Shemekia Copeland: More Shemekia
di Matteo Bossi
“È stata un’estate piena, sono appena stata in Europa per dieci giorni…e secondo mio figlio Johnny erano troppi! Mi ha detto qualcosa del tipo – mamma è troppo tempo, quattro giorni bastano. – In effetti cerco di andare in tour per quattro giorni o una settimana al massimo. Ha ancora un’età in cui vuole sua mamma vicino, ed è una bella cosa, perché ci sarà un momento in cui mi vorrà fuori di casa”. Inizia così la conversazione con Shemekia Copeland, qualche settimana prima della pubblicazione di “Blame It On Eve”, suo nuovo album su Alligator.
Si potrebbe dire che squadra che vince non si cambia, essendo il quarto album prodotto da Will Kimbrough e la maggior parte delle canzoni, come del resto nei lavori precedenti, sono frutto della collaborazione tra John Hahn, storico manager di Shemekia Copeland, e lo stesso Kimbrough. “Sono in costante competizione come me stessa per migliorare ogni volta. Amo questo disco perché è più leggero dei precedenti, riflette dove sono ora. Ed è stato divertente farlo ma allo stesso tempo sono ora ne sono distaccata. Lo abbiamo realizzato ed ora sta per uscire, il che è grande, non vedo l’ora che tutti lo ascoltino…ma sto già pensando al prossimo.” Aggiunge con una risata.
I tre dischi precedenti costituivano una sorta di trilogia. Questo, come hai detto, è più leggero, ma contiene ugualmente brani molto personali. Penso a “Tough Mother”, che racconta quel che è successo nella tua vita negli ultimi anni, la scomparsa di tua madre, i problemi di salute…
Esattamente. E sai per me questo deve far parte del tuo disco. È come una capsula temporale. Dico sempre che se il mondo finisse e qualcuno ritrovasse i miei dischi molti anni dopo beh saprebbe cosa stava succedendo nella mia vita. Specialmente per quanto riguarda me stessa. È stato importante far sì che parli di verità e di quel che mi capita. Con l’età sono stata più aperta nel farlo ed è stato grande. C’è molta differenza nel fare un disco quando hai vent’anni rispetto ai quaranta.
Hai fondamenta più solide?
Esattamente. Ed è magnifico lavorare con Will e John. Io ho delle idee e posso contare su questi due geni per metterle tutte insieme. Ma tutto è incentrato sulla musica, quella è la cosa più importante, anche quando abbiamo ospiti altri musicisti sui dischi. A tutti piace suonare su buone canzoni ed è stato splendido lavorare con Jerry (Douglas) o Luther (Dickinson).
Luther suona proprio su “Tough Mother”.
Sì, ci conosciamo da tempo a siamo entrambi artisti di seconda generazione, siamo cresciuti in mezzo alla musica per tutte le nostre vite.
Com’è cambiato il processo di lavorazione a un disco? Questa è appunto la tua quarta collaborazione con Will Kimbrough.
È divenuto più facile, sappiamo come fare…il che è meraviglioso, perché quando stai registrando un disco blues non abbiamo a disposizione una vagonata di soldi, non possiamo starcene seduti in studio per mesi…dobbiamo davvero essere preparati quando ci andiamo. Il conoscerci così bene è di grande aiuto. Così possiamo passare bei momenti e produrre buona musica in un tempo relativamente breve. È molto importante. Di rado incidiamo più canzoni di quelle previste, è una cosa che in genere non facciamo anche perché avrebbe dei costi extra.
“Blame It On Eve” sembra quasi un inno.
Viviamo in un mondo in cui i diritti delle donne vengono erosi, l’esatto opposto di tutto quello per cui siamo battute. Perciò questa è una canzone di emancipazione, si un inno per le donne. In questo disco affrontiamo temi diversi, è sì più leggero ma non riesco a staccarmi dai problemi, sono fatta così.
Jerry Douglas suona su “Tee Tot Payne”, un brano che racconta la storia di Rufus “Tee Tot” Payne, musicista blues dell’Alabama un mentore per Hank Williams.
