Serata dedicata alle chitarre al Lucca Summer Festival il 7 luglio scorso, che in origine prevedeva la presenza di Jeff Beck e per lodevole decisione degli organizzatori divenuta gratuita, una volta appresa la defezione del chitarrista inglese. Sul palco comincia dapprima, con  un breve set acustico strumentale il chitarrista lucchese Meme Lucarelli in compagnia di un percussionista. E’ poi il turno di Robben Ford, in trio con Joe Damiani, batteria, e Brian Allen, basso. Il suo repertorio non fa riferimento più di tanto al recente “A Day In Nashville”, Ford ha optato per un excursus di brani da episodi differenti della sua lunga carriera, dimostrandosi stilista della sei corde di primo piano, perfettamente a suo agio su blues e dintorni. Tra volute strumentali di indubbia bravura e qualche pezzo cantato, ci sono piaciute “Chevrolet” e il divertente omaggio a Freddie King con “Cannonball Shuffle”. Ha proposto anche  un suo vecchio brano, “Freedom” e nel finale una valida   “Too Much”, “questa l’ha scritta mio nipote” dice Robben “è un bravo compositore”.

Robben Ford – Foto di Matteo Bossi

 Arriva  il momento della Tedeschi Trucks Band, undici elementi, una sezione fiati di spicco, due batteristi (JJ Johnson e Tyler Greenwell) a tessere un tappeto ritmico complementare, due coristi, Mike Mattison e Mark Rivers, Kofi Burbridge alle tastiere/ organo e flauto, Tim Lefebvre al basso. E’ un gruppo che ha sviluppato una straordinaria padronanza della musica in cui convivono in un amalgama personale, molte influenze differenti. Ognuno fa il proprio con spirito di evidente divertimento e condivisione, ne vien fuori qualcosa in più della semplice somma delle parti. Il repertorio è personale, attinge ai due album in studio più qualche cover di classe, come una versione funk della beatlesiana “Eleanor Rigby”. Colpisce il suono organico e pastoso della band, la leadership silenziosa ma simpatetica di Derek Trucks, che sembra vegliare su tutto senza sforzo, quando si prende un assolo lo fa con naturalezza assoluta e non perde mai il senso del brano. L’inizio proviene dal recente “Made Up Mind”, con “Do I Look Worried” e la ballata “Idlewind”, poi recupera un pezzo della Derek Trucks Band, “Get What You Deserved” cantato da Mike Mattison che di quella formazione era il cantante.  Molto belle la lenta “Midnight In Harlem”, valorizza appieno la personalità della voce di Susan Tedeschi e “Bound For Glory” che sfocia in una sorta di jam con Burbridge e i fiati  in evidenza e poi Derek con classe sopraffina porta il tutto ad un livello ulteriore. La complicità tra i coniugi Trucks e la band è pressoché totale, così come il piacere di suonare che traspare da ogni componente.

Derek Trucks – Foto di Matteo Bossi

Richiamano Robben Ford per un bell’incrocio di chitarre  su un canzone di Freddie King, “Palace Of The King”, poi una ripresa, splendida, di un pezzo dei gloriosi Derek & The Dominos, “Keep On Growing” con Susan e Mike Mattison a scambiarsi le parti vocali. Proseguono con altri buonissimi momenti, “Made Up Mind”,  “The Storm” e “The Sky Is Crying”, quasi dettate dal diluvio che si sta nel frattempo rovesciando su  una piazza Napoleone gremita, nella seconda anche Susan si lancia in un solo di bella fattura.  Siamo ai saluti ma pubblico reclama il ritorno della band e quando quasi scocca la mezzanotte e la pioggia non accenna a diminuire, eccoli di nuovo, per un gran finale nel segno del funk con un medley omaggio a Sly Stone “Sing A Simple Song / I Want To Take You Higher” di notevole impatto. Applausi meritatissimi per, senza timori di smentite, una delle migliori band in circolazione.

Matteo Bossi

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