Perdonateci.
Rischiamo di essere noiosi e monotoni, ma vorremmo subito ribadire l’importanza dello svolgimento di un evento come il Summer Jamboree.
Un anno assurdo, a volte incomprensibile, per molti senza fine e pieno di montagne da scalare; un periodo, ahimè, che ancora non è terminato, anche se in tanti (troppi) fingono che non sia così.
In un contesto di vita dove nessuno vorrebbe mai essere, la valenza di un festival come questo assume significati importanti che vanno molto al di sopra del suo ruolo vacanziero e di divertimento.
Certamente non è il SJ che tutti noi ricordiamo, è un festival “ristretto”, pieno di limitazioni e colmo di difficoltà nella sua organizzazione, ma comunque è un festival che riprende la sua corsa!
C’è una cosa però che salta subito all’occhio quando si entra nelle piazze di Senigallia, tra il popolo del rock n’ roll; una cosa che racchiude in sé tutto il significato di poter partecipare e continuare a sperare in giorni migliori, di normalità.
Sono i sorrisi, della gente che s’incontra; sorrisi veri, sereni, pieni di speranza.
Quei sorrisi che fino a poco tempo fa davamo per scontati e che passavano inosservati, oggi diventano il motivo del perché affrontare mille difficoltà nell’allestire un evento come questo e sopportare tante fatiche, quindi grazie innanzitutto SJ e grazie alla perseveranza di chi l’ha creato e ci ha lavorato.
Questa inusuale edizione si è svolta dal 30 luglio all’8 agosto, cercando di mantenere invariata la sua struttura, fatta di concerti, mostre, spettacoli e happening correlati.
Diminuiscono il numero di live e cambia la location dell’unico palco disponibile, il main stage si trasferisce in Piazza Garibaldi.
Per molti, la restrizione più difficile d’accettare è quella del divieto di ballo… inconsciamente e ironicamente sembrava a volte di essere i protagonisti del film “Dirty Dancing”; tolti comunque i soliti quattro “finti” ribelli, il pubblico si è comportato impeccabilmente e civilmente.
Troppo spesso il SJ viene associato ad un evento di costume, dove il lato giocoso e turistico evidenziano la sua crescita esponenziale negli anni; ci si dimentica l’importante ruolo culturale legato agli eventi musicali che in questo ventennio hanno portato personaggi storici e band (più e meno note) sempre ricercando qualità.
Quella qualità ch’è subito emersa con il primo set di quest’anno grazie ai Blind Rats.
Quartetto totalmente italiano autodefinitosi la versione tascabile di un’orchestra swing, è un concentrato di buon gusto.
Già presenti in passate edizioni, il combo abbina la grande tradizione vocale, anche quella italiana, a tipici suoni del periodo pre-bellico, quando swing, doo-wop e rhythm and blues si fondevano per dar vita ad un periodo musicale epico.
Capitanati dal bravo e sardonico Simone “Sugar Daddy” Caputo, la band ha saputo fornire uno spettacolo elegante e sostanzioso, tra armonie ben eseguite e finemente lavorate.
Le doti strumentali dei maestri Luigi Napolitano (pianoforte) Paolo Privitera (percussioni) e Roberto Boldi (contrabbasso) sono facilmente emerse.
Killin’ Jive di The Cats and The Fiddle e Joshua Fit the Battle of Jericho, ricordando la versione di Mahalia Jackson, sono state due piccole perle in un’esibizione d’indiscutibile spessore artistico.
I suoni cambiano ma il risultato rimane anche quando sul palco sale Cherry Casino accompagnato dagli immancabili The Gamblers.
La band di Berlino è molto più legata al classico suono rock n roll con una particolare attenzione a connessioni bluesy, vedi le riletture di T-Bone Walker e My Babe di Willie Dixson.
Anche nel quintetto del trascinante Axel Praefcke, chitarra e voce, non manca quella naturale verve ironica garantendo ottanta minuti di ottimi shuffle e buone dinamiche musicali.
Il loro, oltre ad essere un set ben suonato, riesce a divertire e intrattenere nel giusto modo il pubblico della piazza; ottimo il sax di Ike Stoye e il supporto ritmico della chitarra di Michael Kirscht.
Il concerto di Pokey LaFarge sarebbe dovuto essere l’evento di punta dell’edizione 2021, ma l’improvvisa defezione dell’americano, causa covid, ha scombinato il programma previsto.
Quindi, cosa fare? Ma certo! Una Rock n Roll Revue, in poco più di ventiquattro ore!!!!
Può succedere solo al Summer Jamboree; mettere su uno show del genere in così poco tempo.
Il merito, oltre che ad un’organizzazione rodata e coraggiosa, va alla bravura e resilienza dei Good Fellas, band che per chi segue il festival, sono ormai diventati veri amici di famiglia più che la house band ufficiale.
