Jontavious Willis: Keeper of the Fire
di Matteo Bossi
Il ritorno al Blues to Bop di Lugano lo scorso luglio di Jontavious Willis ha confermato sul palco tutte le qualità che già si erano apprezzate nello stesso luogo, cinque anni addietro. Appassionato portavoce di un blues che ha salde radici nella tradizione, specialmente quella del suo stato natale, la Georgia, Jontavious Willis è un cultore di musiche e storie. Lo fa vedere anche nel suo nuovo lavoro, “West Georgia Blues“, presentato in anteprima nel suo passaggio in Svizzera e uscito ufficialmente qualche settimana dopo. Dopo il suo concerto a bordo lago, Jontavious Willis si è fermato a lungo a conversare con noi, seduti su una panchina. Ne è scaturita l’intervista che segue.
Il tuo disco precedente risale a cinque anni fa, volevi che questo nuovo lavoro fosse un passo in avanti per te come artista?
Sì è questo il modo giusto di mettere le cose, perché cinque anni sono cinque anni di vita. Dovevo lasciar succedere le cose e inoltre restando a casa sono diventato un musicista migliore e uno storyteller migliore. In altri paesi suono più canzoni vecchie, nelle mie interpretazioni…il blues è questo, cambi la canzone un poco. Il mio intento è di far vedere come fosse il blues, una persona o in generale la gente del sud che canta e come lo facevano. Ho registrato qualcosa tra il disco precedente e questo ma non volevo pubblicarle senza prima avere il supporto di un’etichetta. Ci sono quindici canzoni, uno strumentale. L’ho prodotto io e ci sono anche alcune cose con la band, con Jayy Hopp ci conosciamo da molto tempo, Ethan Leinwand e Rodrigo (Mantovani) ed è venuto anche il mio amico Lloyd. Per quanto mi riguarda credo si possa suonare cose nella famiglia del blues senza comprometterne le sonorità. Molta gente pensa si debba andare verso il rock ma non è l’unica strada…si può andare verso folk, Americana, R&B pur continuando ad avere un elemento blues. Il rock non è l’unica via. Molti guardano ai vecchi blues come per dire, eravamo lì ma ora siamo qui. Per me invece veniamo da lì e siamo ancora parte di esso. Quegli artisti hanno costituito le fondamenta, il modello, il vocabolario della musica. Spetta a noi espandere il vocabolario, ma deve provenire da questo mondo. Ascolto più che altro blues ma anche rap o R&B ma non penso di incorporarli nella mia musica, perché c’è già tutto lì nel blues. Il verso libero, degli accordi raffinati, l’intrattenimento, la presenza scenica…tutte cose che puoi trovare nel blues. Se scavi abbastanza a fondo, è tutto già lì.
Da appassionato e studente della storia del blues hai avuto modo di stringere amicizie con diversi musicisti delle generazioni precedenti, pensiamo a John Dee Holeman.
Oh era davvero mio amico John Dee Holeman! Mio nonno ha 80 anni, è un po’ più giovane di Mr. John Dee e la mia bisnonna festeggerà 101 anni tra otto giorni…siamo molto legati. Quando ascolto il blues penso che queste sono le prime canzoni che il popolo nero ha cantato dopo la schiavitù, alcune canzoni magari non ne parlano direttamente, ma riesci a sentire cosa pensavano, attraverso la musica…e venivano pagati per fare quello che facciamo noi oggi. Nel 1910 James Reese Europe e la sua jazz band sono venuti in Europa, prima della Prima guerra mondiale. Lonnie Johnson o Alberta Hunter hanno fatto lo stesso, sono venuti qui in Europa più di cento anni fa. E molti non lo sanno. La gente non va abbastanza a fondo alle cose e questo è un problema. La maggior parte di chi ascolta blues oggi ci è arrivato attraverso il rock’n’roll e il rock. Quindi la chitarra. Per questo dico che la British Invasion ha avuto sia aspetti positivi che negativi. È stata una cosa buona perché ha riportato attenziona verso gli artisti, lo è stata meno quando non ha dedicato la stessa attenzione alla cultura. In questo modo quando un artista muore anche il blues muore. E poi è cambiata anche la demografia del pubblico. I biglietti dei festival sono diventati più costosi…inoltre in neri hanno fatto molta musica, è folle se pensi che l’hip-hop o la disco hanno cinquant’anni! Ci sono così tanti generi di musica ora.
