christone kingfish ingram

Non vi è dubbio che Christone Kingfish Ingram sia tra i capofila degli artisti blues della sua generazione, un dato confermato dal suo nuovo “Live In London”(Alligator) pubblicato a sorpresa lo scorso settembre. Abbiamo avuto modo di parlare del disco col ventiquattrenne nativo di Clarksdale e delle tante cose accadute dalla pubblicazione del precedente “662”, circa due anni addietro. “Abbiamo suonato in Italia lo scorso anno”, ci dice, “mi ricordo bene la data di Roma, è stato forte, l’armonicista Sugar Blue si è unito a noi durante il concerto e durante il giorno abbiamo anche avuto modo di girare un po’ la città”. L’album dal vivo è arrivato senza preavviso e sembra già destinato a segnare un passo importante nella sua carriera. “Ti ringrazio. Ci abbiamo lavorato parecchio, molte prove per trovare diversi arrangiamenti…ma sono contento sia venuto fuori così bene. Era una cosa che avevo in mente perché molti fan mi chiedevano da tempo un disco dal vivo. Così ne ho parlato col mio manager e abbiamo pensato che fosse arrivato il momento giusto, visto che avevo pubblicato due dischi in studio…dovevamo soltanto scegliere il concerto. A quel punto abbiamo pensato a Londra, perché è oltreoceano, un posto storico in UK…sentivamo potesse essere speciale. Abbiamo fatto alcune prove, volendo cambiare alcune cose nelle canzoni. Volevamo fosse una sorpresa, ecco perché è successo tutto così in fretta”.

Hai avvertito una certa pressione sapendo che stavate registrando il concerto o non ci hai pensato troppo?

Direi un po’ a metà. Perché ci sono un paio di canzoni che di solito non suoniamo nei concerti, come “Rock’n’Roll” e un paio di altre. E in quella fase avevo tolto dalla set list i pezzi acustici…li abbiamo reinseriti apposta per questa serata.

Nel disco ci sono brani diversi, ballad, pezzi acustici, blues e altri più tirati.

Sì, abbiamo cercato di coprire più spazio, non si può accontentare tutti ma non fa male provarci!

 La Fender ha creato una Telecaster Kingfish Signature di un colore chiamato Mississippi Night. Sul disco c’è uno strumentale con questo stesso titolo.

Sì, ci serviva un nome per quello strumentale, è un low down blues, come il Mississippi e così lo abbiamo chiamato come il colore della chitarra. Ci è voluto un anno e mezzo per realizzare la chitarra ma è venuta benissimo. Ho detto loro come la volevo, come mi serviva, abbiamo avuto alcuni incontri e la chitarra suona alla grande. Sono un tipo da humbucker, gli ho spiegato che tipo di suono volevo, usando come esempio il modello del ’57, a volte suono in chiesa o canzoni R&B e perciò ho bisogno di una chitarra che sia allo stesso tempo potente e morbida.

Christone Kingfish Ingram Bay Car 2017 ph Philippe Prétet

Il tuo album precedente, “662”, ha vinto il premio Grammy, come ti ha fatto sentire questo?

Oh è stato del tutto inaspettato! Non pensavo che il disco avrebbe vinto, c’erano molti artisti validi in quella categoria. Ma sono molto grato per questo, ci ho messo il cuore e l’anima e penso che nel disco ci siano cose differenti, rock/blues un po’ di R&B…ma tutto fondato sul blues.

Negli scorsi mesi sono mancate due figure vicine a te, il tastierista Marty Sammon, che ha suonato su entrambi i tuoi dischi e Bill Howl’n’Madd Perry, uno dei tuoi mentori.

Marty era come un padre, come hai detto ha suonato le tastiere sui miei album e ogni volta che andavo in tour con Buddy Guy passavo sempre molto tempo con Marty, mi dava consigli sulla vita e altre cose. Di sicuro mi manca molto. Mr Perry è stato uno dei  miei mentori al Delta Blues Museum, mi ha dato il soprannome Kingfish e mi ha dato molte opportunità di salire su un palco ben prima che qualcuno sapesse chi ero. Gli sono molto grato per quanto ha fatto per la mia carriera, mi ha dato una grossa mano all’inizio. Mi manca anche lui. Non ho avevo avuto modo di parlargli di recente, ma ogni volta che ci vedevamo a Clarksdale aveva sempre parole di supporto e apprezzamento.

Sul disco dal vivo suoni un pezzo di Michael Burks, “Empy Promises”, un altro bluesman scomparso troppo presto.

Sì, Michael Burks mi ha influenzato molto quando ho iniziato a studiare bluesmen diversi, era uno di quei musicisti che guardavo spesso su Youtube. Abbiamo cominciato a suonare alcune sue canzoni e il pubblico lo apprezza. Non l’ho mai incontrato però. (Burks è mancato nel 2012 ndt). Suoniamo altre sue canzoni come “Heartless” o “Count On You”.

 Il prossimo weekend sarai al Crossroads Festival a Los Angeles.

Oh si è fantastico! Vuol dire che i tuoi colleghi, i tuoi contemporanei ti considerano un loro pari. Sono grato che tutti mi abbiano accolto e di avere quest’opportunità. Farò qualcosa col mio big brother Eric Gales e con Samantha Fish e un paio di altri musicisti, sarà una sorta di grande reunion.

Sei andato spesso in tour con Buddy Guy o Bobby Rush, una sorta di passaggio del testimone, essendo tu parte di una generazione più giovane?

Oh beh, se vuoi metterla così, va benissimo…ma loro non hanno ancora finito, sono ancora in giro e in gran forma! Sono grato a loro per avermi trattato come un fratello minore o qualcosa del genere, ci sono sempre per me. Certo, c’è la responsabilità di portarla avanti e far vedere al pubblico che sono parte di essa.

Hai pubblicato un remix e un video di un tuo pezzo, “Another Life Goes By”, con Big K.R.I.T. un rapper del Mississippi. Una canzone che dimostra come il blues possa ancora essere importante per raccontare le storie di quel che succede oggi.

Oh certamente. Molti hanno una visione semplicistica di cosa sia il blues, invece dobbiamo parlarne, tenere ben presente questo aspetto. Vedi, il blues non tratta solo di “having a good time” o “my baby left me” o un lungo assolo di chitarra…è molto più di questo.

Sei già al lavoro per il prossimo album in studio?

Oh sì. Abbiamo alcune canzoni pronte, pezzi che non sono stati usati per “662” e altri su cui sto ancora lavorando…ci sono diverse cose sul tavolo per il prossimo disco. Cerchiamo di mettere in evidenza la crescita, la maturazione, non solo la chitarra. Sono sempre impegnato, ma è di sicuro un bel momento.

Matteo Bossi


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