Il tempo.
Un lusso per molti, averlo.
Un’ossessione per altri poterlo fermare.
Un sogno per alcuni gestirlo e strutturarlo.
Pensateci bene; fin dall’inizio dei tempi ha sempre accompagnato l’uomo obbligandolo a una convivenza a volte forzata, ma comunque inevitabile.
Ora molti si chiederanno; cosa c’entra tutto questo con un festival come il Summer Jamboree?
Io direi che è la base sulla quale si forma e si crea un evento del genere.
Quella voglia, quasi ludica, di poterlo gestire per vivere atmosfere che il tempo appunto non ha permesso a molti di vivere.
Una sorta di macchina come quella creata da H.G. Wells che, una volta ogni anno, ci permette di credere, per qualche ora, che viaggiare nel tempo sia possibile.
Il Summer Jamboree 2023
Attenti però, perché non stiamo parlando di un’illusione ma di una realtà alquanto tangibile, malinconicamente folle per i romantici, intelligentemente commerciale per i pratici.
E allora, via di corsa a Senigallia anche in questo caldissimo 2023, dal 29 luglio al 6 agosto dove come sempre ci attendono i tantissimi eventi che lo accompagnano; esposizione di macchine e moto d’epoca, il Vintage Market, il Dance Camp, Walk in Tatoo, gli stand gastronomici dove poter incrementare il proprio colesterolo, le mostre fotografiche, le feste e il Burlesque.
Quest’anno la novità si chiama “Fearless Devid” Motordome del ‘37, in uno spettacolo mozzafiato con le originali moto Indians del 1927 e i loro folli riders.
Ma se da un lato per molti il SJ è il festival del ballo d’epoca, per noi resta la sua musica, il fulcro centrale da dove partire e creare ogni sfaccettatura e contorno.
Tantissime le scelte e gli stili proposti nei due palchi dislocati presso Piazza Garibaldi e la Rocca Roveresca.
Non abbiamo potuto assistere a tutti i concerti, dato il consistente numero degli show ma, ad ogni modo, quelli ai quali abbiamo partecipato, hanno avuto in comune l’ottima qualità delle performance, caratteristica evidente anche nelle edizioni precedenti che non bisogna mai dare per scontata.
Se siete alla ricerca di un ascolto legato alla tradizione hillbilly, western swing, country e honky-tonk il gruppo da non perdere è quello di Rockin’ Bonnie Western Bound Combo, fusione di due band ben distinte.
Tra le loro maggiori doti c’è quella di proporre un suono autentico supportato dalla bravura dei singoli; la conoscenza, quasi ossessiva, del linguaggio proposto è la forza di una realtà tutta italiana che sembra provenire da quei territori dove questa cultura nasce.
Tra classici di George Jones e originali, la bella voce di Bonnie e un sempre bravissimo Massimo Zampini alla chitarra, sono il valore aggiunto di una band ormai rodata.
Va nominato tra i migliori set di questa ventitreesima edizione quello di Steve Lucky e Carmen Getit supportati da parte dei Good Fellas, l’ormai nota house band del festival.
Il loro è stato un vero e proprio show nello show, fatto d’ironia, simpatia e tanto buon gusto musicale in un susseguirsi di grande swing e un pizzico di blues.
Steve al piano è il vero entertainment della serata mentre Carmen piace per il suo tocco elegante ma deciso alla sei corde.
I dinamici Good Fellas dimostrano ancora una volta di conoscere tanti linguaggi musicali (vedi la condivisione del palco insieme a Pachuco Jose) ma qui sono nel loro habitat naturale e la cosa si sente eccome.
Tra classici più e meno noti e qualche originale, la band si diverte e fa divertire mentre un’entusiasta Carmen ricorda la loro prima partecipazione al Summer Jamboree in un lontano 2003.
I due musicisti di San Francisco non si risparmiano mentre tra i brani più riusciti citiamo “Mama He Treats Your Daughter Mean” di Ruth Brown. Formidabili!
Interessante è stata anche la proposta dell’inglese Rob Heron accompagnato dai Tea Pad Orchestra.
A differenza dei loro album il set live è incentrato maggiormente su suoni rock and roll, anche se ovviamente non mancano le varie influenze, tra honky-tonk e country.
Il fatto di proporre uno show dai toni ritmati conferisce alla performance una dimensione piena di energia e vitalità.
Riescono così, già dai primi pezzi a coinvolgere e conquistare il folto pubblico presente ai giardini della Rocca Roveresca.
Non convincono totalmente i Legacaster, trio proveniente dalla Spagna.
Il loro è un rockabilly classico, ben suonato e “impacchettato”, ma forse quello che manca è un certo appeal e irriverenza nel proporsi; la conseguenza è di un set poco verace e sanguigno.
Di tutt’altro spessore quello che ha visto protagonista uno degli artisti più attesi di quest’anno.
