Collins Copeland Cray

Non è semplice recensire un album che ha raggiunto i quarant’anni di età, soprattutto quando è stato realizzato da tre mostri sacri del genere, pluripremiati e noti in tutto il pianeta. Non è semplice perché si tratta di raccontare un album che, verosimilmente, tutti i lettori di questa recensione già conoscono, probabilmente anche meglio di me che ne scrivo, e sul quale potrebbero aver consumato le puntine dei propri giradischi. Per uscire dall’imbarazzo e superare il blocco da ansia da prestazione, provo ad immaginare di dover raccontare questo album a nuovi e giovani appassionati di blues che ancora non lo hanno ascoltato. Iniziamo con un consiglio, certamente influenzato dalla mia preferenza per la sacralità del gesto di appoggiare il disco sul piatto, appoggiare il braccio del giradischi e godermi la musica mentre guardo le immagini della copertina prima di dovermi alzare per girare il 33 giri e cambiare lato: se potete, acquistate il vinile.

Nella release del quarantennale, infatti, trovate degli scritti, alcuni dei quali dello stesso produttore dell’album, Bruce Iglauer, che raccontano la storia di questo ensemble e di questo lavoro. Iniziamo con il dire che questa registrazione è amicizia, stima, sfida, passione e talento. È la fine degli anni ’50 (l’album è del 1985) quando Albert Collins, che ancora non è The Master of the Telecaster, conosce il giovane Johnny Copeland e gli insegna i primi licks di chitarra. Quindici anni dopo tocca a Robert Cray essere condotto da Albert Collins sulla via delle 12 battute. I tre vivono in località diverse e suonano con band diverse, ma ogni volta che si incontrano, diventa una occasione per una jam session. E questo pare essere, in effetti, il caso dell’album. Registrato in soli quattro giorni, originariamente il trio prevedeva un diverso chitarrista, oltre a Copeland e Collins, ma alla fine la line up vide aggiungersi Cray, su suggerimento di Collins.

Showdown! (Alligator) è stato registrato in soli quattro giorni, e Cray è stato presente solo per due. Diversi arrangiamenti sono stati improvvisati dai musicisti durante le pause, il brano “The Dream” venne scritto in una notte da Bruce Bromberg e Cray e registrato il giorno successivo. La qualità dell’album, nonostante sia stato registrato in cosi poco tempo, non sorprende se consideriamo che i tre chitarristi si conoscevano da decenni, durante i quali hanno avuto diverse occasioni di svolgere jam session insieme. I tre sembrano ispirarsi mettendosi alla prova a vicenda.

L’album inizia con un tributo a T-Bone Walker, con “T-Bone Shuffle”, in cui i tre si alternano tra cantato e assoli. Con “The Moon Is Full” è il momento di Collins e Cray: la base melodica sviluppata dall’organo e le gradevoli linee di basso, sostengono perfettamente il ritmo chitarristico e gli assoli costruiti su note alte. In “Lion’s Den” la voce crunch di Copeland si inserisce sul bel ritmo sostenuto di un blues onesto e sincero che regala una ottima base per gli assoli di Copeland e Collins. In “Black Cat Bone” viene ripresa una vecchia melodia, il pezzo si apre con uno scambio di battute tra i nostri, e si sviluppa con un allegro funky groove pensato e registrato al momento.

Tutti i brani contenuti nell’album meritano di essere ascoltati con l’attenzione che i tre, Collins, Cray e Copeland hanno dimostrato, in decenni, di meritare. Questo è certamente un album che va scoperto o ri-scoperto, perchè lascia un pregiato gusto blues “di una volta”.

Andrea Capelli

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