Non era scontato, che Ronnie Baker Brooks divenisse un chitarrista. Anzi, neppure ne sarebbe stato contento suo padre, confessa ridendo nell’intervista con Matteo Bossi, proprio per queste pagine. Lui, figlio di Lonnie Brooks, un grande bluesman tra i “padri” appunto, degli anni d’oro della Wind – City, che avrebbe voluto invece la sua family – band, con Ronnie al basso e suo fratello Wayne alla batteria. Ma se anche le cose non sono andate così, per i Brooks il blues è una cosa di famiglia, in cui sono cresciuti accogliendone il testimone più sincero di una scena che, quantunque oggi non sia come negli anni d’oro, ne conserva intatto lo spirito. Un’eredità che i molti della “vecchia guardia” ci hanno tenuto a tramandare, nella consapevolezza che altrimenti, quella forza potesse andare perduta, disperdendone la carica generativa. Ma se la bontà di un albero si riconosce dai suoi frutti, il blues di Chicago è ancora vivo, e lotta insieme a noi – sottolinea lo stesso Ronnie – se ci sono Shemekia Copeland, Toronzo Cannon o Coco Montoya, e Tommy Castro e Nick Moss al soldo del suono della città ventosa. Un passaggio di cui lo stesso Ronnie se ne fa portavoce, per ciò a cui ha assistito, dentro alle cose del blues, sia per suo padre che per tutta una generazione che ha “seminato”, attenta che le radici attecchissero su un terreno buono.
Questo debutto su Alligator così non lo è per davvero, ma solamente per una naturale prosecuzione delle cose, quando Ronnie Baker Brooks racconta, per esempio, che Bruce Iglauer dell’etichetta telefonava a casa a loro che erano bambini, allorché passavano un brano di papà alla radio, e ora gli scrive invece una mail per incidere un disco. Non può che essere una verità tanto semplice quanto ancor più vera perciò, il titolo “Blues In My DNA”, per un artista di fatto da anni in “casa” Iglauer. E quando ascoltiamo la title-track, percepiamo a far da guida un groove carico di funky, che da una traccia come “All True Man”, passando per la penultima “I Found A Dollar Looking For A Dime”, si fa marchio di fabbrica, alternando a episodi carichi di sentimento, come “Accept My Love”, potenti rock’n’roll come “Instant Gratification”, espliciti di un modo diverso di aggiungere i fiati ad una canzone; prima che cose come “Stuck On Stupid” o la vivace “Robbing Peter To Pay Paul” riportino in auge il più tradizionale blues chicagoano. Non poteva mancare la produzione di Jim Gaines (Stevie Ray Vaughan, Luther Allison, Steve Miller, Huey Lewis) e una benedizione di Lonnie Brooks, che insieme ai padri di lassù, non può che compiacersi che la storia continui. E parafrasando Neil Young, dire piuttosto che “the blues can’t never die”!
Matteo Fratti
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