Forse non ci credevano nemmeno loro, Daniela Rossi e Luciano Oggioni, ideatori, organizzatori, nonché coniugi, di tenere in vita da quattordici anni il suddetto Festival, il quale ha ormai delle solide prerogative. E’ itinerante e va in scena da Legnano ai vari comuni più o meno attorno disponibili a mettere a disposizione le loro strutture all’aperto e/o al chiuso. La programmazione si basa su artisti internazionali e italiani di varia natura stilistica senza però mai allontanarsi dalla matrice blues e quasi sempre i concerti sono gratuiti e a favore di iniziative solidali. Anche quest’anno dunque il programma era vario e invitante, la storica rock/blues band inglese dei Nine Below Zero, il confortante Big Daddy Wilson, un ritorno ad un passato glorioso con The Animals & Friends, la notevole riproposizione in ricordo dei diritti civili attraverso le canzoni con Paolo Bonfanti Band e Alex Gariazzo e non solo, perché nella seconda parte del Festival c’erano in cartellone nell’ordine: James & Black, Mike Sponza, Francesco Piu Peace & Groove Band. Per motivi di varia natura, la nostra presenza è legata ai suddetti tre ultimi concerti, ad iniziare da James & Black, nel comune di Busto Garolfo, un duo di provenienza americana.
Lui (Bruce James) è un tastierista, cantante e autore, lei (Bella Black) è una graziosa cantante afroamericana. Non era la loro prima volta in Italia, ma era la prima volta al Soundtracks, insieme al trio del chitarrista Max Benassi che li accompagna quando capitano dalle nostre parti. James & Black sono un duo di stampo soul dove la tradizione, assicurata dalle sonorità un po’ vintage della tastiera e dalla voce roca di James, si riflette in una condizione più contemporanea dalla definizione nu soul con il canto di Bella Black dalle forme mutevoli, più spontaneo ed espressivo quando è naturale, che non quando scende un po’ forzatamente nelle cavità tonali e gutturali. L’impianto stilistico ha anche una spinta elettrica da parte del trio di musicisti italiani, adeguata nelle fasi ritmiche, più accentuata verso il rock/blues nei momenti solistici. Nella coppia a tirare le fila di tutto è James, ma si nota il suo altruismo nel non atteggiarsi a leader, a favore di una condivisione di ruolo con la Black in un bel impasto vocale, “Everyday (Walking in Sunshine)”, “Prefer It Black And White”, “Right On”. Fra i momenti solisti invece segnaliamo Bella Black per “Jonas” e Bruce James per la cover dei Beatles “Golden Slumbers/Carry That Weight”. Un concerto dalle buone sensazioni amalgamate fra passato e presente. Mike Sponza si presenta dalle parti di Parabiago (frazione Ravello) il 6 settembre, con una band di otto elementi, compresa una sezione fiati e due coriste. Un ensemble allargato, ideale per far sì che prendano corpo dal vivo le canzoni del recentissimo “Made In The Sixites”, inciso a Londra presso gli storici studi di Abbey Road. L’inizio in realtà avviene sulle note del rotondo blues “Poor Boy”, dal precedente disco di Mike, “Ergo Sum”, peraltro già registrato nello stesso luogo.
Poi spazio al nuovo progetto, un concept a tema, legato agli anni Sessanta, così densi di eventi che hanno cambiato la storia e i costumi, da tanti punti di vista, sociale, visuale, storico, musicale, sessuale. Non c’è bisogno di pensare troppo alla set list, dice Sponza, che interagirà spesso col pubblico, l’ordine è progressivo e rispecchia quello dell’album, i fiati dal vivo spingono a dovere insieme alle tastiere (Michele Bonivento), costruiscono un suono colorato, tra blues, rhythm and blues, rock’n’roll e un tocco funk. Ecco allora “Cold, Cold, Cold”, in cui elenca alcuni avvenimenti del 1961, a “A Young Londoner’s Point Of View On Cuban Crises”, in cui il giovane londinese del titolo è Peter Brown, paroliere dei Cream e co-autore con Sponza dei testi del disco. E ancora la divertente “Glamour Puss”, omaggio a icone femminili del periodo come Ursula Andress o Emma Peel (entrambe ritratte nei disegni all’interno del disco). Gli arrangiamenti sono calibrati e se la chitarra e la voce del leader sono al centro della scena, non assumono mai un ruolo dominante, quanto piuttosto quello di chiamata e risposta o di sottolineatura tonica. Le coriste cantano un brano a testa, Nicole Pellicani “Even Dylan Was Turning Electric”, sulla svolta elettrica del premio Nobel 2016 nel 1965, mentre Alexia Pillepich “The Thin Line”. L’unica cover è anch’essa d’epoca, la celebre “White Room” dei Cream (scritta da Jack Bruce e appunto Peter Brown) in una versione riuscita, per la gioia dei tanti appassionati di rock classico, con i fiati ancora in bella evidenza. L’angolatura attraverso cui l’artista triestino rilegge gli anni Sessanta è particolare e divertente, ben servito da un gruppo sempre all’altezza, un elogio va anche alla sezione ritmica, Moreno Buttinar e Roby Maffioli. Si chiude proprio con “Blues For The Sixties”, ma il pubblico li richiama per un bis, “Fire”, che Sponza e soci sono ben felici di concedere. Ce lo ricordiamo anni fa ragazzino, quando con la chitarra acustica metteva già in evidenza una padronanza stilistica che dalle radici del blues si inoltrava in altri territori black, gospel e soul, per poi fare delle incursioni nel rock di qualità. Ora Francesco Piu è diventato adulto, ha rafforzato la sua personalità stilistica, ha fatto dischi di valore dove ha messo d’accordo appassionati e addetti ai lavori di blues e rock, e si è con merito affermato in mezzo mondo. Con queste e altre qualità è tornato a surriscaldare il Soundtracks Jazz & Blues Festival e l’Auditorium di Cerro Maggiore (MI).
Non da solo, ma con la sua “Peace & Groove Band” (titolo del suo penultimo disco), mutevole a seconda dei casi e qui presente con il veterano Gavino Riva basso e voce, concreto e senza fronzoli, Giovanni Gaias batteria e voce, un giovane già adulto per la padronanza nello stare dietro ai tamburi e, in sostituzione del tastierista Max Tempia assente per questioni personali, Davide Speranza con l’armonica, un campione del piccolo strumento, del feeling e della duttilità. Eccetto un paio di pezzi acustici, uno dei quali è stata una sentita versione di “Henry” di Keb’ Mo’, con l’ottimo supporto di Speranza, Francesco Piu ha inanellato un pezzo via l’altro in una escursione elettrica dove comunque ad ogni pezzo dava una sua identità, blues, funky, rock’n’roll. Il suo canto è sempre più espressivo e le dita sulle chitarre (elettrica e acustica) hanno prodotto fraseggi ricchi di groove sia in momenti sollecitati che più dilatati. Ha dato una ennesima nuova veste a pezzi del suo repertorio, “My Eyes Won’t See”, “Stick & Stoned”, “Overdose Of Sorrow”, “Down On My Knees”, “Mother”. Ha creato del pathos con “Trouble So Hard”, ha fatto ballare il pubblico con “Trouble No More” (Muddy Waters) e ha chiuso alla grande con “Give Peace A Chance”.
Matteo Bossi Silvano Brambilla
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