Dopo otto anni, Robert Cray torna a Milano, unica tappa italiana del suo lungo tour europeo. La Santeria di viale Toscana si è riempita gradualmente e il pubblico è in piedi a ridosso del palco. In sottofondo prima dell’arrivo della band, si sente un pezzo di O.V. Wright, non a caso uno dei suoi soulmen preferiti.
Cray e i suoi arrivano puntualissimi e attaccano “Anything You Want” , che era anche il pezzo d’apertura del suo, per ora, ultimo album in studio, l’ottimo “That’s What I Heard”(2020). Un midtempo perfetto come introduzione alle atmosfere singolari della musica di Cray e al valore della band.
Subito dopo recupera “Where Do I Go From Here?”, risalente a quarant’anni fa, compariva infatti su “Bad Influence”. Ci si rende subito conto di quanto funzioni bene il gruppo, con una impeccabile sezione ritmica affidata a Les Falconer alla batteria e al vecchio amico Richard Cousins al basso, oltre all’organo di Dover Weinberg, che ha sovente spazio in assolo e parti di cucitura.
Cray è in forma olimpica, in primis chitarristica, il suo stile alla ritmica si contraddistingue per un esemplare lavoro della mano destra, che produce figure sempre cariche di groove, contrappuntate da assolo staccati e lancinanti sulle sue Stratocaster. Quanto alla voce bastano le pennellate su “I Shiver” o la sinuosa “Poor Johnny” per comprendere le qualità espressive fuori dal comune di Young Bob, per nulla intaccate dalle quasi settanta primavere.
Il repertorio è vasto, potendo pescare da tanti momenti di una carriera quasi cinquantennale, con una bella alternanza di tempi e toni. Solo due le cover, un rifacimento di “Sitting On Top Of The World” e una ripresa di “You Must Believe In Yourself”, omaggio a O.V. Wright contenuto nel bel disco realizzato con la Hi Rhythm.
Un altro suo marchio di fabbrica sono le ballad e questa sera ne regala alcune, come “Anytime”, “You Had My Heart” o più avanti, la splendida “I Can’t Fail”, intrise di sentimento e cantate con classe e vellutato trasporto. Potremmo citare anche la spiritosa “Chicken In The Kitchen” e ovviamente “Right Next Door (Because Of Me)” che mezzo pubblico canta con lui, risalente al fortunatissimo “Strong Persuader”.
Oppure sottolineare ancora il lavoro della sezione ritmica, che fa esattamente quello che serve al brano, con Cousins puntuale e melodico e Falconer attento a non fare mai nulla di troppo; “I don’t do a lot”, ci ha detto scherzando dopo il concerto. Eppure, in una battuta è racchiuso, forse, l’approccio della band, fatta di ascolto reciproco, grande compostezza, senso delle dinamiche e della canzone.
Tra i sorrisi, loro e del pubblico, Robert e soci tornano per due bis, il vecchio successo “Phone Booth” al termine del quale il nostro ironizza sulla sparizione, ormai ovunque, delle cabine telefoniche. E chiudono con “Time Makes Two” di fulgida, adamantina bellezza. Un bellissimo concerto senza un attimo di flessione e un grande artista, Robert Cray, a cui il tempo ha dato ragione, distillatore con maestria di pregiato soul/blues, secondo una sua ricetta, personale e riconoscibile.
Matteo Bossi
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