Quella di domenica 24 luglio è la serata di chiusura del festival a Fiorenzuola d’Arda e il programma prevede due personaggi diversi e tra l’altro molto amici tra loro, Anders Osborne e Mike Zito.
Il primo mancava dai palchi italiani dal lontano 2003, allora era venuto con Monk Boudreux, erano i tempi del loro album “Bury The Hatchet”. Per queste date italiane si presentava in solitudine, sulla scia del suo più recente lavoro solista, “Orpheus & The Mermaids”, tuttavia qui a Fiorenzuola (e la sera prima al Buscadero Day) al suo fianco c’è, graditissima sorpresa, un amico italiano che ha vissuto a lungo a New Orleans, Roberto Luti.
Già nel corso del breve soundcheck i due ritrovano, non suonavano insieme da alcuni anni, una sintonia naturale, fondata su un comune sentire la musica in modo diretto, istintivo e sensibile. Anders è cantante e autore di un universo poetico personale, dispiegato in una produzione discografica regolare da oltre trent’anni. Chitarra acustica e armonica, attacca un suo pezzo ritmico di qualche anno fa “Echoes Of My Sins” e subito si ha la prova di come le pennellate di Luti si incastrino perfettamente nelle pieghe della sua musica.
Sostituita una corda della sua chitarra, Anders attinge al citato disco acustico, per la ballad “Jacksonville To Wichita”, dai sapori quasi dylaniani o un’altra canzone dai toni introspettivi, accentuati da alcuni lirici passaggi slide di Roberto, “Light Up The Sun”. La set list prende forma al momento, si passa da “Love Is Taking Its Toll”, in cui si apprezza ancora la coloritura della voce di Osborne e il lavoro complementare dell’artista livornese.
L’autoironia caratterizza anche “47”, un brano uptempo, coinvolgente, “era su un album intitolato Peace”, dice lui. Poi un paio di canzoni d’amore alla moglie Sarah, con lui in questo tour, gli bastano poche note per evocare emozioni da “Rainbows”, ballad che richiama per semplicità ed efficacia certe cose del Neil Young acustico, con belle dinamiche create ancora da Luti, mirabile nell’entrare nei brani senza alcuno sforzo.
Nel finale i due vengono raggiunti prima da Mike Zito, il suo tastierista Lewis Stephens e Beppe Facchetti dei Superdownhome per una divertente versione di “I Hear You Knockin’” di Lazy Lester, “il suo fu uno dei primi concerti che vidi al Maple Leaf a New Orleans quando avevo diciotto anni” ed infine chiusura con “Lafayette”, un pezzo “di quattro accordi, con un beat zydeco”, dice Anders per spiegarlo ai colleghi, cui si è aggiunto nel frattempo anche Enrico Sauda. Simpatico finale di un set che ha confermato la grande levatura di Osborne come artista e autore e la sensibilità di Roberto Luti, in qualsiasi contesto si trovi a suonare.
Nativo di St. Louis ma residente in Texas, Mike Zito è accompagnato dal suo gruppo, Matthew Johnson alla batteria, Douglas Byrkit al basso e l’esperto tastierista Lewis Stephens, noto per i suoi trascorsi nientemeno che al servizio di Freddie King, a metà anni Settanta. Zito comincia con una carica “Wasted Time”, per poi proporre un pezzo di Bobby “Blue” Bland, “I Would Not Treat A Dog”.
Attinge all’album “Resurrection”, uscito lo scorso anno, per alcuni rock blues abbastanza muscolari seppur efficaci come “Don’t Bring Me Down” o la ripresa della classica “Presence Of The Lord” (Clapton, periodo Blind Faith). Apprezzabile il lavoro di Stephens alle tastiere nella costruzione del suono, anche in un tempo medio, “Dying Day”, in cui la chitarra del leader si prende molto spazio.
Curiosa la cover di “Little Red Corvette” di Prince, una parentesi prima di tornare ad un rock blues deciso e robusto. Zito chiama sul palco Maurizio “Gnola” Glielmo, apprezzato chitarrista nonché driver/road manager della band per la loro settimana italiana, esperienza che Zito dimostra di apprezzare particolarmente, a partire dal cibo.
I due danno vita a scambi divertenti alla sei corde, testimonianza della stima reciproca sulla ballad “Gone To Texas”. Ritorna anche Enrico Sauda per un lungo slow cantato da Zito senza microfono. Chiude, assecondando una richiesta del pubblico, con “Johnny B. Goode”, dell’indimenticato Chuck Berry, al quale ha dedicato un album tributo nel 2019.
Una delle tante belle serate di musica che il festival ha saputo proporre quest’anno, forte di una programmazione attenta e di una organizzazione sempre rodata.
Matteo Bossi
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