Primo concerto italiano per Amythyst Kiah, nonché unico del suo tour in Europa, quello del 20 novembre scorso al Legend Club di Milano. L’artista del Tennessee ha da poco pubblicato un EP digitale di quattro canzoni per la Rounder, “Pensive Pop” che fa seguito all’album “Wary And Strange” dello scorso anno. Si presenta da sola sul palco, con una chitarra elettrica, strumento che alternerà a banjo e chitarra acustica. Parte da “Hangover Blues”, cadenzata e ironica, per proporre un bell’excursus nel suo repertorio, nel quale convivono anime differenti; passa infatti senza alcuna forzatura da una ripresa della tradizionale “Darling Cory”, col banjo ad una, altrettanto riuscita, di “Love Will Tear Us Apart” (Joy Division). Il pubblico, ahinoi piuttosto sparuto in questa domenica sera milanese, la segue con grande attenzione. C’è spazio poi anche per una ballad, “The Worst”, un promettente pezzo inedito composto durante un viaggio in treno durante un tour in Scozia. “Trouble So Hard” è entrata nelle set list di diversi musicisti ormai, nelle sue mani è un’altra occasione per apprezzarne le notevoli qualità vocali, anche in una giornata in cui non si sente benissimo, come confessa tra una canzone e l’altra.
Attinge anche al progetto collettivo Our Native Daughters, che l’ha fatta conoscere maggiormente, in primis con l’evocativa composizione dedicata alla moglie di Leadbelly, “Polly Ann’s Hammer” (scritta con Allison Russell), un pezzo dall’anima antica, interpretato con semplicità al banjo. Lascia per il finale la sua composizione più nota, “Black Myself”, rivisitata anche sul suo disco solista, che non perde la sua forza intrinseca anche in questa veste minimale, voce e chitarra acustica. Concede un bis, un classico che, afferma, le ha sempre ricordato l’importanza di avere attorno una cerchia di persone su cui contare, “Will The Circle Be Unbroken”. Kiah anche dal vivo si rivela artista interessante per voce e sintesi personale di ispirazioni differenti.
Matteo Bossi
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