Lo scorso 4 settembre se è andato anche Tail Dragger.  Classe 1940, James Yancy Jones, questo il suo nome all’anagrafe, era probabilmente uno degli ultimi bluesman di Chicago con un legame diretto agli anni migliori di questa musica, avendo frequentato fin dagli anni Sessanta in avanti i club di Chicago o luoghi, oggi svaniti, ma del tutto particolari per l’atmosfera che vi si respirava, come il Delta Fish Market. Se negli ultimi anni le sue prove discografiche si erano diradate, dal vivo era piuttosto regolare, non più tardi di qualche mese fa aveva suonato in Belgio con l’amico di lunga data Bob Corritore. Per ricordare la sua vicenda personale, ci sembra il caso di ripescare dagli archivi l’intervista realizzata, ormai dodici anni addietro, al festival di Lucerna. Anche lì era in cartellone proprio con Corritore.

 

L’intervista pubblicata su Il Blues n. 118

Cominciamo dagli inizi.

Sono nato nell’Arkansas, e sono cresciuto tra l’Arkansas e Dallas e Oak Cliff  nel Texas. Venni a Chicago per la prima volta nel 1954, dove mia madre si era trasferita. Non mi fermai a lungo però, tornai nel Sud e non feci ritorno a Chicago fino al 1959; restai in città sino al 1961 quando dovetti prestare servizio nell’esercito. Rimasi nell’esercito circa un anno, ero di stanza in Louisiana. Il presidente Kennedy fece una legge secondo la quale chi aveva famiglia non doveva essere assoldato nell’esercito, così dopo nemmeno un anno mi rilasciarono dato che ero sposato e con figli all’epoca.

Tornai per un po’ nell’Arkansas e poi dal 1966, definitivamente a Chicago dove tuttora risiedo.

 

Da ragazzo ascoltavi la radio? Quali sono i tuoi primi ricordi musicali?

Sì ascoltavo la radio e ricordo che una sera ascoltai Boyd Gilmore e Sonny Boy Williamson, ero molto giovane e cercavo di introdurmi nella bettola in cui suonavano. Mi impressionarono moltissimo.

 

Tail Dragger

Tail Dragger foto Matteo Bossi

Suonavi qualche strumento?

Quando tornai a Chicago provai a suonare la chitarra ma poi mi feci male ad una mano lavorando, facevo il meccanico, e mi divenne difficile suonare. Decisi allora di concentrarmi sul canto. Ricordo che una sera in un club e c’era questo tipo, Necktie Nate, cantava qualche pezzo di Howlin’ Wolf, gli dissi che sapevo cantare anch’io in quel modo. Mi sfidò e ad un certo punto mi chiamò sul palco e il pubblicò applaudì parecchio. Da allora ho continuato a cantare. Intorno al 1970 cantavo regolarmente nei club, soprattutto col gruppo del bassista Pervis Scott, The Oasis; c’era Little Monroe Jones alla chitarra e Buddy Red alla batteria. Avevo una officina di meccanico e da me passava molta gente. Una volta Lee Shot Williams ed io avevamo un concerto insieme e poi andammo insieme ad ascoltare Howlin’ Wolf, il mio idolo. Lo avevo visto molte volte nei club ma non gli avevo mai parlato.

 

Che tipo di persona era?

Se gli piacevi era molto alla mano altrimenti diceva con la sua grossa voce “a Wolf non piaci, stai alla larga!”. Con me è sempre stato gentile, raccontava storie, faceva battute e beveva con gli amici. Mi lasciava cantare con la sua band mentre si riposava al bar e in breve diventai amico dei ragazzi della sua band, tanto che quando non suonava Wolf diceva a Hubert di venire a darmi una mano. All’epoca il mio problema nel canto era il ritmo, il timing, la cosa mi dava davvero fastidio, una sera in un club venne fuori la questione e Wolf mi rassicurò dicendo: “Wolf ti insegnerà”.

 

Quanto si guadagnava a sera suonando nei club?

Davvero poco, dieci o quindici dollari, se poi dovevo pagare la band a volte non mi rimaneva quasi nulla. Ma fortunatamente avevo sempre il mio lavoro da meccanico.

 

Le tue prime registrazioni avvennero grazie a Jimmy Dawkins negli anni Ottanta.