Questa è un’altra cosa che mi piace fare, in ogni disco ci sono alcune canzoni divulgative. Per esempio c’è stata la canzone sulla Clotilda e più tardi quella sul popolo Gullah. E questa canzone è un’altro tassello, per fare in modo che la gente possa conoscere un po’ di storia. La country music non sarebbe stata la stessa se non fosse stata per quest’uomo, Tee Tot Payne. Mi piace molto.
Per la prima volta canti in francese su “Belle Sorciere”.
Si. È stato splendido lavorare con Pascal (Danae dei Delgres). Penso sia davvero pieno di talento…e ho sempre voluto fare qualcosa del genere, cantare in un’altra lingua. È stata una bella sfida per me, perché c’è un intero paese pronto a criticarti se lo fai male! (ride) Ma mi è piaciuto farla, è una canzone triste, una bellissima storia d’amore, cantandola in francese sembrava meno triste.
Toronzo Cannon qualche mese fa ci ha detto che ha molto rispetto per te e la tua musica, aggiungendo che gli piacerebbe collaborare con te in futuro.
Io e lui ne abbiamo parlato, ero davvero contenta del disco che stava realizzando. Mi è piaciuto molto. Sono sicura che prima o poi succederà.
Questa volta, tra i brani di tuo padre, hai inciso “Down On Bended Knees”.
Come sai in ognuno dei miei album ci tengo a registrare una canzone di mio padre. Non c’è una ragione particolare per aver scelto questa, semplicemente è una canzone che mi piace davvero ed ho pensato che sarebbe stata perfetta per questo disco.
Il pezzo finale, “Heaven Help Us All” (dal repertorio di Stevie Wonder), forse la cosa più vicina al gospel che hai inciso.
Sì…in questo disco in un altro brano dico al diavolo di andare all’inferno e chiedo aiuto al cielo e tutti quelli lassù. È una richiesta d’aiuto, necessario, tutte queste canzoni lo sono. Penso che se chiedi aiuto in diverse forme forse lo puoi davvero ottenere.
O un pezzo che pone una domanda, “Is There Anybody Out There?” con la partecipazione di Alejandro Escovedo.
Sono contentissima di aver avuto la possibilità di inciderla insieme, sono una sua fan, ho seguito la sua carriera da molto tempo. Inoltre abbiamo anche la stessa agenzia di booking.
Lo scorso anno eri sul disco “Count Basie Orchestra Swings The Blues”, cantavi “I’m A Woman” con Buddy Guy alla chitarra. Tu e Buddy vi conoscete da tanto, era amico di tuo padre. È incredibile, uno dei primi tour che ho fatto è stato con Buddy, avevo 19 anni. Non ha mai avuto problemi a dividere il palco con me, ad esserci. Gli voglio bene, è una leggenda vivente. Sono grata di aver avuto così tante opportunità con lui. “I’m A Woman” è una canzone di Koko Taylor e se non fosse stata fatta con quel tipo di atmosfera, la Basie Orchestra, una cosa moto diversa…non l’avrei mai registrata! Tendo a stare lontana da canzoni come quella, perché ho troppo rispetto per gli artisti e le canzoni. Ma sono felice di aver partecipato a questo disco. Mi piace pensare che a Koko sarebbe piaciuta.
A proposito di leggende hai un ricordo legato a John Mayall, scomparso da poco?
Mi è dispiaciuto molto quando ho saputo di John. Non ho mai registrato con lui, ma abbiamo fatto diversi tour insieme ed era una bella persona. Ho grande rispetto per il suo lascito.
Per concludere, cosa pensi dei tanti giovani artisti blues che si stanno affermando, pensiamo a Kingfish, Jontavious Willis o D.K. Harrell?
Adoro vedere ventenni o poco più che suonano blues. Penso sia meraviglioso e necessario. Non vedo l’ora di vedere cosa faranno in futuro. Credo che ora, con tutti questi ragazzi, la musica sia in buone mani.
leggi in inglese: https://www.ilblues.org/shemekia-copeland-interview/
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