Angela Davis

Opera del 1998, “Blues e Femminismo Nero” (in italian rieditata per le edizioni Alegre), di Angela Davis, è parte nella fiorente produzione letteraria della storica attivista per i diritti civili, che dopo aver prodotto opere famosissime come “Aboliamo le prigioni? Contro il carcere, la discriminazione, la violenza del capitale” e “Donne, Razza e Classe”, ci regala questa perla.

Con questa opera Angela ci mostra come il Blues abbia contribuito alla formazione e alla diffusione dei primi sentimenti femministi e di emancipazione femminile, soprattutto tra le donne afroamericane dei primi decenni del ‘900. Attraverso l’analisi dei testi delle canzoni delle regine del blues, Gertrude “Ma” Rainey, Bessie Smith e Billie Holiday, collocati nel contesto sociale in cui venivano cantati, Angela Davis ci mostra come queste artiste abbiano raccontato alle loro contemporanee una realtà diversa da quella oppressiva che gli era stata insegnata.

Il pubblico di riferimento, infatti, non solo subiva la discriminazione razziale, ma anche quella sessuale. In quanto donne di una minoranza etnica erano quindi vittime di una doppia prevaricazione, quella sociale dei decenni immediatamente successivi all’abolizione della schiavitù e quella famigliare, all’interno delle mura domestiche. L’autrice stessa mette in chiaro che il proprio lavoro, limitandosi all’analisi dei testi di tre artiste, non vuole avere l’ambizione di eguagliare l’analisi della tradizione classica del Blues condotta in “Black Pearls” di Daphne Duval Harrison. La speranza di Angela Davis è che il suo lavoro possa integrare quello di Harrison.

Insomma, l’obiettivo del libro è quello di fornire ulteriore materiale allo studio di come il Blues abbia rappresentato un vettore privilegiato affinché le blueswomen potessero porsi come “figure centrali per l’affermazione delle idee e degli ideali delle donne nere dal punto di vista della classe lavoratrice e dei poveri”(Daphne Duval Harrison, “Black Pearl: Blues Queens of the 1920s”).

Nell’opera di Angela Davis, quindi, il lettore troverà analisi sociologiche che evidenziato, ad esempio, come il tema della maternità non sia mai presente nelle canzoni delle blueswoman, segno che queste alfiere dell’indipendenza femminile volevano veicolare un messaggio chiaro: la donna non deve necessariamente essere madre per trovare le sua realizzazione. Tutto questo in una società, quella degli Stati Uniti degli anni Venti, dove la maternità era l’elemento dominante che caratterizzava la figura femminile. In questo contesto le donne del Blues cantavano di amore carnale e di amanti, e ne cantavano dal punto di vista femminile, veicolando il messaggio (si può immaginare quanto scandaloso per l’epoca) che anche le donne potevano amare il sesso in quanto tale, l’alcool e avevano lo stesso diritto degli uomini ad avere degli amanti.

L’autrice evidenzia come, mettendo sullo stesso piano i desideri maschili e femminili dandogli pari dignità, le blueswomen sfidarono apertamente e spudoratamente le concezioni sociali dominanti all’epoca. Riporta i testi delle canzoni ed evidenzia come già in quel tempo fossero uno strumento potentissimo per dare pubblicità e diffusione a un tema, quale quello della violenza maschile sulla donna, relegato al segreto delle mura domestiche.

Vengono riportati testi in cui si racconta di donne libere, indipendenti, che si contrappongono all’immagine imposta dalla società. Figure che vengono raccontate a quelle stesse donne che, invece, in quella cultura sono cresciute e continuano a vivere, trasmettendo loro il messaggio che un’esistenza diversa è possibile, un aperto invito alla ribellione verso lo status in cui si trovano “costrette”. Il messaggio è tanto più scandaloso se si considera che le donne afro-americane dei primi decenni successivi all’abolizione della schiavitù subivano lo “stigma” non solo della comunità “bianca”, non solo della comunità afro-americana maschile, ma anche di quelle stesse donne afro-americane appartenenti ad una classe sociale in emersione, economicamente benestanti, che consideravano il blues e il suo messaggio come appartenente ad una classe sociale da cui volevano rimarcare la distanza.

 

Angela Davis Blues e Femminismo Nero

Angela Davis Blues e Femminismo Nero

Questo libro non vuole essere un manifesto politico dell’autrice attraverso cui propagandare le sue idee su come dovrebbe essere la società, ma è un’opera in cui vengono riportati i testi delle canzoni delle autrici, analizzati con le lenti sociali dell’epoca in cui venivano scritti e cantati, e interpretati da Angela Davis. Certo sarebbe ingenuo pensare che ad un testo di cronaca asettica. Questo non è e non vuole essere un testo scientifico. Infatti è un libro carico di passione, che vuole veicolare un messaggio e che, per tale motivo, non può che essere in qualche modo influenzato dal vissuto e dalle idee, anche politiche, dell’autrice, ma non ne è l’obiettivo finale.

Ciò non mina in alcun modo la credibilità né la qualità del suo contenuto. Soprattutto perché è un testo sincero in cui Angela Davis non ha alcun timore di esporsi (e qui si nota l’influenza del suo passato e della sua storia di militanza) e nei passaggi in cui la sua visione differisce da quella di altri, lo esprime senza alcun timore né volontà di voler accondiscendere nessuno, lasciando così al lettore la possibilità di avere accesso ad entrambe le letture e poter, quindi, scegliere quale ritiene maggiormente condivisibile.

Questo libro, quindi, non può mancare nella libreria di chi vuole comprendere il Blues come fenomeno sociale, prima ancora che musicale, e dovrebbe stare a fianco di volumi come il capolavoro “Deep Blues-una storia culturale e musicale” (Robert Palmer) e “Black Pearl: Blues Queens of the 1920s” (Daphne Duval Harrison).

Andrea Capelli

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