E molti giovani artisti blues.
Si un risorgimento! Marquise Knox, D.K. Harrell, Kingfish, Jay Hopp, Dylan Triplett, Sean McDonald, Stephen Hull, Jerron Paxton…o Harrell Davenport che ha solo sedici o diciassette anni e ce ne sono altri. Io e Marquise eravamo attivi sui social media, postavamo cose…suonavamo diverse tipologie di blues. E ora ognuno ha il proprio stile. Nel luglio 2020 siamo andati in Mississippi, c’era il covid, ma dovevamo comunque cercare di guadagnare qualcosa. Ce ne siamo andati in giro per il Mississippi ascoltando blues. Faceva molto caldo ed oltretutto avevano appena tolto la bandiera sudista da quella dello stato. Io, Marquise e Kingfish eravamo già stati al Blue Front Cafè a incontrare Mr. Jimmy Duck Holmes nel 2017, ma ci siamo tornati quell’estate. E Bobby Rush è venuto su da Jackson da solo, per vederci e parlare con noi degli afroamericani…E sono sempre attratto da questo, il blues non è come il rap, c’è molto più spazio, siamo uomini afroamericani legati da questo e semplicemente non puoi togliere i neri dal blues…in America molti non capiscono la storia. È sciocco, io non sto chiedendo a nessuno di espiare le sue colpe, ma è vero che qualcuno non vuole sentirsi colpevole. L’ultima volta che sono stato a Lugano Vasti Jackson mi disse di andare a leggere un articolo sulla secessione, sul perché ogni Stato aveva lasciato gli Stati Uniti. Ogni Stato del sud parlava di “schiavi” e quando arrivi al Mississippi trovi hanno scritto, “abbiamo cercato di portare qui i nativi americani, ma i loro corpi non sopportano il caldo, i neri invece si”. Te lo scrivevano in questi termini gli Stati. Siamo i campi di cotono degli Stati Uniti. E poi il governo ha negato l’educazione agli schiavi liberati per ottanta anni! Capisci cosa intendo? E non hanno avuto diritto di voto fino agli anni Sessanta! La mia bisnonna, che è del 1923, ha conosciuto persone che era nate in schiavitù. Ma è difficile parlare di tutto questo. Neri e bianchi ancora non ne parlano, la nostra generazione ne parla di più, ma quella di prima meno e quella prima ancora meno. Ho molti amici bianchi, ma con alcuni di loro non parliamo di politica, perché molti sono cresciuti ascoltando cosa piaceva ai genitori…
Con gli altri musicisti è diverso?
Frequento tutti i musicisti ma non sono amico di tutti. C’è molta gelosia. Ma quello che hai è tuo. Nessuno te lo può togliere. Quello che Dio, la terra, lo spirito o comunque lo vuoi chiamare ha in serbo per te, non appartiene a nessun altro. La gente vede il tuo successo e sparla. A me hanno detto, “hai ottenuto questo per via di Taj Mahal”, ma no, l’ho ottenuto perché sono bravo. Lo stesso lo hanno fatto con Robert Johnson, vedi è una cosa che mi fa impazzire, perché uno non può esercitarsi moltissimo e diventare bravo? Ecco cosa dobbiamo affrontare nella cultura americana. Ma amo l’America, è casa mia. Non vivrei in nessun altro posto. Nella prima canzone del disco parlo di come la mia gente viva nello stesso posto dal 1823! E se vivi in qualunque posto per duecento anni…beh quella è casa tua. Anche sessant’anni sono un periodo lungo. L’Europa ha una storia lunga ma l’America è un bambino, le ferite sono ancora fresche, puoi ancora sentire l’odore del sangue. Tutte queste cose hanno contribuito a formare l’America…nel bene e nel male. Ogni paese ha la sua storia. Noi abbiamo combattuto con la nostra stessa famiglia, figuriamoci se non combattiamo con gente che non abbiamo mai visto. Ma a casa non ho problemi, l’80% degli abitanti sono neri. Ho comprato casa lo scorso anno in novembre, con circa un acro di terra, abbastanza da camminare, allevare maiali…ne ho sette a casa di mia nonna! Mio zio è mancato all’inizio dell’anno, aveva solo sessant’anni. Lavorava sempre, si lamentava di dolori alla schiena e poi ha avuto un infarto. Io e lui allevavamo maiali insieme. E l’altro mio zio è molto in gamba, sa fare tutti, carpentiere, meccanico, giardinaggio…qualunque cosa. Se sei sempre in giro a suonare musica talvolta non impari a fare cose cha avresti dovuto imparare prima. Sono ancora abbastanza giovane e voglio farlo.
