Mavis Staples

Il Koninklijk Theater Carré di Amsterdam lo scorso Giugno ha ospitato Mavis Staples per una delle tappe europee del tour di “We Get By”, ultima sua fatica discografica.

La serata è andata ben oltre la musica configurandosi come un sermone-concerto con lo scopo di diffondere un messaggio preciso.

Mavis ha intrapreso il suo percorso musicale già nel lontano 1948 e, proprio in quel periodo, insieme ai fratelli maggiori Cleotha e Pervis e al padre Roebuck “Pops” Staples, inizia a farsi strada nel Sud degli Stati Uniti con una musica di protesta pacifica. Il quartetto The Staples Singers canta il Gospel per supportare il Civil Rights Movement e, le rivendicazioni di Martin Luther King accrescono la diffusione e l’apprezzamento di questa proposta musicale genuina e fraterna.
Mavis Staples ora sta vivacemente continuando la marcia per i diritti civili iniziata da King negli anni ’60: una lotta non violenta alle ingiustizie radicate come la gramigna nel razzista conformismo societario. Mavis durante il concerto racconta fatti storici vissuti in prima persona, quando, ad esempio, il movimento per i diritti civili è appena sbocciato e Rosa Parks resta incollata al sedile dell’autobus a Montgomery, Alabama. Riporta in vita i discorsi per la libertà e la fratellanza, e rievoca le compatte folle di afroamericani che protestano pacificamente per condizioni di vita migliori. La signora Staples continua imperterrita a gettare le basi per costruire passerelle che colleghino le persone, sempre con la mano tesa ad aiutare il prossimo.

Il 1955 è l’anno che segna l’inizio della rivoluzione afroamericana. Proteste pacifiche, lunghe marce per la pace, discorsi sulla fratellanza e la libertà sono il pane quotidiano dei neri negli stati del Sud. Rosa Parks è stata la scintilla che ha incendiato il fervore del movimento di protesta alimentando per un anno intero il boicottaggio degli autobus a Montgomery. Mavis Staples ha vissuto in prima persona quel periodo storico e ancora oggi, ad 80 anni compiuti, si impegna per portare avanti la lotta non violenta per l’uguaglianza e l’abolizione del razzismo.

“We Get By”, ultima fatica della signora di Chicago prodotta, scritta e supportata dal giovane Ben Harper, è un piccolo gioiello che sembra evocare proprio i vecchi tempi del Civil Rights Movement. Appena si fa scendere la puntina sui solchi del disco si capisce però che è un album fortemente calato nel presente americano, e non solo. Già osservando la copertina si nota che dal 1955 al 2019 la situazione non è poi cambiata molto. La foto scelta per la cover di “We Get By” risale al 1956 ed è stata scattata da Gordon Parks: cinque ragazzine e un bambino di Mobile, Alabama puntano lo sguardo verso un parco giochi. Il problema è che a separarli da quelle giostre c’è un’alta rete metallica che impedisce loro di usufruirle in quanto afroamericani. I bambini danno le spalle all’osservatore, ma si possono facilmente immaginare i loro sguardi persi tra il sogno e la realtà, lucidi di sofferenza, ma sempre pronti a perdonare. Torna in mente anche la copertina del disco degli Staple Singers del 1971 intitolato “The Staple Swingers” in cui si vedono le sorelle e il padre Staples che, sorridenti, si dondolando in un’altalena all’interno di un parco con la recinzione alle spalle. Dalla foto di Gordon Parks del ’56 a quella di “The Staple Swingers” a cura di Joel Brodsky sono passati 15 anni e il clima societario pare già mutato parecchio. In meglio fortunatamente. Nel 2019 Mavis ha sentito la necessità di tornare alle atmosfere del 1956 focalizzando l’attenzione sul revival razzista tornato di moda negli ultimi anni, non solo in America.

Con un atteggiamento pacifico, gli afroamericani guidati da Martin Luther King nel secolo scorso hanno affrontato pesanti soprusi, fino a raggiungere un agognato traguardo nel 1964 con l’approvazione del Civil Rights Act che ha vietato la discriminazione basata su razza, colore della pelle, religione, sesso e origini mettendo fine alla segregazione sul posto di lavoro, nelle zone pubbliche e nelle scuole. Dopo il Civil Rights Act sono stati approvati anche il Voting Rights Act che tutelava il diritto di voto, la legge sull’immigrazione che ha permesso a molti europei di entrare nel territorio americano, e il Fair Housing Act che condannava la discriminazione nella vendita e nell’affitto delle case.

