L’estate milanese, tra le tante rassegne, ne annovera quest’anno una nuova, chiamata Worm Up, giocando sul nome del luogo che ospita i concerti, il centralissimo Teatro Dal Verme. Il cartellone, piuttosto trasversale, prevede diversi appuntamenti in collaborazione tra Ponderosa e la Fondazione Pomeriggi Musicali. La data del 3 luglio era da tempo segnata in agenda, coincideva infatti col debutto a Milano di Rhiannon Giddens, artista di spicco e dalla singolare traiettoria artistica che sulle pagine de Il Blues seguiamo con attenzione sin dalle prime produzioni su Music Maker coi Carolina Chocolate Drops.
La Giddens dopo l’ultimo album “You’re The One”, uscito lo scorso anno, è in tour con una band di sei elementi, comprendenti il fidato collaboratore Dirk Powell, multistrumentista (tastiere, banjo, accordeon, violino, chitarra) di gran valore, il compagno di musica e vita Francesco Turrisi a sua volta polistrumentista qui soprattutto all’organo e tastiere, Niwel Tsumbu alla chitarra e una ottima sezione ritmica composta da Jason Sypher e James MacKintosh.
Ma procediamo con ordine, prima della Giddens è infatti il momento di Micah Paul Hinson, in trio col fido polistrumentista Alessandro Asso Stefana, produttore del suo ultimo disco, “I Lie To You” (Ponderosa) e Zeno De Rossi alla batteria. Hinson che pare uscito dal set di un film dei fratelli Cohen, anima un set di circa un’ora, fatto di ballate ombrose e minimali, in cui anche grazie ai vari strumenti suonati da Stefana si innestano punti di luce. Il cantautore texano, ma nativo di Memphis, abita una singolare visione folk, dove asperità e ironia si stemperano l’una nell’altra. Dall’ultimo lavoro propone brani come “Ignore The Days”, “People” o una stralunata cover di “Daddy Don’t Get Drunk This Christmas”di John Denver. E il pubblico dimostra tutto il suo apprezzamento.
Breve cambio palco ed ecco la Giddens, con uno strumentale introduttivo prima di eseguire la sincopata “The Love We Almost Had”, una canzone sugli amori sfiorati, “maybe in another lifetime” conclude lei. Poi spazio a Dirk Powell che guida il gruppo all’accordeon per due brani della tradizione creola in omaggio a Bois-Sec Ardoin. Ognuno dei membri ha più di un momento per mettersi in luce, spostando di volta in volta e senza alcuna forzatura, la rotta della musica. Pensiamo a “Briggs Forro” incrocio trans-culturale tra Brasile e minstrel banjo, introdotto e guidato da Turrisi oppure al passaggio di testimone verso Niwel Tsumbu, fluido chitarrista di origine congolese residente, come Giddens e Turrisi, in Irlanda per “Niwel Goest To Town”.
Quanto a Rhiannon la sua bravura e naturalezza al canto è pari (forse) solo alla sua onnivora curiosità e senso della ricerca, che poi trova modo di esprimere in molte direzioni (ha persino composto musica e libretto per un’opera, “Omar” ispirata alla vita di Omar Ibn Said). Non esiste alterità (per citare il titolo di un loro disco) ma interconnessioni, anche tra mondi in apparenza distanti. E allora eccola animare “Come Love Come” o “Another Wasted Life”, racconti di ieri, dei tempi della schiavitù, nel primo caso e di attualità, gli abissi del sistema carcerario americano, nel secondo. Ma anche momenti luminosi, “We Could Fly” e un gustoso ripasso di old time music evocando i tempi dei Carolina Chocolate Drops, “God Gave Noah The Rainbow Sign” acustica, tutti radunati attorno a lei.
Il concerto si chiude con un vibrante gospel in omaggio a Sister Rosetta Tharpe, “The Lonesome Road/Up Above My Head”, con un bel crescendo e il coinvolgimento del pubblico. Per il bis col solo Turrisi al piano regala ai milanesi un toccante brano di Luigi Tenco, “Vedrai, Vedrai”, una interpretazione vera, con piena coscienza del senso del testo. Una grande artista che ci auguriamo di rivedere con una cornice di pubblico ancor maggiore, “magari invitando gli amici la prossima volta”, come ha suggerito lei ringraziando verso la fine.
Matteo Bossi
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