Eri amico di Phil Wiggins, scomparso alcuni mesi fa?
Oh, ti dirò una cosa, Phil Wiggins mi ha invitato ad un workshop blues ed è stata la prima volta che ho potuto vedere cosa succede quando metti insieme tante persone affini. Era il 2017, ho conosciuto Andrew Alli e molte altre persone…una volta che entri nel circuito inizi a conoscere gente. Non lo ascoltavo molto però, è stato lo stesso con Taj e Keb’, ascoltavo roba più vecchia fin da quando ho iniziato.
Cose come Blind Willie McTell, Buddy Moss…?
Esatto, questa è la roba seria! (ride) Ed è questo che cerco di far capire alla gente. Il Mississippi ha dato un grande contributo al blues, ma ti dico perché ha finito per prendersi tutto il credito e tutti non fanno che parlare del Mississippi. Quando c’è stato il blues revival e la riscoperta del blues, tutti i musicisti della Georgia o erano morti o non stavano suonando. Ma Rainey era morta. Mc Tell anche, Moss non stava registrando, Charely Lincoln idem, Peg Leg Howell era malato…Mentre Muddy Waters, B.B. King o Otis Rush che venivano tutti dal Mississippi erano vivi negli anni Sessanta e sono finiti nei video. Ma in Georgia hanno registrato blues anni prima che in Mississippi, anche in Alabama, se pensi a Pinetop Smith o Cow Cow Davenport…Ogni stato del sud ha una storia legata al bleus, Louisiana, Arkansas, Tennessee, South Carolina, North Carolina, Kentucky…I bluesmen del Mississippi hanno registrato a partire dalla Depressione, se si eccettua Tommy Johnson, Rube Lacey, Charley Patton…che hanno registrato alla fine degli anni Venti. Son House ha registrato nel 1930. Si tende ad associare al blues l’essere poveri e ignoranti ma non è sempre vero. Ma Rainey non lo era e Tampa Red si comprò una chitarra che costava la metà di una Ford Model A, ma di queste storie non si parla. Spetta a noi farlo, la nuova generazione, quella vecchia è cresciuta così, non volevano mettersi nei guai…Io non voglio dire cose che possano dar fastidio alla gente ma se è un fatto lo dico senza problemi. Sai uno dei migliori consigli che mi ha dato Keb’ Mo’? Avevo una booking agency al tempo e volevano che facessi un concerto altrimenti mi avrebbero mollato…ma io avevo già un concerto in programma con Andrew Alli. L’ho detto a Keb’ e la sua risposta è stata, “digli di mollarti”. “Non vai a scuola?” “Sì ho ancora un semestre da completare”. “Beh puoi lavorare” “Hai ragione”. E dissi così a loro. E dissero subito, “no, no, non vogliamo mollarti”. Dobbiamo tenere il punto, non con rabbia, anche a costo di perdere qualcosa…Se non dici alla gente che il blues è musica dei neri non lo capiscono. Siamo cresciuti cantando black music. Fa parte di noi, non cantiamo così per una canzone. Non sto dicendo che i bianchi non possano cantare il blues, anzi lo hanno sempre fatto, pensa a Frank Hutchison, Jimmie Rodgers, Riley Puckett…e suonavano ognuno nel suo stile.
Hai collaborato anche con altri artisti della generazione di Keb’ Mo’. Eric Bibb, per esempio, sei sul suo ultimo album in studio, “Ridin’”.
