Considerato un virtuoso nel panorama dei blues rocker americani, il chitarrista e cantante  Alastair Greene può vantare una carriera discografica che ormai supera i vent’anni, oltre a proficue collaborazioni internazionali, in primis con Alan Parsons. Il recente “Standing Out Loud”, pur mantenendo l’energia tipica delle sonorità che caratterizzano le sue composizioni, riesce a infondere personalità e una buona creatività in ogni episodio: la grintosa e abrasiva “You Can’t Fool Me” cattura l’attenzione con la voce potente e il riff infuocato della sua chitarra, che si impone con autorevolezza. Il successivo “Slow Burn” si arricchisce di quei fraseggi funky, offrendo proprio un bruciore lento e avvolgente, che in qualche modo viene mantenuto in “Only Do” che segue, in cui il suono della sei corde si insinua elegantemente. Qui è facile cogliere un accenno alle influenze degli ZZ Top, che ritroviamo nuovamente in “Am I To Blame”, un boogie ruvido e grintoso sostenuto dall’incedere della chitarra, e analogamente in “Trouble Blues” e nell’aggressivo rock di “Temptation”: qui il ritmo incalzante trasporta l’ascoltatore in una dimensione blues-rock intensa e vibrante.

Viceversa, la cadenza di “The Last To Cry” si muove su un incedere più pigro, ma che consente al nostro di lasciare libero sfogo alla sua slide; la matrice rock permane negli accordi di “In Trouble” e pure nella title track, decisamente debitrice a Stevie Ray Vaughan, una delle sue più chiare influenze. “Rusty Dagger” è un altro momento chiave dell’album, con sonorità ampie e riverberate, per uno slow blues nel quale il chitarrista dimostra tutta la sua maestria nel creare atmosfere emotivamente cariche. La reinterpretazione del classico “Bullfrog Blues” chiude l’album con una performance che dall’intro acustica si sviluppa su un terreno rovente e selvaggiamente rock, sostenuta dalla sezione ritmica di Mark Epstein al basso e Kevin Hall alla batteria. La versatilità di Alastair Greene emerge anche in questo suo ultimo album, arricchita dai suoi assoli che risultano sempre incisivi e mai ridondanti: il suo stile ormai consolidato non ha forse elementi particolarmente innovativi, ma possiede quella vitalità contagiosa che non ci si stanca di ascoltare.

 

Luca Zaninello

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