Gli ultimi anni sono stati pieni di soddisfazioni e riconoscimenti, meritatissimi, per Mavis Staples. I progetti recenti che la riguardano includono “Mavis!” il documentario su di lei diretto da Jessica Edwards e andato in onda in febbraio sulla tv via cavo HBO, quasi in concomitanza con l’uscita del suo nuovo album. Uno spazio a sé stante lo merita però questo cofanetto della Concord (la casa che, tra le altre cose, detiene i diritti del catalogo Stax) che copre la discografia degli Staple Singers, dalle origini al 1976. Curatissima la confezione, puntuali i contributi di James Miller e Opal Louis Nations e molto originale l’idea di aver inserito un 45 giri che riproduce “Faith And Grace/These Are They”, prima registrazione del gruppo in proprio, risalente alla primavera 1953 e diffuso, su 78 giri, in sole cinquecento copie. Il box presenta un solo problema pratico, vale a dire la difficoltà di estrarre i quattro CD dalle buste di cartoncino in cui sono alloggiati, senza correre il rischio di danneggiarli ogni volta. Senza dubbio frutto di qualche sedicente “genio” del packaging.
La selezione (80 brani) pesca, in ordine cronologico, da ogni fase della loro carriera, dagli inizi su United e poi Vee-Jay a “Let’s Do It Again” una colonna sonora prodotta nel 1975 da Curtis Mayfield per Curtom / Warner alla versione di “The Weight” con The Band, inclusa in “The Last Waltz” di Martin Scorsese. Per onore di cronaca, va detto che il box non copre il periodo fino al 1985 con le incisioni per Warner, 20th Century Fox e Private. Ma non lamentiamoci, qui c’è una bella fetta di musica neroamericana e la testimonianza che il percorso degli Staples ha pochi eguali, anche guardando ad alcuni grandi artisti loro contemporanei e provenienti dal gospel, si pensi a Ray Charles, Aretha Franklin o Sam Cooke. Già perché in qualche modo la secolarizzazione della loro musica non si è mai compiuta del tutto, non a livello tematico almeno, del gospel hanno mantenuto forza e coerenza del messaggio, passando attraverso alcune variazioni stilistiche.
Gli inizi discografici su United, sono quasi timidi, “It Rained Children”, in cui la chitarra di Pops è però in secondo piano rispetto al piano di Evelyn Gay. La costruzione del suono degli Staples prende forma appieno nelle incisioni Vee-Jay di poco successive, l’asse portante è la chitarra di Pops, la sua voce acuta ed evocativa e quella profonda di Mavis che si staglia, carica di emozioni, sul coro dei fratelli. D’obbligo citare “Uncloudy Day” e “This May Be The Last Time”, la prima è quella che li fa davvero conoscere. Curioso confrontare poi “Don’t Knock” e “Downward Road” con le riletture che la stessa Mavis ha dato di questi brani in “You’re Not Alone”. Dopo alcuni anni alla Vee-Jay (una delle poche etichette di proprietà di due afroamericani), costellati da altri gioielli gospel come “Don’t Drive Me Away” in cui Mavis vibra luminosa e libera. Non sono molti gli inediti, giusto una manciata, uno di essi però è a dir poco straordinario, ci riferiamo al medley dal vivo, tratto da un loro concerto del 1960 a Clarksdale, Mississippi, “Too Close / I’m On My Way Home / Coming Home / He’s Alright”, un saliscendi emotivo che rapisce totalmente e lascia quasi sopraffatti.
La carriera degli Staples prosegue altrove, firmano a fine 1961, per la Riverside di Orrin Keepnews, etichetta, fino a quel momento, dedita al jazz e in misura minore al folk. Si spostano a New York per incidere “Hammer And Nails” (ben sette brani provenienti da esso), allargando la formazione con un bassista e un batterista. Il materiale di questo primo disco non si distacca dal gospel, “Nobody Knows The Trouble I’ve Seen” o una ottima “Dying Man’s Plea” (See That My Grave Is Kept Clean). Il rapporto con l’etichetta prosegue con altri tre LP, uno di spiritual natalizi, “The 25th Day Of December” e due, registrati a Chicago con Phil Upchurch al basso e Al Duncan alla batteria, che allargano il repertorio a brani folk di Woody Guthrie e Bob Dylan. Sono classici la cui rilevanza allora come oggi rimane intatta, tra “Masters Of War” e “Blowin’ In The Wind”, colpisce ancor di più una lunga, magnifica versione di “Hard Rain’s A-Gonna Fall” in cui la voce guida è quella di Pervis Staples. Sono gli anni in cui il gruppo si affaccia su altri palcoscenici, quelli del circuito folk e di festival come Newport, si veda la versione di “Wish I Had Answered” estratta dalla loro esibizione del 1964.
Cambiano di nuovo etichetta, passando alla Epic per la quale in pochi anni pubblicano sei album. Nel segno della continuità stilistica con le ultime prove Riverside, ma abbracciando appieno il movimento per i diritti civili, marciano al fianco di Martin Luther King e Pops compone alcuni brani che raccontano tutto questo. La disarmante domanda espressa da “Why Am I Treated So Bad?” (ripresa poco dopo dalle Sweet Inspirations e anche da Cannonball Adderlay per un suo disco del 1967 su Capitol) non è solo storia ma resta tristemente valida nell’America degli anni della presidenza Obama. Stessa cosa per l’altrettanto significativa “Freedom Highway”, quest’ultima tratta dall’omonimo concerto del 1965 rieditato integralmente lo scorso anno (“Il Blues” n.130).
Siamo nel 1968 e gli Staples firmano per la Stax, scendono a Memphis per incidere, con la produzione di Steve Cropper. Il primo LP “Soul Folk In Action” (perfetto il titolo per descrivere la loro musica di quel momento) non ha grande successo malgrado ottimi episodi come “The Ghetto”, “Long Walk To D.C.”, né il secondo, “We’ll Get Over” malgrado una delle pagine “sociali” più esplicite, “When Will We Be Paid?”. Tutto cambia con la produzione di Al Bell e la decisione di portare gli Staples a incidere a Muscle Shoals. Gli arrangiamenti si fanno più complessi, con fiati e archi, finendo inevitabilmente per limitare il ruolo della chitarra di Pops. Però la musica è ancora epocale, e cosa non certo irrilevante, di grande impatto; “Respect Yourself” (scritta da Mack Rice e Luther Ingram) e “I’ll Take You There” scalano le vette delle classifiche. Papà e figli sono tra le vedette di due grossi eventi, il concerto / film “Soul To Soul” in Ghana nel 1971 e l’anno seguente è, ovviamente, la volta di Wattstax (anche se nessun estratto da essi figura in questo box). Gli Staples proseguono sulla scia del soul umanista con altri brani ben costruiti, “Touch A Hand Make A Friend” o “Be What You Are”, ma anche l’epopea Stax volge al termine e con essa il cofanetto, pur includendo un paio di appendici cui accennavamo in apertura e il demo di “Respect Yourself” , interessante, con gli autori del brano. Notevole il lavoro di rimasterizzazione sonora e ampia la selezione, anche se forse ci sarebbe stato materiale per un quinto CD, magari con altri brani dal vivo o inediti. In ogni caso “Faith & Grace” resta un magnifico testamento alla gioia, il senso di comprensione, accoglienza e vibrazioni positive, per parafrasare un’espressione che Mavis usa spesso all’inizio dei suoi concerti, che lei e la sua famiglia continuano a regalarci, da oltre sessant’anni.
[Matteo Bossi – Il Blues n. 134, Marzo 2016]
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