Chi suona un blues corroborante e contagioso? Ma sì, è proprio James Boo Boo Davis. Il suo dodicesimo album perpetua la tradizione di un blues grezzo, ruvido, dagli accenti tipici del profondo Sud, suonato con gli amici riuniti sotto il portico in un giorno di caldo torrido. È l’essenza stessa del blues elettrico possente e declamatorio che trasuda da tutti i pori della pelle. James è nato il 4 novembre 1943 a Drew, Mississippi, una cittadina nei pressi di Clarksdale. Già all’età di cinque anni Boo Boo suona l’armonica e canta in chiesa. Il suo soprannome gli viene dai fratelli di suo padre, James e Boo Jack. Sylvester Senior, suo padre, era un polistrumentista alla guida di un gruppo familiare, Lard Can Band, con il fratello più giovane, Sylvester Junior alla chitarra e sua sorella al canto. A diciotto anni Boo Boo si unisce al gruppo suonando le percussioni, dato che la famiglia non aveva i mezzi per procurargli una batteria, James tiene il ritmo su una scatola di conserve, da qui il nome del gruppo. Il gruppo suona in tutto il Mississippi e accompagna anche un certo B.B. King, allora poco noto. Negli anni Sessanta si trasferisce in Illinois e suona regolarmente a livello locale. Suo fratello, che si era trasferito a St. Louis, lo convince a raggiungerlo. I due suonano per un po’ nel gruppo di Doc Terry, per formare poi una nuova formazione con Little Aaron.  I due hanno accompagnato molti grandi artisti tra i quali Little Walter, Sonny Boy Williamson, Little Milton e Elmore James. Nel 1972 forma la Davis Brothers Band, divenuta la house band del Tabby’s Red Room di East St. Louis per diciotto anni.

Nel 1999 suona la batteria sul disco di Arthur Williams “Harpin’ On It” per la label Fedora di Chris Millar. Più tardi, nello stesso anno, pubblica il primo album a suo nome, “East Saint Louis” (da cercare) che lancia una carriera promettente. Ventitre anni dopo, “Boo Boo Boogaloo” (Lotus Recordings) è il suo dodicesimo album in studio. James Boo Boo Davis ha saputo circondarsi di un gruppo in piena sintonia con lui, L.A. Jones alla chitarra, Adrianna Marie al basso, Chrsi Millar alla batteria, con Paul Niehaus IV ospite alle tastiere per due brani. Il disco si apre con “Little House By Myself” in cui  dichiara di non avere bisogno di nessuno. La sua armonica ariosa è in perfetta sintonia con la chitarra di L.A.Jones. Boo Boo eccelle nei boogie con in filigrana il ritmo percussivo  della batteria di Chris Millar. Di certo si è divertito molto in una serie di concerti che ha tenuto “At The Red Door”. L.A. Jones suona superbamente con uno stile “chicken scratch” quando Davis suona un blues incantatorio, “She Made Me Evil”. In “Blues On My Mind” l’armonica di Davis raggiunge l’apice, il suo strumento distilla un blues a tempo medio, “i woke up this morning with…”. In  un racconto che parlerà a molti dice, “quando il telefono non suona, so che c’è qualcosa che non va”. La chitarra di Jones cesella dei fraseggi sincopati che lasciano il segno. Ecco allora arrivare una ballad lenta che per trascorrere momenti intimi con la propria amata, “Make Everything Alright”, un invito senza giri di parole a  “tenergli la mano e fare l’amore stanotte…”. In “Hell Around” James Davis supplica tutti di smettere di ammazzarsi, poi canta le lodi del Natale con “Once A Year”, mentre la batteria di Millar, con una strizzata d’occhio, imita il tintinnare della campane di una chiesa. “Boo Boo Boogaloo” è un brano infuocato, un vulcano in eruzione, Davis esorta tutti a “scendere in pista e ballare”.Il lamento blues, “I Got The Crying Blues”, racconta dei guai con la sua compagna che lo ha appena lasciato, mentre lo strumentale “Jungle Bump” stabilisce un groove ipnotico che ricorda per certi versi il compianto James Brown e la sua energia devastante. Senza mezzi termini,  James Davis ha messo insieme un album che gli somiglia, che suscita grande interesse. Essenziale.

Philippe Prétet



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