Abbiamo conosciuto Leo nel lontano 2014, quando la prima esperienza con Travel For Fans ci aveva portato, manipolo di italiani con aggiunta di due Finlandesi e di una Svedese, giù nel Mississippi, come si suol dire, nella terra del blues. Leo non doveva essere lì, al Red’s Juke Joint di Clarksdale, dove lo stesso Red Paden ci aveva organizzato una cenetta con tanto di ragù alla bolognese, e accompagnamento musicale di Robert Belfour, ma il fato ha voluto che lo incontrassimo. Leo era perfetto per quel posto tanto sgangherato quanto caratteristico, ed il suo sound difficilmente ci uscirà dalla testa. Lo abbiamo rivisto in Italia ai Vizi del Pellicano, sempre nel 2014, per un concerto speciale, legato alle registrazioni con Faris Amine di alcuni pezzi di chitarra per il suo disco di sahara blues. Leo parlava poco e quel poco che diceva si faticava a capirlo. Lo stesso Faris lo seguiva attento e ammirato, pur non riuscendo a farsi dire in che accordatura stava suonando. Welch era così, traspirava dai suoi pori tutta la vita passata a fare il boscaiolo, e anche se Vencie Varnado, il suo manager, amico e assistente, lo accudiva come si farebbe con un padre, i suoi occhi languidi e sinceri non nascondevano timidezza e un pizzico di paura. Il suo sound era grezzo, non di certo volutamente ma perché solo così sapeva suonare. Niente scuole di musica, niente spartiti, spesso gli scappava di dire a bassa voce vicino al microfono che quella canzone che gli chiedevano di suonare lui non la sapeva. Ma poi rideva, sdentato, felice e divertito come un bambino, e così ti arrivava giù, non in fondo all’anima ma in fondo allo stomaco, dove albergano i sentimenti più profondi. Il suo blues ha finito di essere suonato, almeno per noi che ancora camminiamo su questa terra, e non ci è dato sapere se qualcuno da qualche parte lo stia ascoltando, e se il suo sguardo innocente stia ancora facendo da preludio ad una grossa e tenera risata. Gli possiamo solo augurare che sia davvero così!

 

Davide Grandi

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