La loro duttilità, dinamismo e l’ottima capacità in ogni linguaggio musicale legato al rock n roll, ha permesso di poter creare una base solida e sicura sulla quale poter far esibire in frenetica sequenza i tanti “amici” del festival che hanno deciso di esserci e contribuire alla serata.
Non dobbiamo nascondere che alcune imperfezioni ci sono state, ma lo spirito, l’energia e la genuinità dimostrata, hanno cancellato qualsiasi piccola magagna, divertendo il numeroso pubblico accorso.
Con una carrellata sempre piacevole da ascoltare di classici del rock n roll, si sono esibiti; Clem dei New Tones, I Belli di Waikiki, altra presenza storica per il SJ, Ray Collins amico ormai decennale della kermesse, Lorenz Knauf, eccellente sax dei Boogie Banausen, Claudio Risolo quattordicenne chitarrista nativo di Senigallia, Greg, beniamino del festival, Matthew Lee straordinario pianista pesarese; mentre una menzione particolare va agli svizzeri Moonlight Gang, eccezionali con la loro proposta fatta di blues, ragtime, jump e swing; sorprendono per proprietà e fedeltà d’espressione.
Il trio si esibirà nella sera seguente con uno spettacolo tutto loro, confermando l’innata destrezza. Formidabili!
Serata dedicata alle grandi voci, quella del 7 agosto; la splendida cornice di piazza Garibaldi ha ospitato, a modo suo, due interpretazioni di essere crooner, prima Johnny Trouble e a seguire Pat Reyford.
Johnny è musicista fortemente legato alla tradizione country statunitense, con una particolare ammirazione alla figura di Johnny Cash.
Accompagnato dal sempre bravissimo Trio di Don Diego, anche loro ormai immancabili negli ultimi anni di festival, interpreta con gusto e fedeltà i classici del genere come “(Ghost) Riders In The Sky”, “Get Rhythm” o “Mama Tried” di Marle Haggard.
L’artista tedesco è anche autore di un’importante discografia originale che puntualmente propone, tra i vari brani piacciono “Lonesome Guitar” e “Lonesome To The Bone”; un vero e proprio cantastorie che seduce attraverso una vocalità profonda e dal fascino retrò; il favoloso twang di Diego fa poi il resto trasformando lo spettacolo in pura goduria per chi ama l’iconografia e la musica country western e honky tonk.
Anche se a volte il mood della playlist sembra essere poco dinamico, l’appeal e l’esecuzione del concerto garantiscono un’alta qualità artistica.
Il palcoscenico torna a vestirsi di swing con l’esibizione del carismatico Pat Reyford, londinese doc dalle origini e sangue italico.
Un susseguirsi infinito di classici e non, tra boogie, rhythm and blues e rock and roll, in un linguaggio che esalta la vecchia scuola di genere, anche legata all’era d’oro delle orchestre. L’interpretazione di Pat è sempre magistrale con un attento indirizzo verso l’eleganza.
Merito va dato anche ai soliti Good Fellas, che lo supportano in un viaggio senza tempo, creando un’atmosfera ricca di belle sensazioni e splendidi ritmi.
La vocalità di Reyford è limpida, colma di melodia e di equilibri armonici, inglobandosi perfettamente sulle strutture musicali dei Fellas, maestri indiscussi del rockin’ swing.
I brani da annoverare sarebbero tantissimi; ne citiamo tre in rappresentanza di un bellissimo set “Burnt Toast and Black Coffee” di Mike Pedicin, “Communications” nella versione di Bulee Slim Gaillard e la celeberrima “Maybellene” di Chuck Berry.
Difficile è stato stare fermi, verrebbe proprio voglia di ballare, ma non si può!
Hanno completato il programma le esibizioni di Greg and The Frigidaires, The Latin Charmers di Marco Di Maggio e David Yates, Rudy Valentino e i Baleras.
Da menzionare inoltre la bellissima mostra fotografica di Milton H. Greene, visitabile fino al 26 settembre e tutti gli eventi che hanno arricchito come sempre il Jamboree; il Burlesque, il Dance Show, la sfilata d’auto d’epoca, il Village Vintage Market, Walk-In Tattoo e tanto altro ancora.
Una nuova avventura è terminata, troppo velocemente anche questa volta; un Summer Jamboree intenso che ha saputo mantenere inalterata l’alta qualità alla quale ci ha ormai abituati.
Un’edizione da ricordare anche grazie alle sue difficoltà e al periodo di svolgimento, per questo forse più ricca e importante di altre…l’invito è quello di non mancare alle prossime edizioni quando tra le chiacchiere dei partecipanti si potrà certamente sentir dire: “Te lo ricordi quell’anno, quando non si poteva ballare? Che periodo! Però anche allora…quanto ci siamo divertiti!!!!”
Simone Bargelli
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