Esce per Single Lock, etichetta fondata da musicisti a Florence/Muscle Shoals, Alabama nel 2013 con l’intento di promuovere “southern american music” (Cedric Burnside, Donnie Fritts…), l’ultimo album dei gloriosi Blind Boys Of Alabama.
Negli ultimi vent’anni, diciamo dallo splendido “Spirit Of The Century”(Real World) in avanti, il gruppo ha conosciuto un periodo di fasti, inanellato molte collaborazioni prestigiose (la più nota resta quella con Ben Harper probabilmente), cantato in mezzo mondo e raccolto Grammy e riconoscimenti assortiti. Un successo crossover che ha pochi eguali tra altri storici gruppi di gospel. Dal punto di vista discografico la loro prova precedente risale al 2017, “Almost Home”, mentre di due anni dopo è “Work To Do”, album in collaborazione con il cantautore Marc Cohn.
Ma è in parte una sorpresa ritrovarli in studio, se pensiamo che pochi anni fa, oltre al compianto Clarence Fountain, creatore e pilastro per decadi del gruppo, hanno perso anche Paul Beasley (2023) e Ben Moore (attivo anche in ambito soul/R&B, ne ricordiamo un album prodotto da Dan Penn col nome d’arte di Bobby Purify, prima di unirsi ai Blind Boys e scomparso 2022). Jimmy Carter, che non è stato tra i fondatori, ma canta coi ragazzi ciechi da inizio anni Ottanta e qui è ancora presente, ha annunciato tuttavia (novantunenne!) il proprio ritiro dai palchi. Così, questo “Echoes Of The South”, la copertina riporta il titolo in braille, li riporta, per così dire, alla semplicità del Sud, senza ospiti più o meno celebri o divagazioni, sole le voci e un accompagnamento rispettoso, essenziale, merito forse anche dei tre coproduttori Ben Tanner, Matt Ross-Spang e Charles Driebe.
Il richiamo al passato è rafforzato dal titolo, lo stesso di uno dei primi show radiofonici, allora su WSGN di Birmingham, Alabama, ma sin dall’iniziale “Send It On Down” i Blind Boys ci dicono subito, “siamo ancora qui” e rafforzano il concetto nella successiva “Work Until My Days Are Done”, un gospel che ha conosciuto molte versioni (Dorothy Norwood, Marie Knight o più recentemente i Dedicated Men Of Zion) e anche la loro è di bell’ impatto. Inaspettata la ripresa di “Friendship” una accorata, empatica composizione di Homer Banks e Lester Snell in origine per Pops Staples e inclusa nel postumo “Don’t Lose This”(2015), (ripreso di recente anche da Norah Jones in duo con Mavis Staples). Un altro brano all’infuori della stretta tradizione gospel è “Keep On Pushing” che Curtis Mayfield, gestito da un arrangiamento vocale stratificato, prima di aprirsi in un lancinante falsetto. Di “The Last Time” ne hanno incise altre versioni, ma qui assume un altro significato, purtroppo per qualcuno di loro, questa lo è stata davvero. Gospel classici e diretti e dinamici sono invece “You Can’t Hurry God” oppure la gioiosa “Nothing But Love”. Si accommiatano con una interpretazione piena di calore di “Heaven Help Us All”, un pezzo inciso per la prima volta da Stevie Wonder nel 1970, il cui messaggio universale è, chiaramente, valido anche a distanza di oltre mezzo secolo. Si tratta, in fondo, dello stesso messaggio di fede, speranza e umana solidarietà, che ha accompagnato per decadi i Blind Boys. E, tralasciando paragoni con il loro illustre passato discografico, questi “echi del Sud” lo diffondono ancora, con immutata e mirabile coerenza.
Matteo Bossi
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