Blues Rules, festival relativamente giovane alla sua settima edizione, si pregia di essere un festival differente: atmosfera campestre alla Woodstock con tanto di mini-mostra di trattori, stand di dischi, magliette e altra memorabilia, stand di cibarie, patate, wurstel e costatine di maiale a prezzi svizzeri ossia carissimi per non parlare delle bibite che costano un vero occhio della testa …
Ma allora in cosa e’ differente Blues Rules, direte voi? Sicuramente negl’artisti, talmente atipici da esser considerati trendy, e qualche vero bluesman della vecchia guardia anche se non necessariamente anziano. Certi artisti, specialmente i locali, sia svizzeri che i francofoni di confine, sono sinceramente sconcertanti, solitari nel loro garage punk con una spruzzatina di Blues qua’ e la’, per fare down’n’dirty ….
Eppoi il down’n’dirty arriva davvero con artisti americani di grande valore come K.M. Williams, Cedric Burnside, Leo Bud Welch. Per la verita’ Blues Rules ha il coraggio di proporre anche artisti sconosciuti o quasi come il chitarrista-cantante Brother Mississippi Gabe Carter che, al contrario di altri, non avra’ il dono dell’originalita’ ma suona terribilmente vero.
Non essendo un esperto di garage punk, m’astengo da esprimere giudizi su artisti come Reverend Beat Man, John Dear, Molly Gene One Whoaman Band, Jinx per non parlare dei Chainsaw Blues Cowboys, che qualche idea buona ce l’hanno pure. Va fatto qualche distinguo: James Leg, che suona le tastiere in duo con un batterista, potrebbe esser inserito in questo primo gruppo ma gli va riconosciuto un qualcosa in più.
Molto ortodossi ma anche molto “bianchi” sono i Blue Monday Ministers che vengono dalla Romania, mentre Floyd Beaumont & The Arkadelphians sono un gruppo ginevrino di folk-blues d’anteguerra calligrafico ma godibile. Johnny Montreuil e’ un gruppo di una certa cultura (un tempo contro-cultura) tipicamente francese, di tutto un po’ con molto Gainsbourg.
Visti i tempi temo che in qualche banlieu non farebbero nemmeno in tempo a sfoderare gli strumenti prima di doversela svignare (con la Peugeot 504, ormai auto retro-cult). Passiamo al Blues “vero”, quello a denominazione d’origine controllata: Burnside è un musicista versatile: ottimo batterista, ottimo cantante e buon chitarrista: ha i crismi per diventate un artista importante, come Robert Randolph o Ben Harper, bisogna solo che decida quale strada prendere.
Il suo Project – con Trenton Ayers al posto di Malcom Lightning – assomiglia al precedente. Rev K.M. Williams è un nome importante del Blues attuale e quando attacca “Sitting on the top of the world” con la Cigar Box e la slide, si capisce di quale pasta è fatto.
Sulle sue orme e nemmeno tanto distante, Brother Mississippi Gabe Carter: il suo concerto nella chiesa del castello di Crissier, e’ stato il momento piu’ alto di tutto il festival. Senza dimenticare Leo Bud Welch, che porta il Blues sulla pelle, un Blues che ti attraversa con un’infinita brutale tristezza. Terminiamo con Mighty Mo Rodgers, artista molto apprezzato in Europa – pistonne’ par la France, ma tutto sommato artefice di un Blues banale, tinto di una qualche sociologia a buon mercato.
Non si può che incitare vivamente gli organizzatori a continuare sulla strada del Blues, sfoltendo il superfluo e cercando di correggere qualche deficienza organizzativa, soprattutto le lunghe attese tra uno spettacolo e l’altro, astute per il business ma contro producenti alla fine dei giochi. Con certi sponsor si può, anzi si deve, fare di meglio.
Luca Lupoli
Comments are closed