Nei tanti articoli apparsi anche nei media generalisti italiane e internazionali per commemorare l’addio di una figura senza eguali come il novantenne John Mayall, le parole ricorrenti sono, probabilmente, “leggenda”, “pioniere”, “padrino del british blues”. E, una volta tanto, questi termini non suonano iperbolici, eppure ci sembra sia più difficile del previsto trovare una casella per definirlo davvero, lui che ha sempre tirato dritto per la sua strada senza aver timore di imboccarne di nuove ed inesplorate, sfidando ogni volta quello che il pubblico si sarebbe atteso da lui. Incurante del passato, per così dire,  ingombrante che si portava appresso.

Gli esempi sarebbero molteplici, in una discografia vastissima, inaugurata nel 1965 e conclusasi con “The Sun Is Shining Down” nel 2022. Nel mezzo, decine di album in cui l’amore per il blues e il talento multiforme di musicista e arrangiatore di John Mayall si dispiegavano pienamente, guardando sempre avanti, mantenendosi in costante movimento. Quei dischi appartengono alle collezioni di appassionati di generazioni differenti, chi ha avuto la fortuna di seguirlo sin dagli inizi col fulminante “Bluesbreakers With Eric Clapton”, chi lo ha scoperto con “The Turning Point” o a inizio anni Settanta con lo straordinario “Jazz Blues Fusion”, live inciso con una formazione micidiale. O ancora chi ha vissuto il ritorno di John negli anni Novanta, a partire da “A Sense Of Place” e per una fortunata serie di lavori su Silvertone, Eagle o Forty Below.

Leader di grande generosità e lungimiranza, se dovessimo indicare un’altra componente che lo rendeva davvero unico, è un’etica del lavoro fuori del comune, una professionalità esemplare, nel curare e rispettare ogni dettaglio dell’essere artista, dalla produzione alla vendita del merchandising. Come dimenticare infatti che fosse proprio lui in persona ad occuparsi della vendita del suo materiale, prima o dopo i concerti. Lo ricordiamo anche nel suo ultimo tour italiano, nella primavera del 2019. Una lezione, questa, per chiunque abbia avuto modo di suonare con lui, ce lo hanno testimoniato, recentemente, due chitarristi che, in epoche diverse, sono stati al suo fianco come Coco Montoya e Carolyn Wonderland.

Alla fine, forse, anche noi appassionati abbiamo qualcosa in comune con i musicisti che hanno condiviso una parte del cammino di John Mayall, oltre, beninteso al senso di perdita. Ed è la gratitudine. Per la musica che ci ha lasciato, per i tanti concerti cui abbiamo assistito (crediamo ogni appassionato abbia un ricordo di un suo Live), gli orizzonti sonori e di emozioni che ci ha dischiuso. So long John, quindi. E grazie.

Matteo Bossi

 

concerto Mayall  nel 2019 al Phenomenon

John Mayall

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