Una faccia da marpione e un ciuffo ribelle, un incrocio tra Elvis Presley ed Errol Flynn, Rick Estrin e i suoi Nightcats sono a un passo dallo sbocciare del pieno rock’n’roll: sembrano arrestarsi là dove poi il fenomeno esplose in una prorompente deriva adolescenziale alla scoperta del mondo, appena prima di quel mentre in cui gli “Happy Days” tanto cari al mito che gli anni Cinquanta divennero negli anni Settanta, ci rappresentassero il più “navigato” Arthur “Fonzie” Fonzarelli affiancare i pivelli della combriccola di Ricky (Cunnigham) così come fece alcuni anni prima il Dean Moriarty coi beats di “Sulla strada” o risalendo ancor più giù, persino all’archetipo di Huck Finn con Tom Sawyer.
A leggerla in superficie, sarebbe un po’ la storia che c’è sempre un cugino più furbo in città, ed Elmore James aveva Homesick, e B.B. King, Bukka White: come un “fratello” maggiore a saperla più lunga, che potremmo intenderla così persino nel Sherlock Holmes di Conan Doyle (…col suo fratello “più furbo”)!
E Rick Estrin, che c’entra? Sarà forse il suo modo di porsi o quello di questa musica in quella zona ibrida tra il rock’n’roll e il rhythm’n’blues, che la sua storia sta proprio in quel mezzo, lui con la sua faccia da sparviero e la combriccola dei Nightcats a raccontarcela in quel modo.
Pur vivendo a San Francisco infatti (città che di fermenti musicali ne ha visti) Estrin non poteva che passare anche dalla Chicago degli anni d’oro dove il blues, di quelle cose già la sapeva lunga, e ribelle non lo è stata certo per moda, ma per sopravvivere.
Così coi suoi “Gatti notturni” e randagi, ereditati nientemeno, nel 2008, dal chitarrista Charlie Baty (Little Charlie and The Nightcats, appunto) Estrin, dopo un impareggiabile tirocinio adolescenziale coi bluesmen Travis Phillips e Fillmore Slim in epoca “ante – chicagoana”, sarà proprio lui il “fratello” maggiore o lo “zio” poco più vecchio che dicevamo poc’anzi.
Con “The Hits Keep Coming” (Alligator) in questo 2024 non cambia il volto, ed è sempre il suo non prendersi troppo sul serio il marchio di fabbrica del suo “groove” armonicistico e personale; accompagnato dall’immancabile pard “Kid” Andersen alle chitarre (ma anche punto di riferimento e produttore del blues californiano coi suoi studi “Greaseland”); Lorenzo Farrell alle tastiere; Derrick “D’ Mar” Martin alla batteria.
Nel lotto, persino una canzone di Leonard Cohen come “Everybody Knows”, trattata in modo molto “spiritual”; ci sono poi la title-track, che è pure nella vena artistica di un blues soffuso e molto soul, deviando dall’armonica distorta e “ferroviaria” della traccia “Somewhere Else” in apertura.
Così, tra “The Circus Is Still In Town” e “I Finally Hit The Bottom”, Rick & Nightcats si muovono in quella zona di cui sopra, non ancora esplicitamente rock’n’roll e neppure pedissequamente “errenbì”, ma con ciò che più traduce la sua biografia ed esperienza, come la danzante “07 911” o la divertente “Whatever Happened To Dobie Strange” in chiusura: “grande bro’” o “bella zio”, direbbero i giovani d’oggi, pare proprio uno che la sa lunga!
Leggi l’intervista a Rick Estrin qui.
Matteo Fratti
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