E’ la metà di un mese piuttosto caldo e l’anticipo d’estate non invoglia certo a chiudersi in un live -club per sentir suonare, anche se un’altra serata di pastoso blues’n’roll è quanto mai attesa e proprio al Live Club di Trezzo sull’Adda ci sono i Gov’t Mule. Abbiamo ritenuto che il gioco valesse senza dubbio la candela, anche perché è in un’operazione di pura rivisitazione delle loro origini che la band di Warren Haynes coglie il pretesto del loro ultimo “The Tel-Star Sessions” per questa nuova data italiana nella location individuata per l’evento.
E anche se il locale non è gremito al limite della capienza, comunque notevole è la partecipazione di pubblico per la band americana nata tra le parentesi degli Allman, con un intenso paio d’ore abbondanti di musica anche sulle tracce dei vecchi demo oggi ripubblicati, che ne segnarono il loro palese marchio di fabbrica: consistente matrice hard venata di blues, improvvisazione jazz, psichedelia e torrenziale rock’n’roll decisamente anni Settanta, pescando a piene mani in ciò che la line – up vuole e ama fare di ciò che ascolta, adattandolo alla propria identità sonora. Così Danny Louis spinge su il tappeto organistico che richiama la miscela sudista a cui attingono i compari, Jorgen Carlsson e Matt Abts, con basso e batteria, tessono le trame ritmiche di un “riffeggiare” potente, imperniato sulla figura di Haynes quale direttore d’orchestra e mastro – cerimoniere di una serata pilotata dalla sua chitarra, e da una voce che pure è sincero omaggio alla recente scomparsa di Gregg Allman.
Si articolerà così in due set, questo ritorno dei ‘Mules che non disdegnano di suonare un’altra volta anche nella nostra italica periferia musicale, senza troppo farsi attendere sul palco, come si addice alla vera puntualità professionale, sebbene la pausa a metà concerto abbia spezzato un po’ grinta e continuità iniziali, tra alti e bassi di una seconda fase a tratti forse un po’ prolissa: se voci di corridoio non avessero rivelato di un malessere pomeridiano del nostro comunque, probabilmente non ci saremmo accorti di nulla. Alla faccia del non sentirsi in forma infatti, il quartetto ha suonato dilatando i tempi delle canzoni nella sua più sincera filosofia da festival psichedelico, e più che tra le quattro mura di un locale poi non così afoso come avrebbe potuto essere (..visto il clima, poteva andarci peggio) ci sarebbe piaciuto goderceli dalla collina di qualche “tre giorni” americana, tra camping, barbecues e birre ghiacciate, vera dimensione di un concerto di tal fatta. Ma tant’è, anche stavolta c’eravamo e se la desertica cavalcata di Blind Man In The Dark ha aperto le danze, a chiuderle, come in un richiamo concettuale senza soluzioni di continuità, è stata proprio la Dark Was The Night … dell’uomo dell’oscurità blues per antonomasia che fu Blind Willie Johnson:
la versione, una resa rocciosa che ne ha trasformato l’inquietudine originaria in una violenta fuga elettrica dall’inferno. In mezzo, tutto il repertorio che evidenzia come i Gov’t Mule plasmino a piacimento la materia nelle loro mani, più che mai accessibili al grande pubblico nelle ballads stradaiole come Banks of The Deep End, Soulshine o Pressure Under Fire; west – coast funky come Sarah, Surrender; apprezzabilissimi nei rock’n’roll più viscerali come Stone Cold Rage; più ricercati negli umori sospesi di Dreams o nel roll & jammin’ di I’m A Ram. La garanzia, quella di un linguaggio che rende anche la loro musica nel filone di un patrimonio popolare espressivo comunitario, esce dai confini di genere e ne fa i testimoni di un’eredità che accomuna tutto un universo musicale. Anche il bis su di un’intramontabile Statesboro Blues d’altra parte, non tradirà equivoci …
Matteo Fratti
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