In Italia negli stessi anni Papa Paolo VI promulgava la costituzione “Gaudium et Spes” in cui si evidenziava la necessità di aprire un confronto proficuo tra Chiesa e Mondo. Secondo il concilio vaticano, anche se la vita nel mondo spesso si allontanava dalla morale cristiana era pur sempre opera di Dio e per questo motivo bisognava creare dei legami forti che portassero alla pace e garantissero giustizia e libertà. Proprio in “Gaudium et Spes” si leggeva: Siamo testimoni di un nuovo umanesimo in cui l’uomo si definisce innanzitutto per la sua responsabilità verso i suoi fratelli e verso la storia”. Ecco che anche nel Bel Paese si stava sviluppando una marcia ideale per i diritti civili, decisamente meno pratica rispetto a quella che vedeva coinvolti in prima persona gli afroamericani. Un nuovo umanesimo, ma con l’uomo bianco al centro dell’universo che schiacciava i fratelli neri che gli ruotavano attorno: un sistema solare sbilanciato e precario che inevitabilmente portava a scontri e violenze, destinato a scoppiare per lasciare spazio a una temporanea situazione di stallo, in bilico tra diritti conquistati e braci razziste sempre pronte a incendiarsi di nuovo.

Martin Luther King

Ernesto Balducci nell’introduzione al libro “La forza di amare” di Martin Luther King afferma che le leggi possono comandarci la tolleranza, ma sicuramente esse non comandano la fratellanza umana. Da questa affermazione possiamo capire come le vittorie del Civil Rights Movement sono state solo uno specchietto per le allodole che, indubbiamente hanno portato dei grossi benefici al popolo afroamericano, ma sotto sotto, non hanno estirpato in modo definitivo il sentimento di razzismo e intolleranza. La fratellanza umana citata da Balducci è qualcosa che ogni essere deve autoalimentare dentro di sé quotidianamente, altrimenti si rischia di vivere in una spirale in cui ci si convince di non essere razzisti, ma nel momento in cui capita di dover stringere la mano ad un fratello nero si storce il naso e poi si corre veloci a sciacquarla con abbondante sapone.

Nel corso degli anni abbiamo coltivato una mentalità di massa, passando dall’estremo individualismo all’estremo, ancora peggiore, intontimento collettivo. Nel “Mein Kampf” Hitler scriveva: Per mezzo di accorte bugie, incessantemente ripetute, è possibile far credere alla gente che il cielo è l’inferno, e l’inferno il cielo. Più grossa è la bugia, più prontamente sarà creduta”. Ecco che oggi, proprio come durante il regime dittatoriale, non si ragiona più individualmente su ciò che è giusto e ciò che è sbagliato, ci si affida ciecamente a chiacchiere che sembrano sempre la scelta migliore, ma che in realtà sono bugie ben mascherate. La massa si adegua e si crogiola nella convinzione di essere dalla parte del giusto perché tutti la pensano così. Si crea in questo modo una personalità distorta che fuori sembra abbracciare la causa dell’antirazzismo e dell’uguaglianza, ma presa individualmente è un’incubatrice di odio covato da lunghi anni di messaggi subliminali ed egocentrismo bianco. Un vero e proprio inculcamento ideologico che col tempo si stratifica nell’animo umano fino al momento in cui il cuore si trasforma in pietra e la mente si convince di essere nel giusto. Proprio per far sì che questa durezza interiore si sciolga in un sentimento di fratellanza non imposta dall’alto abbiamo ancora estremo bisogno di dischi come “We Get By” e di artisti come Mavis Staples.

Martin Luther King in uno dei suoi sermoni predicava le seguenti parole: “I principi morali hanno perso i loro caratteri distintivi: per l’uomo moderno ragione e torto dipendono da ciò che fa la maggioranza. Giusto ed ingiusto sono relativi ai gusti e ai costumi di una particolare comunità. Noi abbiamo inconsciamente applicato la teoria della relatività di Einstein al campo morale ed etico”. Questo è un discorso molto attuale che aderisce molto bene alla situazione societaria del ventunesimo secolo: stiamo vivendo un buio etico profondo, con capi di stato che giocano a battaglia navale in un Mediterraneo trasformatosi ormai in un camposanto, saturo di omicidi legalizzati. Mavis nel brano “Change” canta che dobbiamo cambiare, non possiamo continuare su questa via. Dita sui grilletti, proiettili che volano e madri piangenti. E’ necessario un cambiamento drastico che riporti al centro il valore della pace. Per dirla con le parole di King, la mezzanotte della degenerazione morale si è fatta sempre più profonda” e ora stiamo annegando tutti in un collettivo delirio inumano.

