Il forte rischio di far parte dell’elenco “rinviato per la drammatica situazione mondiale in corso”, era opprimente anche per lo storico Festival (quindici edizioni), dalla conformazione itinerante fra alcuni comuni dell’alto milanese. Fra questi Cerro Maggiore, tradizionalmente luogo di chiusura della manifestazione che, con la volontà e uno spiraglio di ottimismo degli organizzatori e dell’amministrazione comunale, è diventato per quest’anno l’unico appuntamento, ascritto come “16th Special Edition”, tenutosi nel bel auditorium comunale nel pieno rispetto delle norme di prevenzione vigenti. Un solo concerto dunque, ma dalla elevata qualità dispensata da quello che potremmo chiamare una sorta di “supergruppo”, voluto come alternativa da Francesco Piu e formato da eccellenti musicisti italiani che, pur mantenendo una loro vita artistica, alla bisogna, da un paio di anni si riuniscono sotto la denominazione The Groovy Brotherhood.
Una simile situazione l’abbiamo già conosciuta qualche anno fa con musicisti americani: Cyril Neville, Devon Allman, Mike Zito, Yonrico Scott, i Royal Southern Brotherhood. La “fratellanza” nostrana è formata invece da Francesco Piu (chitarre e voce), Roberto Luti (chitarra elettrica e dobro), Davide Speranza (armonica e voci), Silvio Centamore (batteria).
Ad aprire la serata è toccato a Cek Franceschetti, dobro e voce, che impersona una figura più da storyteller che da bluesman nel senso stretto del termine, con pezzi più che altro autografi, tranne la cover “Death Don’t Have No Mercy”. A lui va il nostro apprezzamento, sia per la spontaneità, che per la decisione di non proporre solo standard per ottenere facili consensi. Eccoli ora i “quattro fratelli”, uniti nel riproporre tutti pezzi dal repertorio di Francesco con una palese intesa già dal primo pezzo “Down On My Knees”. Nessuno dei musicisti si risparmia, niente assolo autocelebrativi, ma gran gestione delle dinamiche e tanto groove, impresso sia nei pezzi più ritmati “Gotta Serve Somebody”(Dylan) e “Don’t Ever Let Nobody Drag Your Spirit Down” (Bibb), sia nelle ballad, l’ottima “Mother” ad esempio e nei gospel. Se infatti “Trouble So Hard” non manca quasi mai nei concerti di Francesco e con rese sempre ammirevoli, questa volta i quattro hanno dato vita anche ad un momento unplugged, scendendo dal palco per “I Shall Not Be Moved”, di cui Francesco ha inciso una versione durante il lockdown.
Bel finale dapprima con una tirata “Trouble No More” con Franceschetti ospite e come bis una ballad di Keb’ Mo’, “Henry”, in una splendida interpretazione. Francesco Piu ha cantato con trasporto, Roberto Luti ha confermato quanto i suoi contributi ritmici e solisti siano meraviglie di sintesi e di personalità, Davide Speranza è un armonicista dalla encomiabile versatilità, non c’è niente che non sappia estrarre dal suo piccolo strumento, e Silvio Centamore percuote i tamburi con contagiosa energia. Davvero una bella serata, visti i tempi, ancora più apprezzata.
Matteo Bossi Silvano Brambilla
Comments are closed