L’emozione nell’attesa di un evento regna sempre su tutto. Cerchi di ricordarti i particolari su cui non puoi perdere la concentrazione e grazie ai quali la tua performance sarà valutata. Richiami le tue conoscenze, cerchi di caricare la fiducia nelle tue capacità ed ecco che ad un certo punto tutto ha inizio e un ennesima porta si apre, un sipario, che pur perpetuando il suo rito non è mai ripetitivo. Comincia sempre così un esibizione, sia per chi sta sul palco, sia per chi non ne ha l’onore ma ha il compito di raccontare per immagini tutto quello che nasce dallo studio, dall’energia e dalla forza che nel jazz si chiama improvvisazione. Inizia così Theo Croker, senza esitazioni come se continuasse un chorus mai interrotto, sottovoce con la sua tromba richiama il pubblico all’ascolto. Incredibile purezza di suono e sensibilità nell’esprimere le dinamiche. Il figlio d’arte del grande Doc Cheatham anch’esso grande trombettista e vincitore di un Grammy Award, ha avuto la responsabilità di rompere il silenzio sul palco. Lasciatemelo dire: trombettista di prim’ordine. Ogni volta che sale sul palco dimostra di essere erede consapevole e sempre all’altezza del lascito paterno e la prima pennellata è stata la sua.
In un Teatro Auditorium Manzoni sold out di appassionati (Si parla di 1.135 spettatori), si è aperta così con grande grazia (non saprei esprimerla diversamente) la prima data del Bologna Jazz Festival 2014. Un tappeto ritmico cristallino si è rivelato da subito. Kassa Overall, alla batteria porta un contributo che da subito si rivela non limitarsi al jazz puro. Anche lo swing che esprime sul raid della sua batteria ha un espressione fresca e trascinante e che tradisce piacevolmente le sue contaminazioni hip hop ma sopratutto rivela voglia di espandere il tema attraverso quello che nel gergo jazzistico si chiama “tiro”.
Eric Wheeler aggiunge corpo al suono sino a formare una solida e malleabile ritmica. Washington based come si usa dire in inglese, fin da ragazzo ha avuto la possibilità riservata a chi ha talento: viaggiare e fare musica con il suo contrabbasso. Un grande anche con il basso elettrico, cosa non banale. I contrabbassisti che si muovono con padronanza sull’alter ego elettrico, per la non percepibile distanza tra i due strumenti, sono da considerarsi a tutti gli effetti polistrumentisti. Chiuso tra il pianoforte e le tastiere Sullivan Fortner da New Orleans, si dimostra da subito all’altezza del compito creando spunti ritmici sempre raccolti dal quartetto durante i chorus di improvvisazione. Senza “spingere” si fa strada tra la folla di accordi, forte di una formazione solida che lo ha portato a fianco dei grandi: uno per tutti, Wynton Marsalis. A fianco di Theo Croker con anch’esso un testa folta di capelli si presenta Irwin Hall. Il ruolo di sassofono alto per lui che nel 1999 vince il concorso “Bird Lives! Jazz Saxophone competition” e che oggi dopo essersi esibito nei più importanti teatri del mondo è qui, a Bologna.
Non fatico a capire le ragioni della sua vittoria al “Bird Lives!”. In più di un occasione il suono tradisce l’influenza benefica del grande Charlie Parker. Ma ecco che l’emozione dell’attesa torna a farsi sentire in tutta la sua impazienza, ecco entrare una delle cantanti jazz che ha collaborato, tanto per fare alcuni nomi, con Dexter Gordon, Dizzy Gillespie, Max Roach e Sonny Rollins. Lei, Dee Dee Bridgwater, che non nasconde l’emozione del calore che arriva dalla platea gremita di appassionati. Sempre divertente e divertita dal sua fare musica, ha ancora una volta dimostrato quanto spazio occupa sul palco il suo talento e come in virtù della sua natura, il jazz possa stravolgere senza snaturare alcuni veri standard jazz che ha reinterpretato con la sua talentuosa band.
Mi ha veramente emozionato ascoltare “Blue Monk”, il blues di Thelonious Monk appunto, in cui il basso di Mr. Wheeler ha dimostrato perché si trovava proprio su quel palco sabato sera e il solo di Mr. Hall mi ha riportato ancora alle sonorità di Charlie “Bird” Parker. Ho smesso di fotografare per ascoltare “Love For Sale” del grande Cole Porter nella sua reinterpretazione ritmica. Veramente una grande cantante in cui più di una volta si è permessa il finale a sfumare, con un’incredibile precisione e padronanza della voce sia nell’intonazione che nella dinamica. Dee Dee Bridgewater è sempre stata lì, sempre presente e sempre pronta a fondersi con la band infilandosi letteralmente tra i due fiati della band, lasciandosi andare in un assolo simulando e mimando un trombone. Davvero la voce è un grande strumento e davvero lei ne è una grandissima testimone.
Gianni Grandi
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