Il covid non gli aveva permesso di partecipare qualche edizione fa, ma finalmente Pokey LaFarge è riuscito a raggiungere il main stage di piazza Garibaldi.
Set splendido all’insegna della tradizione.
Una tradizione però mai banale, costruita su un suono personalissimo che ingloba le atmosfere di New Orleans, al folk, al country e al rock and roll più ricercato.
Il carisma e la bella voce di Andrew Heissler (questo il vero nome di Pokey) sono la ciliegina di una torta di per se già gustosissima.
Se vogliamo essere puntigliosi e criticoni, forse la scelta di così tante romantiche ballate in novanta minuti di concerto sarebbe da rivedere; ma quello di LaFarge resta uno dei set più squisiti di questo Jamborre.
Il motivo del perché Pokey è noto per essere tra i cantautori più stimati della sua generazione è palpabile dopo averlo ascoltato e apprezzato in un’incantevole serata marchigiana.
“Get It ‘Fore It’s Gone” e “Killing Time” sono due piccoli gioielli estratti dal recente “In the Blossom of Their Shade”
Da evidenziare anche la straordinaria qualità dei musicisti che lo accompagnano tra cui il validissimo Erik Miron alla chitarra e tromba.
Una cascata di energia contagiosa all’insegna del piano rock and roll, quella che ha sancito una delle sorprese più elettrizzanti del festival; Dylan Kirk, ventiduenne inglese che accompagnato da una garanzia ed eccellenza di casa nostra come i Di Maggio Brothers, ha fatto rivivere quelle atmosfere care agli amanti di Jerry Lee Lewis. Un talento innato quello del giovane Dylan, del quale sentiremo parlare in un futuro non troppo lontano.
Dopo la cancellazione e posticipazione di alcuni eventi per allerte meteo e pioggerelline varie un altro bel centro del Summer Jamboree 2023 è stata la scelta degli Hi-Stakes, quintetto olandese capitanato dall’italiano Sam Ghezzi, cantante saxofonista trasferitosi da tempo nel territorio orange.
Una scaletta completamente originale, fatta di canzoni ricche di ritmo e ironia.
Il rhythm and blues è la base sulla quale giocare saltellando tra approcci swing, jazz e jump.
Un ottimo connubio anche grazie al talento strumentale della line up tra le cui fila troviamo gli ottimi Gideon Tazelaar al sax e Linus Eppinger alla chitarra.
Presentano brani come “Do It” dal loro upcoming album e un approccio esplosivo ma accurato li distingue da molti altre simili realtà.
Infine un particolare apprezzamento va allo strepitoso trio che ha concluso questa edizione n.23; i Basement Boppers.
Di recente creazione (2020) il trio bolognese è formato da noti frequentatori dei palcoscenici del festival.
Eugenio Pritelli alla chitarra, Zimmy Martini al contrabasso e il noto Fabrais Bum Bum alla batteria sono un concentrato di vigore e stili musicali.
Se nel loro dna è il rockabilly, il centro nevralgico, non mancano bellissime sorprese come il blues “We’re Rockin’ At Midnight” dimostrando tutta la conoscenza e cultura musicale di linguaggi non semplici da interpretare nel giusto modo.
Ed è proprio questa la loro importante capacità attraverso un dinamismo e duttilità che comunque si regge su una base personalissima, forgiando così il tipico suono Basement Boppers.
Una chiusura con il fatidico “botto” quella di questo 2023!
Tanti, tantissimi gli altri eventi da nominare in questa nove giorni di colori, sapori e suoni, come l’ormai immancabile “Rock N Roll Revue” insieme alla Abbey Town Jump Orchestra e il susseguirsi dei vari ospiti internazionali, la reunion dei Di Maggio Bros, i festeggiamenti per i trent’anni dei Good Fellas, Jay Ernest accompagnato dal twang dei Don Diego Trio, Glenn Doran, Rob Heron, The Senti-Mentals, The Indians e tanti altri musicisti (e non) che hanno animato questo piccolo grande mondo vintage.
Ribadita la qualità delle proposte anche in questa nuova avventura, quello che abbiamo notato più di altre annate è stata la forte personalità delle band presenti.
Le loro proposte e i loro linguaggi hanno offerto un’originalità sempre più dominante.
Suoni e armonie legate sì alle varie tradizioni da cui partono, ma comunque plasmati dalla sensibilità e creatività dei loro autori e interpreti.
Tutto questo finalmente a discapito di copie e tributi troppo spesso presenti in determinati festival tematici.
Un concetto che oltre all’intelligenza dei musicisti in cartellone, evidenzia un attento lavoro di direzione artistica.
Senza alterare la natura dell’evento, è riuscita a mantenere brillante, “innovativo” e interessante anche questo Jamboree n.23.
E se il tempo anche per noi volge al termine, per una volta tanto siamo felici che possa passare velocemente… ciò significa che siamo sempre più vicini al SJ 2024.
“The Blues Had a Baby and They Named It Rock and Roll”.
Simone Bargelli
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