Avevo conosciuto Dawkins tramite un fratello di Necktie Nate, L.B. Higgins, che a volte suonava il basso con Wolf; ci vedevamo spesso in giro nei locali. Prima delle registrazioni firmai un contratto con l’etichetta di R.J. Harris ma poi mi crearono di problemi e qui intervenne Jimmy, coinvolse un suo avvocato e recuperò il materiale. Le registrazioni vennero fatte nello studio di Little Mack Simmons e lui suonò l’armonica in un paio di brani, quelli poi pubblicati da Jimmy. Con me c’erano Johnny B. Moore, Jessie Williams, Larry Taylor e Eddie Burks, incidemmo materiale per un intero album che però non venne mai pubblicato, forse uscirà l’anno prossimo su Delmark. Comunque io e Jimmy pagammo di tasca nostra un tizio per stampare il 45 giri!

 

Avevi una  band fissa oltre ai musicisti che erano con te in quello studio?

Sì suonavo con Lee Jackson, Left Hand Frank, James Scott, Eddie Taylor; anche Byther Smith suonava con me di tanto in tanto, così come Big Leon Brooks. Tuttavia non ho inciso nulla con loro.

 

In quel periodo lavorasti con la Mojo Blues Band, come veniste in contatto?

La televisione  olandese fece un film su Honeyboy Edwards in quegli anni ed io finii nel film; i ragazzi della Mojo Blues Band avevano degli amici in Olanda, videro il film e quando vennero a Chicago vollero conoscermi. Ci siamo subito intesi, registrai qualcosa per un loro album e suonai con loro in diversi posti in Europa soprattutto Austria, Svizzera e Germania. Ci siamo divertiti, c’erano anche Willie Kent, Tim Taylor, AC Reed e Mojo Elem. Siamo ancora in contatto ed ho suonato con loro a Vienna un paio d’anni fa. Ci sono stati alcuni avvicendamenti nella band, ora c’è Erik Traunier all’armonica e voce ma all’epoca avevano Chris Dozzler al piano e armonica, il batterista si chiamava Peter e non so pronunciare il nome del chitarrista, comunque erano davvero tosti anche se mi è piaciuto lo stesso suonare con la nuova formazione.

 

Possiamo chiederti qualcosa a proposito dei fatti del 1993 con Boston Blackie? Quell’anno eravamo a Chicago per il Festival e ti avevamo visto suonare con lui; una volta tornati in Italia apprendemmo quanto era accaduto.

Beh in realtà non suonammo insieme, lui suonò prima di me, avevo Vernon (Harrington ?) come chitarrista; Blackie se ne andò e non pagò nessuno. Una volta sceso dal palco mi diressi verso il tendone della direzione del Festival, chiedendo a chi dovessi rivolgermi per avere gli assegni, il nostro compenso. Chiamarono Barry Dolins, il quale arrivò quasi subito sorpreso che Blackie si fosse tenuto i soldi e non ci avesse pagato; disse che avrebbe provveduto ad inviarci un assegno nel giro di una o due settimane al massimo. La sera stessa mentre ero al Delta Fish Market, Blackie venne da me dicendomi: “ecco, tieniti i tuoi settanta dollari”. A questo punto però gli dissi che non li volevo, dato che mi sarebbero arrivati per posta entro pochi giorni, gli dissi anche che non avrebbe più suonato al Festival. Per diversi giorni continuò a tampinarmi, chiedendomi se avevo ricevuto l’assegno, io non ero preoccupato e poi comunque dovevo occuparmi del mio lavoro. Quando ricevetti l’assegno glielo mostrai e gli dissi che non mi doveva nulla e che per me era finita lì. Per tutta risposta lui era furibondo, disse che voleva il mio assegno, che ero stato pagato troppo e che me l’avrebbe fatta pagare. Io chiamai la polizia e cercai di evitarlo per una settimana, c’era qualcuno che si offri di occuparsi della questione per cinquanta dollari, io però non volevo pagare nessuno, volevo solo essere lasciato in pace. Forse pensavano fossi privo di armi dato che, qualche tempo prima mentre ero con una donna, il fratello di lei rubò la mia pistola dal mio furgone, ma ne avevo un’altra, solo non volevo noie, per questo lo evitavo e i miei amici mi prendevano in giro, pensando che avessi paura di lui. Una sera però, ero in un piccolo club e me ne stavo seduto per conto mio dopo aver suonato, prima non si era fatto vedere; mi accusò di aver chiamato la polizia contro di lui e che voleva regolare i conti una volta per tutte con me. Appena ho visto che aveva estratto un grosso coltello e stava per avventarsi su di me, tirai fuori la pistola e feci fuoco senza pensarci sopra. Non avevo scelta, il colpo gli arrivò proprio in testa. Rimasi lì un attimo poi vidi che si radunava un po’ di gente tra i quali alcuni suoi parenti che erano al bar. Chiamai mia moglie e le raccontai quanto era successo, dissi che sarei passato da casa e poi sarei andato alla stazione di polizia più vicina per chiarire la faccenda. Così guidai fino al posto di polizia e lì davanti c’erano tutti i parenti di Blackie; mia moglie disse che non mi avrebbe lasciato lì con tutta quella gente, così tornammo verso il Delta Fish Market. Là c’era già la polizia, mi presero in consegna e andai coi poliziotti, non mi misero in arresto, tanto è vero che il lunedì mattina ero fuori su cauzione. Una parte dei soldi venne pagata dai ragazzi della Mojo Blues Band, Erik chiamò mia moglie dicendo che se avevo bisogno di qualcosa doveva solo farglielo sapere. Ecco com’è andata.

