Sto viaggiando in superstrada dirigendomi verso la Val d’Orcia; la radio sta trasmettendo in modo quasi “profetico” “Boom Boom” di John Lee Hooker e a pochi km dalla meta un cartello mi ricorda che sto tornando nella capitale europea del blues 2016. Ebbene sì, sono arrivato anche quest’anno a Torrita di Siena per l’edizione a tre X del festival toscano e subito ripenso hai tanti artisti che ho avuto il piacere di ascoltare e conoscere in questi primi trent’anni. Le opportunità che il piccolo “miracolo” senese ha offerto al suo affezionato pubblico durante la longeva attività sono incommensurabili; LR Burnside, John Mayall, Sam Myers, Luther Allison, Taj Mahal, Carey Bell, Honeboy Edwards, Magic Sam, Charlie Musselwhite solo per citarne alcuni e l’alone che circonda la cittadina, in questo periodo, ha sempre qualcosa di familiare e accogliente; accade sempre qualcosa di “magico” quando entri nella piazzetta del centro storico.

Foto di Simone Bargelli

Piccoli aneddoti che si celano dietro la storia di questo festival, come quella successa ai siciliani Van Kery Blues Band, gruppo che insieme a Diego Schiavi e i Ramrod hanno aperto la prima serata, il 21 giugno, accompagnando la sempre affollata cena blues, tradizionale tappa di apertura. Ormai la selezione invernale chiamata “Effetto Blues” è diventata parte integrante del Torrita e i tre gruppi appena citati rendono omaggio alle sfaccettature più diverse della cultura afro americana, da quella acustica a quella elettrica, da quella più tradizionale fino a presentare la parte più contaminata. Il giorno seguente è la volta dell’atteso ritorno di Ted Horowitz in arte Popa Chubby. Già presente nell’edizione del 2002 Ted è un uomo e un musicista diverso rispetto a quello di sedici anni fa; come lui stesso ci ha confessato; oggi può ritenersi una persona serena, tranquilla, un individuo che ha accettato i suoi limiti e che vive in modo gioioso la propria esistenza, cosa che invece non faceva il vecchio Popa pieno di rabbia, rancore e ostilità.

Foto di Simone Bargelli

Tante volte abbiamo raccontato dei suoi live e anche quello del Torrita 2018 ripete le caratteristiche musicali di sempre; energia, vitalità e suoni ad alto volume per lunghe cavalcate chitarristiche, dove i brani proposti (per gran parte classici) diventano una vetrina dove immortalare la sua tecnica e personalità. “Rock Me Baby”, “Let Me Love You Baby”, “Big Legged Woman”, “Hey Joe”, “Voodoo Chile” sono alcune delle melodie proposte insieme al trio, tra suoni rock-blues, ritmi rock and roll e brevi incursioni nel surf. Popa suona il suo set sempre seduto a differenza di qualche anno fa ed è ormai una certezza per chi lo ha già incontrato e una straripante sorpresa per chi invece lo ha visto per la prima volta. La serata è stata aperta dai bravi Fog Eaters da Reggio Emilia, anche loro provenienti dalle selezioni di “Effetto Blues”, un combo di rockin’ blues equilibrato e ben affiatato dove spicca la chitarra di Andrea Pititto e l’armonica di Giorgio Pinna. Interessante invece la proposta fatta dal duo SuperDownHome che attraverso un suono rurale e a volte “oscuro” hanno il coraggio di creare uno stile non comune, tra cigar box, rullanti e tamburi vari; per certi versi ricordano vagamente la figura e le atmosfere create da John Campbell. Henry Sauda e Beppe Facchetti, reduci dal recente album intitolato “Twenty-Four Days”, hanno regalato il momento musicale più affascinante di questa seconda serata di festival.

Foto di Simone Bargelli

Dopo qualche ora di sonno (poche in verità) si apre la terza e ultima giornata della kermesse con i consueti preparativi, prima di invitare sul palco i torinesi I Shot A Man, sempre provenienti da Effetto Blues. Progetto che rielabora in modo convincente e personale gli albori de blues attraverso un trio inusuale per la sua composizione; due chitarre (acustica ed elettrica) e una batteria. Visibilmente emozionati, piacciono per lo studio e l’offerta per nulla scontata. Giocano in casa i senesi The Fullertones, quartetto di recente assemblaggio, capitanato da Lou Leonardi che, casualità della vita, aveva già suonato al festival proprio nel 2002, l’anno del primo Popa Chubby. Il quartetto delizia i palati più ricercati con una proposta rock che pone lo sguardo al suono di Austin, inglobando ad esso riff provenienti dalla scena rhythm and blues britannica più attuale. Sono la band, a mio parere, migliore di Effetto Blues per il loro approccio ricercato e mai banale; li attendiamo quindi all’esame, ormai inevitabile, di componimenti originali. Il Torrita rende omaggio al British Blues e quel movimento che alla fine dei sessanta ha ridato luce e vitalità al blues americano; lo fa attraverso una vera icona di quel periodo, The Animals.

John Steel – Foto di Simone Bargelli

Onestamente avevo qualche perplessità, visto l’assenza del mito Eric Burdon, ma la presenza di John Steel e Mickey Gallagher garantisce parte della storicità e veridicità della band inglese. Un vero e proprio tuffo nel passato, attraverso quelle evergreen che li ha decretati band leggendaria. Lo stile e il modo di risuonare brani di Jimmy Reed, John Lee Hooker, Ray Charles, Screamin’ Jay Hawkins resta immutato e merito di una proposta comunque solida va ricercata nella bravura di Danny Hadley alla chitarra e voce. Pubblico soddisfatto e canterino durante i tanti classici proposti e per quel che riguarda il nostro racconto in qualche modo si chiude così come è iniziato; sulle note della profetica “Boom Boom” del maestro Hooker. La conclusiva ed attesissima “The House Of the Rising Sun” saluta il popolo torritese e rinnova l’appuntamento per il 2019 quando la manifestazione compirà trent’anni. Come sempre da sottolineare il bel lavoro fatto e l’insuperabile passione che lo staff dell’associazione Torrita Blues mette al servizio del festival e del pubblico.

 

 

Simone Bargelli

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