INTRODUZIONE

Abbiamo incontrato Gabriel Delta ad Alessandria, la città dove vive ed insegna musica, in particolare il blues, con l’Associazione Culturale Alba. Gabriel, originario dell’Argentina, ma in Italia dal 2003, porta con sé il calore delle popolazioni latine e la calma del sud del mondo, e nel freddo del Piemonte, che come altre regioni del nord Italia è un posto dove le persone fanno fatica ad aprire il cuore all’arte, porta avanti la sua battaglia per abbattere i confini, non solo quelli musicali. Il suo ultimo disco, Hobo, accompagnato da un video di lancio a tema, non è, contrariamente a quanto si potrebbe pensare, solo un elogio degli emarginati, quanto piuttosto un voler sottolineare l’importanza di chi viaggia e prova nuove esperienze, alla ricerca forse proprio di se stesso. Lo spettacolo teatrale che ne è nato richiama addirittura l’Ulisse, ma senza allontanarci troppo dal mondo del blues, lo abbiamo incontrato per fare quattro chiacchiere.

D – Ciao Gabriel, sappiamo che sei di origini Argentine, come mai la scelta di venire in Italia a suonare il blues?

R – Si sono nato a Buenos Aires dove ho vissuto per 35 anni e dove ho iniziato la mia storia musicale nel 1988, poi agli inizi degli anni 90 quando il Blues era in pieno auge facevo già parte della scena musicale della città quello che mi ha permesso di condividere tante situazioni con i miei idoli dell’adolescenza e vivere da vicino lo sviluppo del nuovo movimento Blues in Argentina. Dopo sono cominciati i viaggi e la voglia di nuove esperienze, avevo sentito tanti racconti di musicisti che erano stati in Europa e poi Robben Ford ha finito di convincermi durante una conversazione che abbiamo mantenuto facendo colazione dopo una intervista, tutto questo mi ha spinto a cercare nuove esperienze musicali oltreoceano. Ero appena rientrato da Chicago quando decisi di partire per l’Europa, la scelta di venire in Italia è dovuta al mio legame famigliare e culturale e da qui muovermi per il resto del continente

D – Come vedi il blues italiano e quello statunitense o Argentino, ci sono molte differenze?

R – Secondo me le differenze esistono senza dubbi, sappiamo che il Blues è nato negli Stati Uniti quindi fa parte della loro storia e cultura, poi come genere musicale si è sparso per il mondo. Ho avuto la fortuna di vedere e incrociare tanti bluesman e quando sei davanti a loro capisci che tu suoni e ami il Blues ma loro sono il Blues e questa è una differenza insormontabile. Se parliamo dell’aspetto musicale si è cresciuto tantissimo negli ultimi anni e trovi ovunque gente che suona il Blues in modo spettacolare, sono tante le collaborazioni che hanno aiutato a crescere e migliorare . Logicamente in ogni paese il movimento Blues si è svilupato in modo diverso e ha la sua storia da raccontare e i suoi referenti locali, questi ultimi vanno tenuti molto in considerazione perchè sono quelli che mantengono viva la fiamma e in tanti casi hanno delle proposte artistiche superiori a quelle che vengono da fuori. Le differenze possono essere una cosa giusta e naturale, come ti dicevo prima ogni posto ha la sua storia e le sue caratteristiche e queste devono in parte mantenersi per evitare la transculturazione, o sia il rischio di non essere quello che sei per cercare di essere quello che non sarai mai.

D – Raccontaci delle tue esperienze musicali e dei tuoi idoli nel campo del blues, sia nero che bianco.