 

Come ricordi il tuo album del 1996 sull’etichetta di George Paulus? Per noi è quello che cattura meglio la tua musica.

Tutti mi dicono che è il mio disco migliore, a me però non piace il mixaggio che hanno fatto, mi sembra come se mi avessero tolto qualcosa, doveva essere più forte. Su quel disco c’era Rockin’ Johnny al quale avevo dato il suo primo ingaggio come chitarrista, qualche anno prima, lui aveva solo diciannove o vent’anni. Alla chitarra avevo Johnny B. Moore ma era diventato inaffidabile, così ingaggiai Rockin’ Johnny e gli dissi di imparare dagli altri, per sua fortuna imparava molto in fretta. Rimase con me per molti anni. Ora è tornato a suonare, per diversi anni aveva smesso, credo che sua moglie gli avesse persino venduto le chitarre e la macchina. L’anno prossimo (2012) dovrei suonare in Europa con lui, non ricordo se in Spagna, Francia o Italia.

 

Poi incidesti per la Delmark, come accadde? Ti contatto Bob Koester?

Beh in realtà non sono mai andato troppo d’accordo con Bob.

PH Pertti Nurmi

Come mai?

E’ troppo tirchio! A parte gli scherzi, avevo cantato in un paio di brani del disco di Rockin’ Johnny su Delmark e Bob mi fece un assegno e la cifra era davvero bassa, gli dissi che io avevo già i miei soldi per il whisky! Poi mi richiamò ma io preferisco trattare con Steve (Wagner ndt) o con la moglie di Bob, Sue. Comunque sono soddisfatto dei dischi che ho fatto con loro, dopo il primo CD volevano che ne facessi un altro ma io gli dissi di no, volevo che mi pubblicassero un DVD e ci ho messo due anni per convincerli; persino mia moglie dubitava che si sarebbe fatto.

 

Però alla fine lo hanno fatto.

Sì tuttavia  per il primo, quello del 2005, non hanno voluto che usassi i miei musicisti, preferirono sceglierli loro. Poi mi hanno detto che volevano farne un altro, ma appena una settimana prima delle riprese, dissero che stavolta avrei potuto usare la mia band. So che il DVD si è venduto bene, dal reparto spedizioni il ragazzo che se ne occupa mi ha detto: “Tail Dragger il tuo DVD vende più di tutti gli altri”.  Ora sembra che ne registreremo un terzo, sempre dal vivo, mi hanno chiamato circa un mese fa ed io preferisco sempre registrare dal vivo. In studio ho registrato poco fa con Bob Corritore, prima di queste date in Europa.

 

Come è nato il soprannome Tail Dragger?

E’ stato Howlin’ Wolf a darmelo! Mi chiamavano Crawlin’ James ma poi visti i miei problemi col timing nel canto e arrivavo in ritardo anche ai concerti, Wolf decise che Tail Dragger era davvero appropriato.

 

Registrati qualcosa anche per la Wolf, specie per una compilation uscita negli anni Novanta, “Chicago’s Best West & South Side Blues Singers”, come andarono le cose?

Mi contattarono per una session, io andai in studio e portai con me l’armonicista Dave Waldman che suonò in tutti i miei brani. Però poi loro cancellarono le sue tracce e fecero rifare le parti di armonica a Billy Branch e trovai molto scorretta la cosa. Ero parecchio arrabbiato e glielo dissi, non lavorerò più con loro. Ricordo che Willie Kent all’epoca cercava di reclutare diversi bluesmen per loro, ma con me non si comportarono bene, perché farmi portare un armonicista e poi rimpiazzarlo a sua insaputa?  Inoltre credo che non avessero nemmeno accreditato Chris Dozzler al piano.

 

Come componi il tuo materiale?

In realtà non scrivo nulla, le canzoni prendono forma quando sono in studio con gli altri musicisti. Però ho alcuni miei pezzi sul disco che ho fatto con Bob Corritore.

