ancora il blues…sono grata che si  possano trovare vecchi blues su internet, vado su Youtube a ascolto un sacco di artisti di una volta, quelli che preferisco, mi piacciono molto le loro voci e le storie di cui cantavano.

Category
Tags

Comments are closed

Per la tua grafica

Il Blues Magazine
GOSPEL & SPIRITUALS 2024