Jeneene  Brown  Mosley, nuova presidentessa del festival  dall’edizione  del 2011, non rischia di sbagliarsi quando sostiene, con uno sguardo brillante, chela Città del Vento è unanimemente riconosciuta come “Capitale del Blues nel Mondo”. Come d’abitudine la 29esima edizione ha avuto luogo al Grant Park, in uno scenario idilliaco. Un immenso giardino dai molti viali ombreggiati, lungo i quali si passeggia volentieri a due passi del  Lago Michigan, dominato dalle architetture e dalle grandiose facciate del quartiere d’affari del “Loop”. Questo luogo ha, dunque, di che sedurre gli amatori del mondo intero, che si affollano a questo rendez-vous imperdibile della musiche afro-americane. Assai minacciato dalla drastica riduzione del budget culturale della municipalità di Chicago, come obbliga la crisi economica, il Chicago Blues Festival2012, hadovuto, come l’anno passato resistere contro i venti e le maree della situazione di pessimismo, per continuare alla fin fine a offrire gratuitamente al pubblico un programma ricco e variato. E così, questo festival offre, alla rinfusa, artisti conosciuti e tutta una pleiade di quelli e di quelle che non hanno ancora il loro posto al sole.

Jackie Scott (foto Philippe Pretet ©)

Sorprendente la scelta di quello fra gli organizzatori che ha programmato all’apertura del festival una delle ultime leggende viventi del West Side, Eddie C. Campbell sulla scena del Mississippi Juke Joint! Il giovane settuagenario, di stanza a Chicago da un bel po’, è sempre “felicemente” prigioniero della sua vecchia Fender Jazz Master color malva. Il maestro, la cui Fender “suona” meravigliosamente, ha eseguito soprattutto i titoli del suo ultimo album, con un’arte consumata della nota giusta ed efficace, accompagnato da una band chicagoana ben rodata. Un buon giudizio per questo concerto inaugurale.

Gli subentra il truculento Vasti Jackson proveniente da McComb, Mississippi. Vasti (si pronuncia Vast-Eye) è produttore, arrangiatore e compositore, e interprete della sua condizione. Nessuno stile lo spaventa! Brilla dal blues al soul, dal jazz al funk, con venature di gospel. Un vero showman, dalle mimiche esilaranti in un vestito bianco impeccabile tutto in ghingheri, e che bisogna assolutamente (ri)vedere se passa vicino a voi.

Johnny Rawls è certo meno carismatico e meno appariscente sul palco, ma rimane tuttavia molto efficace, vista la sua grande personalità. Seguace di uno stile soul blues ben levigato, lui che è stato premiato e che a più riprese può essere ascoltato allo Hi Hat Club ad Hattiesburg, Mississippi. Sulla linea dei rimpianti Tyrone Davis e Little Milton, Johnny Rawls è un valore sicuro del soul sudista. Sua figlia Destiny, che io non conoscevo, dalla voce calda e dolce, l’ha dapprima accompagnata in scena a cantare qualche titolo promettente. Ne chiediamo ancora!

Arrivato alla fine del set di Quintus McCormick, molto applaudito da una folla compatta davanti al palco Bud Light Crossoroads (quest’ultimo mi aveva lasciato un’impressione mitigata al Lucerna Blues Festival  2011), decido di aspettare Zora Young, originaria del Mississippi, che ha emigrato a Chicago per cantare il gospel in seno ai Chicago’s Greater Harvest Baptist Church. La sua settima apparizione al Chicago Blues Festival mi ha entusiasmato. Carismatica a piacimento, con un repertorio composto da standard del Chicago Blues, questa piccola donna dal canto potente ha un’energia da vendere che fa sollevare la folla. Un set spadroneggiato da un’estremità all’altra. Risalendo il grande viale, nel quale dominano i venditori di pizza e gli odori dei ribs (costole di maiale grigliate sul barbecue), mi fermo davanti allo stand stipato del Windy City Blues Society Stage, che riserva sempre d’abitudine delle buone sorprese. Una bella sorpresa. La brillante band dei Cash Box Kings è in cartellone. Il boss Joe Nosek all’armonica dà il via. Un suono sporco e down-home direttamente uscito dalle classifiche degli anni ’50 dell’etichetta Sun, individuabile per un powerful mostruoso in scena e un beat da togliersi il cappello. Ecco un gruppo molto frizzante che è in ascesa e che ha molti fan in Europa. Da non perdere, senza alcun pretesto.

In programma sul palco Petrillo Music Shell, troviamo il Reverendo K.M. Williams, tutto azzimato e che ha consegnato un set acustico in slide con la sua diddley bow molto personalizzata composta da una scatola di sigari ed un manico da scopa. Un suono metronomico fantastico e sugoso, una sorta di churchy down-home blues viene catapultato fuori dall’amplificatore al fine di ingemmare testi intimisti e religiosi. Accattivante.

Milton Hopkins (foto Philippe Pretet ©)

Il festival 2012 è stato dedicato al mitico chitarrista texano Lightnin’ Hopkins. Suo cugino Milton Hopkins e Jewel Brown, che hanno recentemente pubblicato un disco per la etichetta  Dialtone, erano accompagnati da Eddie Stout, il produttore dell’etichetta e bassista. Un set sicuramente risoluto e ben compattato, ma un po’ appannato, che mi ha, alla fine, lasciato non del tutto sazio.

