Clarence Edwards, nato a Lindsay in Louisiana il 25 marzo 1933, a dodici anni si trasferisce a Baton Rouge con i suoi tredici fratelli e i genitori e lì impara a suonare la chitarra ascoltando i vecchi dischi blues. Negli anni ’50 Edwards insieme al fratello Cornelius comincia a suonare nei clubs locali con la band Boogie Beats e successivamente si unisce anche ai Bluebird Kings. Nei decenni successivi il bluesman sparisce dal giro musicale andando a lavorare prima in una fattoria e poi in un deposito di rottami. Solo nel 1989 Clarence è stato riscoperto grazie al fiuto di Steve Coleridge, un musicista inglese che era andato negli Stati Uniti per fare ricerca su Slim Harpo.
Tra il 1990 e il 1993 Coleridge registra Clarence Edwards sia in studio che live, inclusi tutti i brani contenuti in questo disco Baton Rouge Downhome Blues (Wolf Records-2023). I dettagli di queste sessions non sono molto chiari, è certo però che oltre ad Edwards alla chitarra, c’erano Coleridge al basso e Ronnie Houston alla batteria. Sugli altri musicisti presenti sul palco non si hanno certezze perché quasi ogni volta cambiavano in base alla disponibilità di ognuno: all’armonica, ad esempio, si alternavano Oscar Davis, Harmonica Red e John Gradnigo.
Dopo queste numerose gigs americane sparse tra Louisiana, Missouri, Illinois, Kansas, Texas, Alabama e California, Clarence Edwards ha in programma di intraprendere anche un tour europeo, ma, purtroppo, alcuni problemi di salute glielo impediscono. Il 20 maggio 1993 Edwards muore a Scotlandville, Louisiana, lasciandoci un testamento musicale scarno, ma denso di emozionante e paludoso blues.
Clarence Edwards – “Baton Rouge Downhome Blues”, l’album
“Baton Rouge Downhome Blues” si apre con “Every Night About This Time”, un brano ritmicamente segnato dal pianoforte e che assume grande personalità grazie alla vigorosa voce di Edwards.
“Dealin’ From The Bottom Of The Deck” è appiccicosa, con l’andatura tipica delle swamps, solo gli interventi acidi dell’armonica fanno vedere uno spiraglio di sole mentre si arranca sul fondo del ponte, col fango che imprigiona le caviglie. Un amore imbrigliante e illusorio come l’apparente solidità del letto del fiume. Si prosegue con “Crawling King Snake”, un brano tradizionale che qui Edwards arrangia con freschezza e grande stratificazione strumentale, proprio come in “Well, I Done Got Over It” di Eddie Jones presente più avanti sul disco.
“All Your Love” abbandona la strada della limpidezza per tuffarsi a capofitto in un barilotto di viscosa melassa elettrica e con le striature ipnotiche tipiche della resina sciolta. Quasi sei minuti di incedere circolare che non lascia scampo, proprio come quando si precipita nelle grinfie dell’amore.
Si prosegue poi con “Down Home Blues”, il classico bluesettone “giù a casa” colorato con qualche coro e tutto l’entusiasmo possibile perché la musica di casa propria è sempre quella che ti fa star bene.
Edwards si butta poi nel lentone scritto da McKinley Morganfield, “Still A Fool”, un pezzo che la palude ce l’ha intrinseca, proprio come “I Want You To Love Me”: si percepisce il catfish avanzare nell’acqua fangosa e il pantano avvinghiarsi ad ogni superficie, sono brani che vestono a puntino Baton Rouge, in tutto e per tutto.
Con “Rocky Mountain Blues” si torna invece nella spregiudicatezza dell’elettricità dura e pura, ricercatissima dagli sperimentatori moderni, lasciando l’incarico all’armonica di acidificare quanto basta l’aria complessiva.
“Don’t Make Me Pay For His Mistakes” torna su un approccio più classico, con la “solita” grinta del blues che non te le manda a dire, ma con l’inserimento eclettico del violino suonato da Gina Forsyth e Scott Shipman. Si procede poi con un brano di Willie Dixon, “Hoochie Coochie Man”, qui reso ritmicamente spezzettato e febbricitante, tenuto assieme solo dal fluire vocale di Edwards che in certi punti sprigiona colori quasi soul.
Ci si incammina verso la fine dell’album con “Everybody Has Their Ups And Downs”, unico brano all’interno del disco scritto da Edwards, e con “The Things That I Used To Do”, un pezzo che rallenta i ritmi e mette in primo piano tutta la versatilità vocale del bluesman della Louisiana.
“It’s Love Baby (24 hours A Day)” riprende in mano la situazione giocando con percussioni e ritmiche, indirizzando l’ascoltatore nuovamente downhome, laggiù nel paludoso South in cui non ci sono leggi scritte per il blues: l’anarchia sonora permette di tirare fuori dal cuore gemme come questa, capaci di stagliare nella mente immagini esotiche, ma al contempo familiari, in cui l’amore, ovviamente, è sempre protagonista.
Baton Rouge Downhome Blues si conclude con l’arrangiamento di Edwards della celebre “Highway 61 Blues”, che qui ti si struscia addosso come una gatta in cerca di coccole. Un brano che si fa ruffiano, denso, sinuoso, ideale conclusione di un disco che celebra il clima umido di Baton Rouge e della Louisiana intera, con tutti i suoi molteplici umori.
Sara Bao
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