“Ci sono problemi nel paese, fratelli e sorelle, non possiamo fidarci di ciò che dice quell’uomo” continua a cantare Mavis con l’aiuto corale di Donny Gerrard e Saundra Williams nel magnifico pezzo “Brothers and Sisters”. Il Koninklijk Theater Carré risuona di fatti di attualità profondamente antidemocratici ma, allo stesso tempo, si riempie di sorrisi e di un sentimento d’amore che schiaccia l’odio e azzera il suprematismo bianco. La musica della stirpe  Staples è un Gospel che cerca di rimediare al clima Blues della società in cui viviamo: un bacino di canzoni permeate di amore divino che protestano pacificamente contro l’inferno delle ingiustizie terrene. Già nel 1965 Pops Staples coi suoi figli cantava “Freedom Highway”: Perché alcuni pensano che la libertà non sia progettata per tutti gli uomini? Ci sono così tante persone che vivono le loro vite perplesse chiedendosi fra sé e sé cosa succederà dopo”. A quanto pare, 54 anni più tardi, coloro che pensano che la libertà non sia per tutti esistono ancora e, di conseguenza, deve esserci anche chi continua a cantare musica di protesta. Mavis è una delle poche voci rimaste a diffondere con vigore il verbo della fratellanza per estirpare definitivamente la gramigna del razzismo.

La Staples, in una recente intervista, si definisce “Messaggera”: orgogliosamente rifiuta di andare in pensione perché questo è il lavoro che svolge da una vita e, siccome i conflitti sono ancora numerosi, è suo dovere inalienabile continuare a cantare. C’è ancora tanto lavoro da svolgere per poter costruire un mondo in cui sia possibile vivere civilmente e l’unica speranza è riposta nei “non-conformisti disciplinati” che si battono per la giustizia, la pace e la fraternità. Mavis è una di loro e con le sue canzoni alimenta il movimento per l’abolizione dell’intolleranza continuando imperterrita a diffondere il suo messaggio dai palchi di tutto il mondo.

Il Reverendo King affermava che “i pionieri nella libertà umana culturale, scientifica e religiosa sono sempre stati non-conformisti” ed è un dovere morale concedere sempre fiducia a chi investe le proprie forze in obiettivi riguardanti il progresso dell’umanità. Il cambiamento positivo  può avvenire solamente dalla costruttiva incapacità di adeguamento di una minoranza non- conformista. “We Get By” è un disco controcorrente che fa parte di tale minoranza: la musica contenuta in quest’album impedisce di trasformarci in incudini passive e ci infonde la forza necessaria per restare martelli mentalmente autonomi che sgretolano i mattoni dei muri razzisti.

Mavis Staples poster protesta diritti civili

Nel 2019 ha ancora senso fare musica di protesta? Sì, senza alcun dubbio, ora più che mai. Nella title track “We Get By” ci si arrangia con amore e fede, sempre con un sorriso sul volto, passando ancora una volta attraverso grossi cambiamenti. Chissà che questi “changes” siano positivi e aiutino a liberarci dalle briglie dei pregiudizi, delle mezze verità e dell’ignoranza. Come Mavis dovremmo aver il coraggio di divorziare da mariti-becchini che ci costringono ad una vita segregata e che vogliono seppellire sotto due metri di terra la nostra musica interiore: dobbiamo tagliare di netto i canali che pompano rancore nelle nostre vene e alimentare invece quelli che diffondono gioia e amore. Il Blues e la musica in generale hanno il compito di remare contro i paralizzanti effetti della discriminazione, devono proclamarsi portavoce della lotta pacifica alla degenerazione morale e al settarismo, essere inni denuncianti le condizioni economiche che privano uomini di cibo e lavoro, devono smascherare le follie del militarismo e gli effetti mortali della violenza. Secondo Martin Luther King, la salvezza dell’umanità è in mano a quelli che sono costruttivamente inadattati: la musica di protesta è l’unica arma che non ferisce, ma tesse una rete di valori civili fondamentali e indiscutibili miranti ad una fratellanza universale. Le canzoni di Mavis Staples sono agape allo stato puro, sono fatte di amore disinteressato e non incarnano solo un sentimento ma una più profonda virtù. L’ottantenne di casa Staples porta con sé questa caratteristica innata, è il simbolo di una volontà costruttiva immensa e rappresenta un baluardo umano che blocca astio, discriminazioni e pregiudizi.

In conclusione, citando ancora una volta il pensiero di Mr. King, possiamo dire che Mavis e tutti coloro che, come lei, cantano per la libertà hanno in sé “la prudenza del serpente unita alla dolcezza della colomba, una mente robusta e un cuore tenero”. Niente a questo mondo è più forte dell’amore e Mavis, alla veneranda età di 80 anni, continua ad insegnarcelo.

[Sara Bao – Il Blues n. 148, Settembre 2019]

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