Muddy Waters - Classic Concerts cover album

La bellezza di quest’opera consiste nell’esemplificare l’intera vita musicale di un personaggio straordinario come Muddy Waters in tre soli concerti. “Classic Concerts” contiene infatti, oltre ad un paio di interviste ed un brano recuperato da un altro concerto in Gran Bretagna, gli estratti provenienti dai Festival di Newport (1960), Copenaghen Jazz Festival (1968) e Molde Jazz Festival (1977). A Newport, nonostante lo avessero agghindato in maniera perlomeno eccessiva, assistiamo ad un Muddy deciso ad imporre la “sua” musica ad un pubblico fondamentalmente bianco e poco incline all’elettrificazione. Ebbene, il risultato ci sembra migliore di quanto il disco omonimo ci avesse tramandato, in quanto Otis Spann è superbo e James Cotton controllato (gustoso l’accenno di danza con Waters) e Muddy teso (ascoltare “Rollin’Stone” o la non ancora abusata “Got My Mojo Workin’”) alla ricerca di quella consacrazione dovuta e meritata.

Se ci spostiamo invece a Copenhaghen, lo show è  in bianco e nero come il precedente, ci troviamo di fronte al miglior concerto di Waters & Co sia a livello musicale che interpretativo. Infatti, se all’inizio Muddy appare quasi distante da ciò che sta facendo, il suo uso dello slide in “Train Fare Home” è eccellente, come pure la sua interpretazione vocale di “Long Distance Call”, soprattutto nello spazio in cui la band tace e tutta l’emozione è affidata unicamente al magnetismo della sua voce. Ma ciò che lascia il segno, oltre al solito Spann e ad un acerbo Paul Oscher all’armonica, è lo stupefacente lavoro di tessitura sonora della chitarra di Luther “Snake”Johnson. Le armonie che sa trarre sono incredibili, perfettamente udibili e visibili.

Se ci spostiamo a Molde, invece, ci troviamo di fronte ad un leader stanco, costantemente seduto, che non usa  più lo slide, ad un certo punto guarda l’orologio e lascia il posto al canto a Luther “Guitar Junior” Johnson. Ed è un peccato, perché un brano come lo slow “Prison Bound Blues” (difficilmente presente nella scaletta dei suoi concerti), in cui Pinetop Perkins e Calvin Jones hanno lasciato il segno, meritava un seguito di pari livello. Ascesa, conferma e offuscamento temporaneo di un grande. Finalmente un DVD non esclusivamente agiografico.

Marino Grandi (Il Blues n. 93 dicembre 2005)

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