Angelo “Leadbelly” Rossi – The War & Treaty al Dal Mississippi Al Po Festival 2022
Chiostro Ex convento di Santa Chiara, Piacenza
Ricco e vario il programma del festival piacentino “Dal Mississippi al Po”, ancor di più delle acque del fiume stesso nella ripresa estiva all’indomani pandemico. Spalmato in città e contesti differenti, anche verso Parma e Fiorenzuola, Cortemaggiore e Castell’Arquato, tra i tanti appuntamenti segnati da tempo è la data del 26 giugno, per la prima volta (e per ora anche l’unica) di The War & Treaty in Italia.
Il gruppo, guidato da Michael Trotter e dalla moglie Tanya Blount, apprezzato finora sui dischi in studio, si è esibito nella scenografia suggestiva del chiostro dell’ex convento di Santa Chiara in Piacenza, in via di riqualificazione e particolarmente ammirato anche dalla stessa coppia americana, come: – “uno dei posti più belli in cui abbiamo mai suonato” – .
In apertura però, è una nostra vecchia conoscenza, Angelo “Leadbelly” Rossi, che ci proietta in una di quelle situazioni in cui quasi si annulla l’attesa del gruppo “da lontano”, per ritrovarci col senno di poi forse coll’aver apprezzato ancor di più l’opening – act rispetto agli headliner della serata. Sempre in grado di catturare qualsiasi pubblico abbia davanti, doveva essere in trio ma, ironizza: – “il terzo lo abbiamo perso per strada” – e al suo fianco allora, solamente il contrabbassista Alessandro Porro.
Ma che sia in duo, trio o da solo, i suoi blues ruvidi e densi ci catturano trovando un naturale radicamento nei suoni mississippiani, siano essi appartenenti alla tradizione blues, oppure al versante gospel. Un esempio, la sua versione di “61 Highway” come di “I’m So Glad I Got Good Religion”, che guardano a McDowell; con due parole sulla differenza nelle celebrazioni religiose tra il cattolicesimo italiano e il mondo afroamericano del Sud, e finale dall’impasto boogie stile John Lee Hooker quanto, ci sembra, Robert Belfour.
Blues progressivamente ipnotici, accordature sghembe e un alternarsi elettrico ed acustico di grande forza evocativa, che non viene “da lontano” appunto, ma ci porta “inconfondibilmente” lontano.
Dal Michigan invece i coniugi Trotter, Michael, tastiera e voce, Tanya, tamburello e voce, in arte The War And Treaty. Coppie nella vita e sul palcoscenico, come Derek Trucks e Susan Tedeschi, Rihannon Giddens e Francesco Turrisi o ancora Allison Russell e JT Nero, a cui si aggiungono idealmente anche loro.
I due sono accompagnati da un trio di giovani musicisti, batteria, basso e chitarra, bravi e composti nell’assecondare le dinamiche della musica. Una delle rare cover proposte è “You Don’t Know Me”, lo standard reso celebre da Ray Charles, indicativa in fondo di come la loro musica attinga a tradizioni contigue, soul, country, gospel e ballate, sempre incentrate su scambi vocali di grande impatto.
Il che oggi risulta piuttosto inconsueto, vista la componente strumentale sovente predominante o paritaria; qui il bilanciamento è tutto a favore delle voci. Il repertorio è fondato specialmente sul loro disco più recente, “Hearts Town”, uscito su Rounder due anni fa.
La residenza a Nashville porta una certa affinità per pezzi dal sapore country quali “Yesterday’s Burn” o ancora “Jubilee”, cantate col solo supporto della chitarra acustica di Max Brown. Altri pezzi sono testimonianza della loro storia d’amore e di rinascita comune, “Set My Soul On Fire” oppure sono nati in seguito ad una visita ai parenti di lei in North Carolina, “Little New Bern”.
Michael racconta la sua esperienza di “wounded soldier” dopo due turni in Iraq e i problemi connessi alla sindrome da stress post traumatico (PTSD), che il rapporto con la moglie lo ha aiutato a gestire in un pezzo intenso intitolato “Five More Minutes”. Altrove le loro voci danno vita a pezzi dalle melodie efficaci e dai richiami soul classici quali “Hey Pretty Moon” oppure “Hustlin’”.
Il pubblico applaude e si gusta le dimostrazioni d’amore tra i due, trasferite in musica fino alla fine del concerto. I Trotter tornano, da soli, sul palco per un bis, “Perfect Ending”, in cui ci lasciano un ultimo assaggio delle emozioni che le nude voci umane sono in grado di originare.
Matteo Bossi e Matteo Fratti
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