R – I miei mi hanno regalato la mia prima chitarra quando avevo 10 anni, ho cominciato a studiare musica in modo tradizionale ma dopo un’anno ho mollato tutto. Ho ripreso quando avevo 14/15 anni con i miei amici di quartiere, i miei primi idoli in assoluto erano Jimmy Page (che ho avuto il piacere di conoscere), Eric Clapton e David Gilmour,poi quando avevo 16 ho ascoltato in un negozio di dischi B.B.King e da quel momento è cambiato tutto. Ho iniziato a cercare qualcuno che mi insegnasse a suonare così, da quel momento ho scoperto un mondo favoloso chiamato Blues. Se devo darti dei nomi potrei dirti senza dubbio B.B.King chi mi ha introdotto in questo mondo, di qui conservo come un tesoro le sue parole e la sua firma sulla mia chitarra, Albert e Freddie King, Muddy Waters il guru, Albert Collins, Elmore James, Otis Rush, Magic Sam, Robert Johnson,Snook Eaglin, Robert Jr Loockwood, T-Bone Walker, Fred McDowell, Mississippi John Hurt, Taj Mahal, Skyp James, Duane Allman, Lonnie Johnson, Johnny Winter, Stevie Ray Vaughan, ecc.ecc. sono tanti. In questi 30 anni di musica ho avuto la fortuna di condividere tantissime esperienze con tanti musicisti in diverse parti del mondo e anche con gente di diversi stili musicali, da tutti ho sempre imparato qualcosa che mi ha arricchito e mi è servito per crescere. Nel mondo del Blues ho avuto la fortuna di condividere palco, registrazioni o diversi tipi di manifestazioni con artisiti del calibro di B.B.King, James Cottom, John Primer, Bruce Ewans, Melvin Taylor, Larry Mc Cray, Taj Mahal, Billy Branch, Kenny Neal, Roy Rogers,Chris Duarte, Tom Principato, Woody Man, Tony Coleman, Otis Grand, Watermelon Slim, Fernando Jones, ecc.ecc la lista continua… condividere con loro momenti della mia vita è stato un dono. Poi dovrei aggiungere tutti i musicisti argentini e italiani con qui ho condiviso grandissime esperienze, la lista sarebbe lunghissima.

D – Sappiamo che sei stato a Chicago nel 2016 ed hai suonato con Fernando Jones sul palco del famoso Chicago Blues Festival e che nel 2017 hai accompagnato Billy Branch, cosa ci puoi raccontare di quelle esperienze?

R – Sono state due esperienze meravigliose, la prima grazie alla collaborazione con A-Z Blues mi ha permesso di suonare per tre giorni all’interno di uno dei Festival più importanti nel panorama Blues, ho suonato da solo e in diverse formazioni, mi ha dato la possibilità di presentarmi musicalmente e di avere un bellissimo riscontro da parte del pubblico e dei musicisti. Ho avuto il piacere di essere sul palco con il direttore Marino Grandi, per cui ho un profondo rispetto e grande gratitudine, (lui è stato una delle prime persone ad aprirmi le porte di casa quando ero appena arrivato in Italia) e di conoscere meglio a Fernando Jones e il suo lavoro con la Blues Kids Foundation, condividere con lui il Front Porch Stage è stata una gran esperienza. Siamo rimasti sempre in contatto e auguro ci sia una continuità. Con Billy Branch invece è stata un’altra storia, un’esperienza molto bella, musicalmente e umanamente molto ricca. Abbiamo vissuto tante situazioni, prove, concerti, chiacchierate, ho imparato tanto. Son sicuro che si ripeterà quest’anno.

D – Nel 2016 hai anche avuto un tour nel tuo paese natale, come è stato suonare in Argentina dopo tanti anni?

R – Molto, molto bello, è già da un paio di anni che sono tornato a suonare in Argentina e ho riaperto i canali con i colleghi e vecchi compagni di ruta, ho un bel pezzo di storia vissuto nel mio paese, ho registrato diversi dischi, tante collaborazioni e tanti km fatti. Quest’ultimo è stato particolare e intenso perché ho realizzato più di 25 presentazioni in diverse radio e altri media, presentando il materiale degli ultimi dischi registrati qui in Europa. Presto tornerò per realizzare altri concerti con la possibilità di arrivare ad altri paesi del Sudamerica. Suonare a casa è sempre emozionante.

D – Oltre a suonare sei un uomo di blues e di musica a tutti gli effetti, ci racconti l’esperienza della scuola di musica di cui fai parte?

R – Quando ho iniziato ad entrare nel mondo della musica e a suonare tanto dal vivo ho deciso di dedicarmi a tempo pieno, lasciando l’università e altri impegni. Nel 94/95 chi era stato uno dei miei maestri mi ha spinto a cominciare ad insegnare, prima ho sostituito lui in diverse situazioni, poi pian piano ho cominciato a creare il mio percorso con la convinzione che la musica fa bene all’anima e che tutti possono avvicinarsi . Insegnare è un percorso diverso, molti bravi musicisti non sono buoni insegnanti, devi imparare ad insegnare. Ho insegnato musica privatamente, in Istituti Musicali, all’interno del carcere per minorenni, ho scritto per diverse riviste di Buenos Aires e Spagna e realizzato diversi test per alcune firme importanti. Quando sono arrivato in Italia ho continuato a insegnare in diverse scuole di musica, all’interno del informagiovani della mia città e poi alla fine del 2013 abbiamo creato l’Associazione Culturale Alba dalla quale nasce Diesis Centro di Studi Musicali. La nostra filosofia è quella di darle più importanza alla qualità che alla quantità.

