I ragazzi di Boston, Mass., neanche fosse il titolo di un vecchio disco dei Del Fuegos, sterzano con una virata prepotente dal garage al blues, e i GA-20 capitano sul palco del graditissimo festival Dal Mississippi al Po in Piacenza, location nell’ex-convento di Santa Chiara, per un altro dei concerti nella godibilissima cornice delle mura, con le impalcature dei lavori che lo trasformeranno in residenza per universitari. Ci chiediamo se la prospettiva ci garantirà ancora la disponibilità di un posto in cui proporre e ascoltare musica dal vivo, vista la rarità di momenti come questo, non l’evento a far parlare di sé, ma chi ci suona, e la musica non solo come “imbellettamento” di un altro momento da postare sui social.
Il live dei GA-20
Chi c’era (pochi ma buoni, ovviamente) era lì per ascoltare il combo di Stubbs – Faherty – Carman, trio americano col nome di un vecchio ampli della Gibson, e una line-up ispirata ai mitici Houserockers di Hound Dog Taylor, cui dedicarono esplicitamente il loro secondo album (“Does Hound Dog Taylor. Try It…”, 2021) prima del loro ultimo dal vivo, quest’anno, il quarto “Live In Loveland”.
Sicché, non è solo lo spirito di quel concerto a ritornare nel set eseguito nella città emiliana, cioè di quel “Live” ben gravido anche dello spirito del “segugio” Theodore Roosevelt Taylor, bensì una rodata scaletta, qui riproposta quasi per intero, con tutta l’energia di quel che però avevamo già ascoltato su disco.
L’esibizione è infatti un po’ il rimescolamento di quelle tracce, così come le stesse “dal vero” sono un po’ anche il meglio dai recenti inizi del loro progetto. E rispetto ad aspettative che vorrebbero uno show diverso per ogni sera, in un’ottica di blues-jam, la professionalità di Stubbs e compari lascia ben poco spazio all’improvvisazione, per quanto i tre suonino come se non ci fosse un domani e la potenza della loro track-list sfoderi una ventina di canzoni in poco meno di un’ora e mezza, una via l’altra.
Neanche la disavventura della perdita degli strumenti, quasi un classico per le band in tour, toccata stavolta alle chitarre di Stubbs, frena la padronanza del chitarrista, imbracciando per l’occasione una sostitutiva telecaster modello “Joe Strummer”, cui fa da contraltare il “rig” alla Hound Dog Taylor di Faherty e una slide incendiaria come nell’intermezzo che lo vede prendere il largo e scendere dal palco al pulsare della batteria di Carman.
Non disdegnano una performance entusiasta, i GA-20, quantunque a pochi minuti dal concerto si chiedessero dove fosse finita tutta la gente, loro che col caldo da Mississippi nemmeno hanno smesso i loro abiti da scena, un giubbotto di jeans prima di salire on stage e gli occhiali scuri rubati ai Blues Brothers. Con “Double Gettin’ My Love” siamo già nel bel mezzo delle danze, ma è palese il viraggio di cui sopra a un più genuino sentimento dei “fifties”, rispetto al ricercato low-fi modaiolo di Black Keyes o White Stripes, accostati spesso per la scelta di una formazione scarna ed essenziale, dall’approccio punk.
I nostri evocano invece spunti più classici di Chicago Blues, elettrificazioni meno estreme, quantunque spigolose come poteva esserlo Elmore James, e “Lonely Soul” è esplicita in proposito, vetrosi e cristallini i “solos” nel rimpallo tra le chitarre, così come “My Baby’s Sweeter” di Little Walter o la ballabile “One More Time”, a scanso di equivoci. Già volgono ai saluti i riffs rock’n’rollistici di “By My Lonesome” e un’altra serata di una musica che, “dal vivo”, sembra essere sempre più rara a queste latitudini, come il freddo di un inverno a Boston, Massachusetts.
Matteo Fratti
Nikki Hill al Dal Mississippi al Po Festival
Stesso luogo e stessa ora, la sera successiva tocca invece a Nikki Hill prendere possesso del palco piacentino. La cantante originaria del North Carolina ma residente da qualche tempo a Memphis, dimostra ancora una volta tutta la sua grinta in un divertente concerto di rock’n’roll in cui non ha alzato per un momento il piede dall’acceleratore.
L’avevamo apprezzata già lo scorso anno al Blues to Bop di Lugano, con questa stessa formazione comprendente Nick Gaitan e Marty Dodson come sezione ritmica e due chitarre, quella del marito Matt Hill e quella dell’ottima Laura Chavez. Un gruppo che fa dell’energia grezza il proprio punto di forza, creando un supporto roccioso per la voce di Nikki.
Partono a spron battuto con la classica “Travelin’ Band” dei Creedence che in un certo senso stabilisce le coordinate entro cui si muoverà il gruppo per la prossima ora e mezza. Niente di più e niente di meno che del genuino rock’n’ roll. Il moto perpetuo e l’ancheggiare felino della Hill, “Feline Roots” è d’altra parte anche il titolo dell’ultimo suo lavoro in studio, risalente ormai al 2018, ci ricordano la carica danzereccia e liberatoria di questa musica.
Senza troppi pensieri né tentennamenti, ma uno via l’altro ecco “Poisoning The Well”, “Strapped To The Beat” o “Don’’t Be The Sucker”.
Chi si aspetta un rallentamento, qualcosa di simile a una ballad o ad uno slow, resta forse spiazzato da cotanta indefessa profusione d’energia. Hill non risparmia le corde vocali, ondeggiando sui riff sporchi del marito e gli assolo della Chavez su un altro pezzo basico come “Ask Yourself”, cui segue “The Fire That’s In Me”.
Ecco, indubitabilmente, un po’ di quel fuoco che ha dentro lo ha riversato anche questa sera a Piacenza a beneficio del pubblico di Santa Chiara.
Un encomio doveroso a Fedro Cooperativa che da anni continua con tenacia a proporre musica di qualità tra Piacenza, Fiorenzuola, Parma e i paesi delle valli circostanti.
Matteo Bossi
Comments are closed