Quella di Shemekia Copeland è sicuramente una delle voci più dinamiche del blues contemporaneo e la sua reputazione viene consolidata dall’ultimo “Blame It On Eve”: con la coproduzione di Will Kimbrough, si intrecciano importanti tematiche sociali ed esuberanti celebrazioni della vita.

L’album si apre con la title track, un potente inno all’emancipazione femminile, dove la cantante dimostra la sua duttilità, catturando le complessità del controllo di una donna sul proprio corpo.

La successiva ipnotica “Tough Mother” tratta le tematiche della violenza urbana, con la sua voce grintosa che sottolinea l’urgenza e l’importanza del problema: entrambe sono impreziosite dal talento del chitarrista Luther Dickinson.

Già queste tracce mostrano la sua capacità di fondere messaggi incisivi con quelle sue narrazioni musicali avvincenti, che ascoltiamo anche nell’energica “Broken High Heels”, che con immagini vivide non esita a dipingere un quadro crudo della crisi ambientale. “Tell the Devil” coniuga l’impostazione gospel in un rock trascinante, che ritroviamo pure in “Is There Anybody Up There”, dove duetta con Alejandro Escovedo.

Solo la chitarra di Kimbrough accompagna la voce di Shemekia che canta del suo cuore spezzato in “Only Miss You All The Time”, uno dei gioiellini dell’album, così come il triste racconto d’amore di “Belle Sorciere” è offerto con un altro momento acustico, in cui gustare il tocco degli arpeggi di chitarra e contrabbasso e il ritornello cantato in francese.

Viceversa, la sua musica ha altresì il potere di portare felicità e speranza, come ascoltiamo in “Wine O’Clock”, un omaggio giocoso alle gioie del rilassarsi con un buon drink, oppure in “Cadillac Blue”, che racconta la storia di un matrimonio che trascende i confini razziali.

Ascoltiamo Jerry Douglas al dobro in “Tee Tot Payne”, nell’intrigante storia sull’oscuro musicista dell’Alabama dei primi anni del secolo scorso che insegnò il blues ad Hank Williams.

Infine, a dimostrazione di come Shemekia sappia mantenere l’essenza del blues tradizionale e delle sue radici, basta ascoltare la sua interpretazione di “Down On Bended Knee”, scritta da suo padre, che precede la conclusiva “Heaven Help Us All”, che con il suo crescendo corale e arioso vuole lasciare un messaggio di speranza.

Anche questo lavoro rappresenta un ulteriore capitolo che sancisce le qualità della Copeland: la potenza della sua voce emerge in ogni traccia, con un ottimo equilibrio di emozioni, anche crude, e raffinata musicalità che sa catturare l’attenzione degli ascoltatori.

Luca Zaninello

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