Ho molto rispetto per la generazione precedente ed Eric è uno dei miei autori blues preferiti. In tutti i musicisti della sua generazione puoi davvero sentire la loro versione del blues. È qualcosa di loro, non stanno copiando B.B. King o qualcun altro. Guy Davis è un altro buon amico, viene da una famiglia reale! Adoro Ossie Davis e Ruby Dee. Non c’è tempo migliore di questo per vivere, vorrei davvero che i vecchi ci vedessero suonare ora. So che suona un po’ da matti ma ho avuto tre sogni riguardo musicisti blues che ricordo in modo molto vivido, prima i sogni erano un po’ nebulosi. La prima persona che ho visto in sogno è stata Buddy Moss, era lì seduto sul palco e mi ha passato la chitarra. C’eravamo solo io e lui, un tipo grosso, davvero alto. E abbiamo parlato. In un altro ho visto Big Joe Williams e poi era seduto a suonare il piano e ad un certo punto arrivava Sunnyland Slim alle mie spalle e mi dava una lezione! Per me il blues non è solo musica o qualcosa che faccio come professione, risuona profondamente in me, è parte della vita e della storia dei neri, della vita rurale. E adoro la storia. Lo zio di mio padre era un musicista di country blues. Ma tutti questi musicisti della zona sotto Atlanta non hanno registrato molto. George Mitchell è andato da quelle parti negli anni Sessanta. Mia mamma è una chef e per un po’ ha lavorato in una prigione, ora non lo fa più, e c’era questo tizio che diceva che suo nonno era un bluesman. Ed io pensavo, “si come no, probabilmente non sa nemmeno cosa sia il blues”. Ma quando poi l’ho cercato è venuto fuori che si trattava di George Henry Bussey, lo zio di Precious Bryant. Era ancora vivo ma è morto poco dopo, era in ospedale. In quell’area c’erano musicisti che suonavano blues, ma non a livello professionale, per divertimento, per i vicini. In questi piccoli posti, con solo 600 o 700 abitanti, in mezzo al nulla, vivano artisti blues. Non hanno mai registrato.
Un po’ come alcuni degli artisti che ha fatto incidere la Music Maker.
Oh sì, Macavine Hayes, George Higgs, conoscevo Mr.Eddie Tigner e Mr. Albert White e Beverly Guitar Watkins, sono tutti della Georgia. Come sai, ricercatori di folklore ed etnomusicologi come John Lomax, Alan Lomax, George Mitchell…hanno registrato queste persone. Si potrebbero dire varie cose su di loro, ma i musicisti non hanno visto un soldo. Mitchell è un tipo a posto, lo ha fatto perché amava la musica, ma alcune delle cose che ha registrato sono state pubblicate solo molti anni dopo e quegli artisti nel frattempo erano morti. E non penso abbiano avuto molto. È sempre la stessa storia. Un altro problema è che i neri non vengono ai nostri concerti, questo perché i biglietti sono cari e i concerti non sono nelle loro comunità. In genere sono un pessimista, ma al riguardo sono ottimista che le cose possano migliorare. Conosci Jake Fussell? Anche lui è della Georgia, suo padre Fred è un esperto di folklore. Lui suona folk e blues ed è un buon amico.
Si, e Fussell ha suonato sia con Precious Bryant che con Reverend John Wilkins.
Oh sai sono direttore artistico di un camp sulla west coast chiamato Port Townsend Acoustic Blues Festival. Nel 2018 lo era Jerron Paxton e Reverend John Wilkins con le figlie era lì. Io e il mio amico Jumaine andammo nella sua camera e si mise a suonare blues per noi, suonava come suo padre…alcune vecchie canzoni, è stato gentilissimo, è venuto nella mia classe e abbiamo parlato e riso. Semplicemente adoro passare del tempo con i musicisti più anziani. Sono come una biblioteca viventi. Sono nato nel 1996 perciò non ho avuto modo di incontrare molti di loro…Marquise lo ha fatto, ha qualche anno più di me, ha cominciato prima e St. Louis era un centro importante per il blues.
leggi in inglese: https://www.ilblues.org/jontavious-willis-interview-2/
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