Il  clou della prima giornata sarebbe arrivato con il leggendario Texas Johnny Brown che non lo si presenta più, talmente la sua carriera è lunga ed impressionante. I suoi due superbi album “Nothin’But The Blues”e “Blues Defender”, apparsi perla Choctaw Creek Records, devono figurare in un posto di rilievo in ogni buona discoteca di blues. Questi gli sono serviti da trama per dar vita ad un set di eccellente fattura, tutto commovente e swingante. Una verà felicità ascoltare questo artista discreto che va all’essenziale, e le cui composizioni originali colpiscono nel segno. Un momento forte del festival.

Tommy McCracken è una figura locale atipica che non lascia insensibili. Rimasto nell’anticamera della notorietà, si considera tuttavia fortunato di aver potuto suonare  con Son Seals, Koko Taylor o ancora con Lonnie Brooks. Showman e carismatico, il nostro uomo ha conosciuto ore di gloria con la sua band The Force Of Habit, un gruppo di veterani del blues. Il set è tonitruante con richiami ai classici, ma lui sa trasmettere un’atmosfera ed una spiritualità che portano al rispetto. Lo potete ascoltare regolarmente al Buddy Guy’s Legend ed alla House Of Blues.

Terry “Big T”Williams originario dei dintorni di Clarksdale, Mississippi, è un vero bluesman del Delta, che ha suonato segnatamente con i famosi Jelly Roll Kings, un sacrosanto riferimento per il Sud!. Il suo blues down -home in maniera minore è emblematico del Deep South, quando i suoi riffs  taglienti danno un tocco di modernità a questo stile di blues eterno. Ottiene gran successo sul palco del Mississippi Juke Joint, e non esita a passeggiare tra il pubblico in delirio, accompagnato dal suo sassofono tenore che fatica a seguire il ritmo sfrenato della sua chitarra. Un set dimostrativo con tanto di cappello. I suoi album autoprodotti sono da ricercare.                                                                                Big DooWopper è un musicista non vedente seduto alle tastiere che ha interpretato parecchi titoli in un’atmosfera di gospel tradizionale, soul & blues, della migliore sostanza. All In The Joy! Un artista locale da scoprire.

Sam Lay, sia alla chitarra che alla batteria, ha dato luogo ad un set in omaggio a Hubert Sumlin e Willie “Big Eyes”Smith, recentemente scomparsi. Suo figlio, Kenny “Beedy Eyes” Smith, visibilmente emozionato gli ha replicato, accompagnato da Bob Corritore, “Steady Rollin’” Bob Margolin, Dave Specter, Johnny Iguana e l’inossidabile Bob Stroger. Muddy Waters, là dov’è, ha dovuto sorridere ed applaudire tutti a vederli interpretare i suoi brani favoriti. Un set semplicemente eccellente.Altro omaggio reso sul grande palco ai discepoli di Muddy Waters: Pinetop Perkins e Mojo Buford. L’occasione di vedere suonare insieme Barrelhouse Chuck, il batterista Jimmy Mayes e Lil Frank, tutti musicisti affiatati che hanno ancora interpretato un set di bontà infinita. Lurrie Bell, accompagnato da Bill Sims, ha dato vita un set con la slide che ha riproposto la quasi totalità del suo ultimo e brillante album intriso di gospel blues. A suo agio nei suoi nuovi abiti di luce spirituale, Lurrie Bell ha interpretato alla chitarra acustica brani vibranti, che gli vanno come un guanto. Un artista dalla tecnica da fuoriclasse che possiede un supplemento d’anima unica, e che finito per cospargere il festival con il suo immenso talento.

Omar Coleman and Friends armonicista che frequenta, quando non è in tournèe, i club della Città del Vento. Virtuoso dallo stile arioso, era accompagnato da Nelly “Tiger”Travis, habituè del festival, colei che è soprannominata  The Chicago’s Blues Diva, che si lancia in un omaggio a Koko Taylor interpretando “I’m A Woman”.

Sul palco Mississippi Juke Joint, quando il caldo imperversa, Pat Brown sale in scena. Incoraggiata da suo fratello Jimmy Ruffin, e nota per aver svolto il controcanto  a B.B.King, Al Green e Willie Clayton, è dotata di una voce calda ed intimista. Nonostante ciò però, Pat non è sembrata molto a suo agio. Da rivedere in altre condizioni.

Patrice Moncell (foto Philippe Pretet ©)

Patrice Moncell, proveniente dal Sud è prodotta a Chicago da Vasti Jackson. Lei assicura uno show riflesso tipico del Chitlin’Circuit a guisa del maestro Bobby Rush. Truculenta ed adepta di un doppio senso malizioso, Patrice fa ridere la platea con delle mimiche molto suggestive. Una voce potente ed una presenza scenica, che le varranno un successo di stima largamente meritato.  Celebrating Women in Blues: questo è stato un vibrante omaggio reso sul palco principale a Koko Taylor da Jackie Scott, dalla voce potente e trascinante, dall’indolente Deitra Farr e da Nora Jean Bruso. Ma è Melvia Chick Rodgers che interpreta dei testi di gospel, quegli stessi che canta ogni giorno nelle chiese del West Side. Con la sua voce calda e profonda, crea quell’ambiente di raccoglimento propizio al momento. Una delle migliori emozioni di questa edizione del festival.

Philippe Pretet 

[n° 121 della rivista: vai ad arretrati]

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