 

Hai suonato per anni al Delta Fish Market, cosa ne resta e quali sono i tuoi ricordi al riguardo?

Non è rimasto nulla. Però ho moltissimi ricordi, ero molto amico del proprietario dell’area, gli diedi anche qualche consiglio, è morto qualche tempo fa.

 

Hai mai suonato a Maxwell Street?

No anche se conosco gente che a volte con le mance riusciva a raggranellare una discreta somma, per me però somigliava troppo a chiedere l’elemosina, non faceva per me. Io ho lavorato tutta la vita.

 

Come hai reclutato i musicisti che suonano con te adesso?

Sono con me da diversi anni, sei o sette anni, Kevin il chitarrista prima suonava con Jimmy Burns, Todd Fackler ha suonato con Eddie Clearwater mentre il batterista, Rob, suona con me dal 1996.

 

Ora sei in pensione? Ti dedichi solo alla musica?

Sì sono in pensione, ho settantuno anni e faccio solo il musicista; però ho sempre qualche lavoretto da fare, mi piace tenermi occupato. Oltretutto perché dovrei pagare qualcuno per fare qualche lavoretto che so fare perfettamente? Faccio impazzire mia moglie, mi dice sempre: “pensavo fossi ormai in pensione, non hai più sedici anni!” Ho undici figli e credo trenta nipoti ma nessuno di loro è interessato alla musica, una mia nipote invece ha inciso un disco di rap, ma non mi piace. I miei figli chiamano la mia musica “old time”.

 

 

Abbiamo approfittato della presenza dello stesso Bob Corritore, per farci raccontare da lui come è nato il suo rapporto con Tail Dragger e qualche cenno al  progetto discografico congiunto, accennato nel corso dell’intervista.

Bob Corritore: Il mio rapporto con Tail Dragger risale a molto tempo fa, agli anni Settanta è stato uno dei primi a credere in me. L’ho incontrato per la prima volta il giorno dopo la morte di Howlin’ Wolf. Tutti si radunarono  al 1815 Club, dove Wolf era solito suonare e c’era una sorta di tributo in suo onore, non era pianificato ma accadde quasi spontaneamente, tutta la comunità blues di Chicago si radunò; c’erano Hubert, Eddie Shaw, Lucille Spann, Lee Jackson, Eddie Burks…moltissimi altri e ovviamente Tail Dragger, che all’epoca non conoscevo. Non sapevo che da lì sarebbe nata una amicizia che sarebbe durata per il resto della mia vita. Poi produssi un disco di Big Leon Brooks e andavo spesso ad ascoltare Big Leon con la band di Tail Dragger, ricordo che aveva una grande band, con Eddie Taylor, James Scott,al basso c’era molto spesso Willie Kent al basso e poi a volte Larry o Tim Taylor. Concerti di questo tipo avvenivano abitualmente al Golden Slipper, nel West Side, ogni domenica sera. Mi ricordo che Big Leon quando suonava nei club utilizzava l’attrezzatura audio di Tail Dragger e suonava alla grande, così facemmo anche in occasione delle session per l’album, chiese a Tail Dragger se poteva prestarcela. Ad un certo punto Big Leon si ammalò e all’armonica ingaggiava Illinois Slim e  me o Dave Waldman come armonicisti, all’epoca ero un vero “studente del blues” , cercavo di imparare da tutti i grandi armonicisti che avevo la fortuna di frequentare. Tail Dragger fu uno dei primi a darmi una occasione, suonai con spesso lui, ci furono concerti memorabili con Eddie Taylor e Boson Blackie al Delta Fish Market, che tempi! Sono davvero orgoglioso di averlo conosciuto a di aver conservato la nostra amicizia nel corso degli anni, è venuto regolarmente a suonare a Phoenix, al Rhythm Room. In un certo senso per suggellare la nostra amicizia non restava che dar vita ad un progetto che ne fosse un simbolo duraturo, sono nate così queste registrazioni. Inoltre quando suono con Tail Dragger è un po’ come tornare a casa, in fondo il mio stile all’armonica si è formato suonando con lui molti anni fa, è Chicago blues ruvido e vibrante,  la musica che prediligo,  perciò mi sento particolarmente libero e a mio agio. Dovrei mettere su disco alcuni dei grandi concerti che abbiamo tenuto insieme al Rhythm Room, ora abbiamo questo tour e specialmente qui a Lucerna abbiamo la stessa band del disco, con l’aggiunta di Kirk Fletcher e Henry Gray al piano, è davvero una bella occasione.

di Matteo Bossi e Marino Grandi

( Intervista realizzata a Lucerna il 11 novembre 2011)

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