Le apparizioni nel vecchio continente del canadese Paul Reddick non sono molto frequenti, con l’Italia però ha un rapporto particolare, grazie all’amicizia e alla collaborazione coi liguri Guitar Ray & Gamblers, con i quali ha persino collaborato in veste di produttore.
La formazione con la quale ha suonato in queste date di novembre, a partire da quella di venerdi 3 al milanese Spazio Teatro 89, era inedita, con la sezione ritmica dei Gamblers, Marcello Borsano e Gab D, raggiunti dalla coppia di chitarristi dei Monkey Junk, Steve Marriner e Tony Diteodoro, band di Ottawa. I tre sono amici e Marriner suona nel recente “Ride The One” di Reddick, pubblicato come del resto i dischi della sua band, dalla Stony Plain. Proprio da questo disco proviene buona parte del repertorio, pezzi quali “Celebrate”, “Morning Dove” o Diamonds”. L’originalità compositiva di Reddick emerge netta, il sostrato blues è avvertibile eppure non canonico, la band funziona bene, come l’impasto tra le due chitarre. Continuo e affinato dagli anni il dialogo tra la Telecaster di Marriner e la Stratocaster di Tony D., quest’ultimo particolarmente contento di suonare in Italia, da cui emigrò in Canada con la famiglia all’età di sei anni.
Reddick ha un suo stile anche all’armonica, non virtuosistico, ma economo e pastoso, al servizio delle canzoni. Un brano acustico con tutti i musicisti in piedi, uno accanto all’altro, crea una bella atmosfera. Tra gli altri brani che abbiamo apprezzato c’è “Sleepy John Estes”, un mid-tempo tratto da un disco con la sua vecchia band, The Sidemen. Dopo una pausa, come una volta accadeva al cinema, l’ensemble italo-canadese torna per il secondo tempo, di durata altrettanto generosa. Raro assistere ad un concerto che non prevede cover, più o meno note, eppure venendo da Reddick la cosa non stupisce, avendo fatto dell’essere un poco fuori dai canoni una filosofia di vita. Nel finale il leader invita Marriner a suonare l’armonica, strumento che padroneggia a sua volta. Un artista che proprio in virtù della sua personalità, meriterebbe maggiori riconoscimenti.
Matteo Bossi, Silvano Brambilla, Marino Grandi
Comments are closed