L’attuale uscita di Toronzo Cannon, “Shut Up & Play!” (Alligator), rinsalda i legami del musicista con Chicago, la sua città natale dove poco tempo fa guidava i bus della Chicago Transit Authority e ora in pensione, ce la racconta: coi blues e la sua vita, le cui difficoltà e problemi condivide con le persone che lo ascoltano, tra il suo pubblico. Ed è ironicamente implicito fin nel titolo, l’intento di rievocare una realtà che non è solo musica, ma il racconto attraverso quella formula espressiva connaturata alla sua stessa biografia che pure, non è quella di un anziano bluesman, ma di un cittadino afroamericano oggi, con tutto quanto ne comporti ancora negli USA.
Non si nasconde dietro la retorica, Toronzo Cannon, e col suo terzo passo all’Alligator, pubblica un disco maturo, gravido di un sound che non rimane vincolato agli stereotipi della Città ventosa, ma ne personalizza le modalità a caratterizzare la storia che egli stesso ha vissuto, anche attraverso il blues. Nasce proprio nei dintorni del Theresa’s Lounge infatti, Cannon, uno dei favolosi blues-club dove suo nonno apprezzava ascoltare musica, e che oggi è scomparso insieme ad altri locali, mentre altri invece mantengono una programmazione blues in cartellone, e la storia continua. Qualcosa per cui si fa fatica, ma che è anche la “mission” attraverso la quale prende senso un certo tipo di realtà, a cui Toronzo stesso ha imparato a dare forma, e il cui impegno ha avuto quei riscontri migliorativi che sono stati anche i tratti distintivi della sua storia, di quella del blues e di chi l’ha fatta.
Una lezione che il nostro ha imparato dai “padri”, come sempre, e che spera di trasmettere ad ipotetici “figli”: suoi allora i riff assorbiti da Buddy Guy, Albert Collins, Hound Dog Taylor, B.B. King, Albert King, Freddie King o lo stesso, immancabile Hendrix; come sua, l’esperienza diretta con Tommy Mc Cracken, Wayne Baker Brooks o Joanna Connor; e prima di questo lavoro per Alligator (assieme a “The Chicago Way”, 2016 e “The Preacher, The Politician or The Pimp”, 2019) altrettanti sono stati i dischi per la Delmark, all’inizio del suo percorso individuale (l’ultimo, “John The Conqueror Root”, 2013, in odore di Blues Music Award). Sicché “Shut Up & Play” se ne esce anzitutto denso di funky, pulsante di groove in tutte le sue tracce (che di primo acchito, ci ricorderebbero persino, tra voce e sound, J.J. Grey & Mofro).
Qui l’orizzonte è urbano, e a mille corre già come in autostrada l’apertura su di “Can’t Fix The Word” a fare il paio con “I Hate Love”, più esplicitamente blues; diverso invece l’impulso più soft di “Him” o in linea, alquanto pregna di significati, “Message To My Daughter”: dall’intimità familiare al contesto sociale, ci rivelano anche l’abile songwriting di Cannon. Ma ci piacciono piuttosto nel loro essere più direttamente blues, le ballabili “Something To Do Man” o “Unlovable”, mentre “My Woman Loves Me To Much” è l’unica acustica del lotto, celato intento “senza spina” per Toronzo. Prima che la title- track in chiusura ci riveli invero la natura elettrica ed urbana del nostro (e qui orientata “alla Hendrix”) a piene mani testimonianza di quel che oggi potrebbe essere il Chicago – blues, quello vero.
Matteo Fratti
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