Distribuito a inizio anno su Netflix il film adattato dalla pièce teatrale di August Wilson ha riportato l’attenzione anche di un pubblico generalista sulla figura di Gertrude Pridgett meglio nota come Ma’ Rainey. Lo ha fatto con un lavoro curato, assicurato dalla produzione di Denzel Washington, già alla regia in un altro dramma di Wilson, “Fences”, con la stessa protagonista femminile, la sempre brava Viola Davis. La regia è stata affidata invece a George C. Wolf e l’altro ruolo rilevante, l’ambizioso trombettista Levee, è interpretato da Chadwick Boseman, nella sua ultima apparizione su uno schermo.
Curiosamente i due attori erano già stati al centro di “Get On Up”, sulle vicende biografiche di un’altra icona musicale black, James Brown. Qua l’impianto è appunto teatrale, con unità di tempo, luogo (Chicago), azione, la registrazione della canzone omonima da parte della Rainey e del suo gruppo di musicisti.
L’opera riesce a condensare molte tematiche non soltanto musicali, ma legate alla società americana dell’epoca, siamo nel 1927, dei rapporti economici tra musicisti neri e produttori bianchi, spazi di libertà e meccanismi di oppressione, perimetri di creatività e orizzonti di mercato, le diverse posizioni all’interno della comunità afroamericana, la violenza e la compassione. Lo fa attraverso le parole, d’altra parte come ha affermato Viola Davis in una intervista al Los Angeles Times, “Wilson era un griot.
E i griot tengono vive le nostre storie. Scriveva per elevare il nostro humour, la nostra bellezza, il nostro dolore, la nostra complessità, per elevare chi siamo stati in ogni decade della nostra storia”. Certo poi l’ambientazione è ben ricostruita soprattutto negli interni, dato che l’azione si svolge, quasi in tempo reale, durante la sessione di registrazione della canzone “Ma Rainey’s Black Bottom”. La cosa scatena una serie di effetti, più o meno concatenati a partire dalla scelta dell’arrangiamento per il brano, quello “tradizionalista” o quello uptempo proposto dal trombettista Levee.
Il ruolo di quest’ultimo, vero coprotagonista, è ancor più della Rainey il vero eroe tragico dell’opera, segnato dalla violenza inflitta dai bianchi in Mississippi a sua madre e a lui e il linciaggio del padre, evocato in un monologo davvero intenso. La sua sorte è, neanche a dirlo, segnata, destinato a soccombere e ad anzi ad infliggere violenza a sua volta sul collega Toledo, mentre le sue composizioni, vendute per pochi dollari all’etichetta, nel finale vengono incise, beffa ulteriore, da una swing band di bianchi.
Il suo ruolo è in fondo quello di chi prova a uscire dalla gabbia che gli è destinata, a forza di innegabile talento, ma anche di spacconate, sfidando Ma’ sulla sua musica e seducendo la sua ragazza, Dussie Mae, ma restando in fondo prigioniero e fragile. Boseman (premiato con un Golden Globe postumo) per la sua performance, è mirabile nel ritrarre un giovane musicista stritolato, con ferocia, dal sistema.
La Rainey, cui Viola Davis conferisce fisicità, carisma e orgoglio, emerge come una forza in grado di sovvertire le regole dell’epoca, una “donna indomita” per prendere a prestito l’espressione titolo del lavoro di Elisa De Munari. Una che sa di poter ancora pretendere che sia il nipote balbuziente Sylvester a introdurre il brano o che le sia portata in fretta una bottiglia di coca cola fresca ma è altresì consapevole che la propria “finestra” di fama e successo non durerà per sempre, “non gli importa nulla di me.
Vogliono solo la mia voce. Questo l’ho imparato”, confessa, in uno dei pochi momenti in cui abbassa la guardia, a Cutler, uno dei suoi musicisti. E in effetti la carriera discografica della Rainey durerà circa cinque anni, nel corso dei quali farà in tempo a incidere oltre centinaio di brani per la Paramount. Un film da vedere per poi andare magari a rileggersi qualcosa sulla Rainey, per esempio il già citato libro della De Munari, “Mesdames a 78 giri” di Roberto Menabò o ancora il lavoro prezioso di Angela Davis, “Blues Legacies And Black Feminism”.
Un’ultima curiosità, nelle parti cantate la Davis è doppiata da una cantante Maxayn Lewis (nota anche come Paulette Parker) ex Ikette in gioventù e poi molto attiva come corista. La colonna sonora è stata curata da Branford Marsalis che ha coinvolto musicisti di valore, soprattutto dalla Louisiana, come Don Vappie e Cedric Watson.
Matteo Bossi
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