TINSLEY ELLIS Devil May Care cover album

Etichetta: Alligator (USA)-2022-

Che strada avrebbe preso la musica se non ci fosse stata la Allman Brothers Band?

Potremmo rivolgere questa domanda al bravo Tinsley Ellis che ci consegna – via Alligator – l’ennesimo (ventesimo) ottimo album di rock blues che dalla band di Macon ha tratto grande ispirazione, e non ci pensa minimamente, il buon Tinsley, a negarlo. Se non avete ancora letto l’intervista che il nostro Matteo Bossi gli ha fatto e che trovate in questo numero vi consiglio di farlo, magari mentre ascoltate questo “Devil May Care” che un posto nella vostra discografia può certamente trovare, soprattutto se siete amanti di quel blues e rock infarcito con le tipiche miscele che solo i migliori cuochi southern riescono a mescolare tra loro. Dieci tracce, nel tipico stile di Ellis, che pare aver fermato il tempo agli anni Novanta, quelli della rinascita di un genere che, ancora oggi, riesce a catturare l’attenzione di una vasta fascia d’età, e questo ci piace.

Dieci tracce di buona, in alcuni casi ottima, fattura tutte uscite dalla sempre fertile penna del cantante e chitarrista di Atlanta ottimamente supportato da una band molto ben rodata tra registrazioni in studio e spettacolari esibizioni live, dove il nostro eccelle. Nessuno a volersi eleggere eroe assoluto, prediligendo la compattezza del suono, nel quale emergono passione e professionalità della sezione ritmica composta da Steve Mackey (basso) e Lynn Williams (batteria e percussioni), mentre tocca a Kevin McKendree occuparsi che la polvere non cada sui tasti bianchi e neri di pianoforte e organo. In “Just Like Rain”, “Beat The Devil” e in “Step Up” troviamo anche i fiati di Jim Hoke (sax) e Andrew Carney (tromba) che non guastano per nulla.

I brani scorrono che è un piacere, dalla iniziale “One Less Reason” seguita da “Right Down The Drain” che ci riconduce a quegli album che hanno sancito la rinascita degli Allman con l’arrivo di Warren Haynes. “Just Like Rain”, invece, ha proprio l’anima di Gregg, ed è una delle perle di questo album. Piacevole “Beat The Devil” così come l’immancabile slow blues di “Don’t Bury Our Love” dove Hammond e la chitarra del leader se la giocano a regalare emozioni. Quando parte “Juju” ti sembra di vedere i due bambini di “Brothers & Sisters” ballare in quel prato pieno di foglie dietro casa, tanto il brano nicchi a “Wasted Words”, forse un filo troppo, ma poi è bella e si perdona tutto. Si cambia registro con “Step Up”, mentre “One Last Ride” è il classico brano alla Tinsley Ellis, di quelli che la Capricorn Records ha portato nelle case di tanti di noi appassionati. “28 Days” con la chitarra a tutto wha-wha ci accompagna verso la fine, dove “Slow Train To Hell” ci dice che anche gli ZZ Top non erano mica una band da buttare via e la loro “Blue Jean Blues” aveva lasciato il segno.

Album consigliato, di un artista che – forse – non ha avuto la fortuna di altri, ma che non ha avuto nemmeno il coraggio, temo, di osare maggiormente, cercando una propria personalità musicale, visto che le doti non mancano. Ma questo lo sanno fare veramente in pochi, accontentiamoci di avere – comunque – degli ottimi esecutori, come Tinsley Ellis, che oggi è brodo grasso.

Antonio Boschi

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