Etichetta: RCA (USA) -2022-
Tra gli ultimi rappresentanti della impareggiabile generazione di musicisti nati prima del secondo conflitto mondiale, Buddy Guy ha annunciato per il prossimo anno un lungo tour americano di addio, forse comprensibile date le ottantasei primavere, pur portate con energia.
Qualche mese fa è arrivato questo suo nuovo album, frutto della collaborazione con Tom Hambridge, produttore di ogni suo progetto discografico da “Skin Deep” (2008) in avanti. Dischi che se non hanno fatto gridare al capolavoro, sono comunque stati testimonianza della vitalità di un artista che dal suo rilancio definitivo negli anni Novanta con “Damn Right I Got The Blues” ha raccolto onori meritati e consolidato il proprio status leggendario.
Come in dischi precedenti, le registrazioni sono avvenute a Nashville ed Hambridge ha posto attorno a Buddy alcuni ottimi musicisti come Kevin McKendree (piano), Rob McNelley (chitarra), Reese Wynans (Hammond B3), Michael Rhodes / Glenn Worf al basso, oltre a suonare lui stesso la batteria e una sezione fiati nei primi due brani. Hambridge firma anche quasi tutti i brani, in coppia con Richard Fleming o Gary Nicholson, mentre Buddy è accreditato come autore solitario soltanto di “The World Needs Love”, peraltro uno dei brani migliori del lotto, lento e con un messaggio diretto.
Altro pezzo pregnante è “Gunsmoke Blues”, sul tema, sempre attuale negli States, delle sparatorie nelle scuole, anche in questo caso è uno slow, cantato con un ospite, Jason Isbell, e con versi pieni di amare constatazioni quali, “alcuni danno la colpa a chi ha sparato, altri alle armi, ma un milione di pensieri e preghiere non riporteranno in vita nessuno”.
Il chitarrismo di Guy, sempre capace di sbalzi e impennate improvvise, è qui meno esacerbato, più al servizio dei brani rispetto ad altri dischi recenti, elemento apprezzabilissimo soprattutto nei lenti, come la salace “Rabbit Blood”, in cui emerge anche il contrappunto dell’ottimo piano di McKendree. Non manca nemmeno stavolta un lotto di ospiti ma se Elvis Costello e James Taylor hanno un ruolo più defilato nei rispettivi interventi, risulta invece ottimo anche sul piano emotivo il duetto tra Buddy e la quasi coetanea Mavis Staples.
Basta la voce di Mavis per smuovere qualcosa in chi ascolta, col dono di rendere vividi i ricordi di “una balconata a Memphis, l’8 aprile 1968”, ne hanno viste tante loro, tempi duri in cui, come cantano, “il blues era ovunque”. Funziona anche il brano in cui Buddy è raggiunto da un altro simpatico ultraottuagenario, Bobby Rush. “What’s Wrong With That”, è un pezzo schizzato di funk in cui i due rivendicano i propri gusti e sembrano divertirsi parecchio.
Non poteva mancare un tributo ad un amico scomparso, B.B.King, con la ripresa di un suo pezzo giovanile “Sweet Thing”, in cui la sua stratocaster insegue Lucille, “non posso suonare come te B.,ma ci provo”, esclama Buddy prima del suo assolo.
Curiosa la rilettura della beatlesiana “I’ve Got A Feeling”, più che altro occasione di apprezzare la sua voce, notevole in relazione all’età. Plauso poi per la chiusura, una “King Bee”, acustica, suonata in splendida solitudine, suggellata da un sornione “is that enough?” di Guy rivolto al produttore. Lo è. “Thanks, Buddy”, verrebbe da rispondergli.
Matteo Bossi
Comments are closed