D – Sei uscito nel 2017 con un nuovo disco, Hobo, che racconta una storia anche teatrale, ci puoi raccontare i tuoi progetti legati a questo disco?

R – Hobo è un album che ci sta dando belle sodisfazioni, è stato registrato in presa diretta un live in studio, senza overdubs,molto onesto. Non è un disco per la nicchia, è aperto ad un pubblico più ampio grazie a canzoni come Newen, Skyless Angels, Queen Bee ecc.ecc Poi pensando al valore dei testi, che sono in spagnolo e inglese, è nata l’idea di coinvolgere l’attrice Giusy Barone con la quale abbiamo creato dei testi per introdurre al pubblico nel mondo di ogni canzone. La prima esperienza è stata la presentazione dell’album allo Spazio Teatro 89 nel marzo dello scorso anno e da li l’idea si è evoluta fino a diventare uno spettacolo teatrale chiamato Hobo L’ultima Odissea, quest’ultimo è stato presentato ad Alessandria ad Ottobre con un grande riscontro da parte del pubblico.

D – Pensi di aver trovato una tua dimensione e quindi una casa qui in Italia grazie anche al blues?

R – Devo dirti che dal mio arrivo in Italia non è stato facile , ho vissuto situazioni abbastanza contrastanti, ma con il passare del tempo e grazie alla musica mi sono creato e guadagnato uno spazio, ho sempre mantenuto rispetto verso tutti anche se non l’ho ricevuto da tutti, ma questo non mi ha fermato ne fatto cambiare modo di vedere le cose, continuo a credere nei valori anche se non sono più di moda. Il Blues mi ha permesso di viaggiare e conoscere un sacco di posti e persone meravigliose, ho coltivato delle belle amicizie e collaborazioni, mi piacciono le cose semplici e oneste, sicuramente potrei fare di più se fossi diverso ma preferisco la coerenza alla convenienza. L’anno scorso, per esempio, abbiamo fatto un concerto ad Alessandria (città nella quale risiedo) in Piazza del Duomo, la quale era piena, per me è stata una gran dimostrazione di affetto verso il figlio adottivo, come mi chiama la stampa, questo affetto è sincero e reciproco ed è stato guadagnato con il passare del tempo. Mi sono sempre sentito cittadino del mondo, ma posso dirti che in Italia ho trovato una casa.

D – Sappiamo che ti esibisci in quartetto ma anche con altre tipologie, dal trio al solo. Ci vuoi raccontare la diversità delle offerte musicali e soprattutto chi sono i musicisti che ti accompagnano?

R – Si in realtà posso presentarmi con diverse formazioni, ogni una mi permette dal punto di vista musicale di esprimermi diversamente, quartetto, quintetto, trio acustico o elettrico, in duo o da solo, ma ogni formula è potente e curata, ogni spettacolo va lavorato e arrangiato in base alla formazione per farlo rendere al massimo. Insieme a Daniele Mignone lavoriamo molto sugli arrangiamenti per raggiungere questo obbiettivo, ci da una gran libertà di scelta e una gran diversità sonora a seconda degli strumenti che coinvolgiamo, sia sui brani originali che su le revisioni dei classici. Sempre sono stato versatile infatti non mi piacciono le etichette quindi mi sento libero di contaminare e giocare, i nostri concerti sono vari e molto apprezzati dal pubblico in generale. Quando invece devo fare delle cose a livello educativo o quando si svolgono i seminari e dimostrazioni allora sono molto più legato alla tradizione, al rispetto degli stili e alla parte antropologica.

D- Ti chiediamo infine quali siano i progetti per il tuo futuro, se vuoi condividerli con noi.

R – Il mio obbietivo fondamentale è quello di essere felice e di condividere tempo e sogni con le persone che amo, nell’ambito musicale stiamo lavorando nella produzione artistica del nuovo album e veramente ci stiamo divertendo un sacco, si stanno aprendo nuove collaborazioni e nuovi orizzonti. Mi piace vivere la musica come arte e non come business. Grazie infinite per avermi dedicato questo spazio, rimango a disposizione e auguro il meglio a tutti voi.

 

Intervista a cura di Davide Grandi

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