Compilazione eterogenea sulla musica di Memphis, una delle capitali della musica americana, questo sforzo dei Memphis Royal Brothers, un progetto dei fratelli Gary e Richard Bolan, si ispirerebbe al documentario Take me to the River del 2014. Manca un po’ di uniformita’ in un album che include un filo di Blues, Rhythm and Blues e Country, con una buona meta’ dei pezzi che si regge sul cantante Marcus Scott, ex Tower of Power. Apparte una soporifera Ready to Rise, la musica certamente soddisfa anche l’ascoltatore piu’ pignolo.  Le iniziali Good God I got the Blues con Bobby Rush e l’ipnotica Goin’ South di Charlie Musselwhite, che sembra uscita pari pari da Tennesse Woman, pongono la barra gia’ molto in alto. Brand New Heart e’ una bella canzone di quel genere chiamato Americana, con Jim Lauderdale in duetto con una efficacissima Wendy Moten, cantante che forse non ha raccolto cio’ che una voce come la sua meriterebbe.  Saltando a pie’ pari Ready to Rise, si entra nella zona Marcus Scott che infila quattro performances, una meglio dell’altra.  Scott ricorda Jackie Wilson con una voce su toni costantemente alti e con una gestione sapiente dello svolgersi delle canzoni, spesso con un crescendo della tensione. D’altra parte i Tower of Power non lo avevano ingaggiato a caso.  In questo quadro emergono lo slow blues What Mothers Do, con un testo che evoca le difficolta’ delle madri single, una vera emergenza sociale negli States, e I Fall to Pieces, altra canzone di Americana che Scott porta lentamente a cottura.  Tributo un po’ sparagnino, Memphis Royal Brothers si fa apprezzare per delle ottime performances, soprattutto da parte di Musselwhite, straordinaria la sua Goin South, e Marcus Scott, da non dimenticare nella lunga lista dei cantanti legati in un modo o nell’altro a Memphis. Tra i numerosi musicisti, tutti all’altezza, che accompagnano questi artisti, da notare Luther Dickinson.

Luca Lupoli

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