E’ passato quasi un anno (è il 23 maggio 2016) e ci ritroviamo di nuovo con Luther Dickinson nel club canturino ed è stata l’ennesima conferma del suo talento. Anticipato da una performance dei There Will Be Blood che tenendo fede alla ironica premessa introduttiva producono una potente ondata sonora, ma monolitica e con poche variazioni. Pezzi loro, e questo è un pregio non indifferente, e qualche cover (“Folsom Prison”), ma appunto la formazione lombarda pecca di eccessiva uniformità, ed il canto, inoltre, viene penalizzato e sovrastato dall’impatto di chitarra e batteria.
Meglio passare al figlio maggiore di Jim Dickinson il quale, come per le date dello scorso anno è accompagnato dal batterista Gianluca Giannasso e tra i due l’intesa sembra essersi affinata, più organico e simpatetico il suo lavoro. Quanto a Luther, beh che dire? Un fuoriclasse. Comincia accennando qualche passaggio di Blind Willie Johnson, poi seguendo l’estro del momento, alterna suoi pezzi e classici blues, quasi sempre con la slide e legando insieme un brano all’altro con passaggi strumentali di gran sensibilità, giocando molto su ritmo, tempo e dinamiche. Scorrono “Back Back Train”, “Let It Roll”, pezzi diventati dei piccoli classici come “Mean Old Wind Died Down” e “Up Over Yonder” una delle gemme del suo recente “Blues & Ballads”.
Omaggia Fred McDowell dapprima con una energica “I’m Crazy ‘Bout You Baby”, poi portandoci lungo la “61 Highway” (quest’ultima ascoltata con grande piacere vista la quasi novità nei suoi concerti) e non manca di riproporre “Hear My Train A Coming” di Hendrix personalmente riadattata al punto forse da poterne colpire lo stesso autore, la dylaniana “Stuck Inside Of Mobile”, “Someday Baby” oppure “Drinking Muddy Waters” e “Sitting On Top Of The World” con la cigar box. Ma la sorpresa più bella è che Luther, dopo circa un’ora, scende dal palco e stacca dal muro su cui era appesa una chitarra acustica e improvvisa un mini set con “Meet Me In The City” di Junior Kimbrough, “Just Like A Bird Without A Feather” o “Make Me A Pallet On Your Floor”, lasciando il pubblico totalmente rapito. Torna all’elettrica per il finale con un altro classico del blues nordmississippiano, “Skinny Woman”. Che splendida serata di musica, torniamo a casa un po’ frastornati da tante emozioni e rincuorati su quanto il blues possa essere ancora profondo e vivo, nel nostro caso per merito di questo quarantatreenne che non gioca con la chitarra ad essere il “più migliore assai”, ma che la usa unicamente quale mezzo di trasmissione delle emozioni che lo percorrono, salendo e scendendo le scale ed il volume del suono, per unirlo inscindibilmente con la vocalità sempre in sintonia con la sua anima. Cioè niente finzioni ad uso del pubblico, ma solo emissioni diversamente sincere di se stesso E’ questa è una gran cosa, specie in un momento in cui il futuro sembra incerto e tanti musicisti se ne sono andati. Grazie Luther.
Matteo Bossi e Marino Grandi
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